In biologia, si dice di cellula indifferenziata che può agire da precursore di un clone di cellule differenziate, ma che mantiene la capacità di autorinnovarsi per produrre altre cellule s. identiche.
Durante la formazione dell’embrione, si generano le cellule s. embrionali (ESC, embrionic stem cells). Inizialmente sono cellule totipotenti, hanno cioè la possibilità di differenziarsi producendo qualsiasi cellula del corpo; progressivamente generano cellule sempre più differenziate, tra cui le cellule s. tessuto-specifiche (o somatiche), il cui compito è quello di produrre le cellule mature del tessuto in cui risiedono (cellule specializzate). Le caratteristiche delle cellule dipendono dallo stato dei loro geni: all’inizio dello sviluppo dell’embrione i geni sono sostanzialmente inattivi ma, con il procedere della specializzazione, viene attivata una serie di geni caratteristici per ogni tipo di cellula. Il cambiamento nel numero e nel tipo di geni che si esprimono in ogni fase temporale dello sviluppo porta dapprima alla determinazione del destino differenziativo delle cellule e, in momenti successivi, alla loro effettiva differenziazione nei diversi tipi cellulari che costituiscono i tessuti dell’adulto. Il numero delle cellule s. somatiche declina progressivamente con lo sviluppo dell’organismo e raggiunge valori minimi e stabili nell’età adulta. In alcuni di questi tessuti rimangono alcune cellule che non andranno mai incontro al processo di determinazione e differenziamento, mantenendo una capacità di rinnovo di tipo embrionale. Le cellule s. dell’adulto sono quindi in grado di sostituire quelle dei tessuti caratterizzati da un elevato ricambio, che può essere causato sia dai processi di continuo differenziamento, come nel caso delle cellule germinali maschili dell’epitelio seminifero, delle cellule del tessuto ematopoietico o delle cellule del rivestimento interno dell’intestino, sia dai processi di continua morte cellulare, come si verifica nei cheratinociti dell’epidermide. Le cellule s. dell’adulto, oltre a essere indifferenziate, hanno la capacità di perpetuare sé stesse per tutta la durata della vita dell’organismo di appartenenza (automantenimento).
Negli Invertebrati, le cellule s. si dividono in maniera asimmetrica, cioè una delle due cellule figlie rimane di tipo s., mentre l’altra inizia il processo differenziativo. Nei Vertebrati le cellule s. compiono invece diverse divisioni simmetriche nelle quali le due cellule figlie possono essere identiche oppure differenti dalla cellula madre. L’automantenimento all’interno di un tessuto è quindi garantito dall’equilibrio numerico fra il primo tipo di divisione, detto espansivo, e il secondo, detto differenziativo. Questo sistema permette, mediante l’induzione di segnali cellulari, di aumentare o diminuire il numero delle cellule s. a seconda della necessità: prevale la divisione di tipo espansivo quando una lesione distrugge parte delle cellule s., mentre prevale la divisione differenziativa quando il numero di cellule s. tende ad aumentare in modo anomalo per fenomeni casuali o patologici.
Tra il compartimento di cellule s. e quello di cellule differenziate esiste inoltre un compartimento intermedio, detto di transito. In quest’ultimo la capacità di proliferazione si mantiene per un numero limitato di cicli e si esaurisce quando si sono differenziate numerose cellule mature. La divisione in questi 3 compartimenti (s., di transito e differenziato) permette la produzione di un consistente numero di cellule differenziate per ogni tessuto a fronte di un ridotto numero di divisioni delle cellule staminali. In tal modo il patrimonio genetico delle cellule s. è protetto dall’accumulo di mutazioni che si può verificare durante la duplicazione del DNA che ha luogo a ogni divisione cellulare.
Per le loro caratteristiche di flessibilità e plasticità le cellule s. hanno assunto grande importanza, dalla fine degli anni 1990, per la comprensione dei processi dello sviluppo e per la loro enorme potenzialità in campo terapeutico, soprattutto per quelle patologie nelle quali si determina la morte di un certo tipo di cellule, per es., nel morbo di Parkinson, nelle malattie cardiache, nel diabete o anche nelle malattie in cui un certo tipo di cellule non funziona regolarmente, come nelle immunodeficienze congenite.
Nei Mammiferi cellule ESC si trovano nell’embrione preimpianto allo stadio di blastocisti e hanno una elevata capacità di differenziarsi in qualsiasi altro tipo di cellule. Le cellule della blastocisti formano un involucro sferico che circonda una cavità, il blastocele, con un polo caratterizzato da un accumulo più denso di cellule. L’intero strato delle cellule viene detto trofoectoderma ed è essenziale per lo sviluppo della placenta. Il gruppo di cellule in corrispondenza del polo più denso viene denominato massa cellulare interna: queste cellule formeranno l’embrione propriamente detto dopo una serie di processi, quali la gastrulazione, la neurulazione ecc. Per coltivare in vitro le cellule della massa cellulare interna, il trofoblasto viene rimosso e vengono aggiunti in vitro dei reagenti per disaggregare la massa interna; i piccoli ammassi di cellule che si formano vengono coltivati su uno strato di cellule nutrici. Dopo una settimana circa, dagli ammassi di cellule disgregate si ottengono colonie di cellule ESC alle quali si aggiungono specifici fattori di differenziazione.
Esistono cellule s. anche nell’embrione postimpianto; quelle più studiate sono le cellule germinali primordiali (PGC, primordial germ cell), che rappresentano lo stadio di differenziamento che precede la formazione delle gonadi. Le PGC compaiono nell’embrione umano durante la terza settimana di sviluppo; se isolate dall’embrione, queste cellule, chiamate EG (embryonic germ), possono moltiplicarsi e produrre cellule in grado di differenziarsi in quasi tutti i tipi cellulari presenti nell’adulto, come le ESC. La loro difficile reperibilità, e quindi la difficoltà di isolamento, ne ostacolano tuttavia l’impiego nel trattamento delle patologie.
La terapia con le cellule s. embrionali è molto promettente, ma presenta problemi di ordine biologico ed etico. Dal punto di vista biologico le cellule, essendo estranee all’organismo nel quale sono introdotte, vengono distrutte dall’organismo stesso con il medesimo processo che determina il rigetto nei trapianti d’organo. Per tentare di superare sia il problema etico sia quello del rigetto, si è pensato di ricorrere alla clonazione. Questa nuova possibilità si è sviluppata a partire dal 1997, quando sono stati pubblicati i risultati di esperimenti, nella pecora e nel topo, che dimostrano come il genoma di cellule differenziate possa essere riprogrammato, se trasferito nel citoplasma di una cellula uovo. Esperimenti di trasferimento del nucleo di una cellula differenziata hanno dato origine allo sviluppo di embrioni e, anche se raramente e con difficoltà, allo sviluppo di un animale adulto, copia del donatore del nucleo della cellula somatica. Rimane da scoprire quali siano i processi di deprogrammazione e riprogrammazione del genoma della cellula somatica dopo il suo trasferimento nel citoplasma della cellula uovo e quindi i tempi di attivazione dei geni embrionali.
In tutti i Mammiferi è noto che le prime fasi dello sviluppo embrionale, a partire dallo zigote, avvengono grazie agli RNAm e alle proteine di origine materna presenti nel citoplasma dell’ovocita. Mentre con il procedere dello sviluppo questi elementi si esauriscono, inizia in parallelo la sintesi di RNAm da parte dell’embrione. Nell’uomo l’attivazione del genoma embrionale avviene durante lo sviluppo che precede l’impianto dell’uovo (sviluppo preimpianto), a partire da 4 cellule; se, entro questi tempi, i geni embrionali non vengono correttamente espressi, non si può proseguire nello sviluppo. Gli studi degli anni 1990 hanno dimostrato la grande rilevanza dei processi epigenetici, quali la metilazione e l’organizzazione della cromatina, sia nella gametogenesi sia nelle fasi dello sviluppo embrionale preimpianto. È pertanto fondamentale capire che cosa succeda proprio a questi livelli durante i processi di deprogrammazione e riprogrammazione che si verificano nel trasferimento di un genoma differenziato in una cellula uovo non differenziata. Sarà infatti la comprensione dei confini entro i quali il genoma si esprime correttamente a definire i possibili interventi sperimentali e terapeutici.
In uno scenario futuro, per poter utilizzare le cellule s. a scopo terapeutico, lo sviluppo dell’embrione, risultante dalla clonazione della cellula dell’individuo donatore, si dovrebbe arrestare verso il decimo giorno; le cellule della massa cellulare interna della blastocisti, private di tutte quelle che dovrebbero dare origine alla placenta e coltivate in vitro, potrebbero costituire la fonte di cellule s. da usare nello stesso donatore a scopi terapeutici; questo tipo di clonazione, diversa dalla clonazione di un organismo, viene definita comunemente con l’espressione clonazione terapeutica.
L’uso delle cellule s. adulte potrebbe ancora meglio risolvere i problemi di ordine etico che insorgono dall’utilizzazione delle ESC. Nell’individuo adulto, come detto precedentemente, si trovano cellule s. in molti tessuti, quali il midollo spinale, l’epitelio seminifero della gonade maschile, la retina, la cornea, il cervello, gli epiteli. Disporre di cellule s. da differenziare nei diversi tipi cellulari apre scenari di terapia molto promettenti. Se le cellule s. di ciascuno dei vari distretti dell’organismo vengono isolate e coltivate è possibile differenziarle nel tipo cellulare specifico del tessuto da cui derivano, ma è possibile anche differenziarle in altri tipi di cellule (transdifferenziazione).
Anche se il problema di dirigere le cellule verso la specializzazione desiderata è stato in alcuni casi risolto, le difficoltà da superare per l’uso terapeutico delle cellule s. sono ancora notevoli: per es., le cellule s. dell’adulto sono difficilmente reperibili, poiché numericamente scarse e, contrariamente alle cellule s. embrionali, dopo alcune divisioni in coltura tendono a perdere le caratteristiche di pluripotenza. Un’alternativa è offerta dal reperimento delle cellule dal cordone ombelicale ma, anche in questo caso, esistono limitazioni sia numeriche sia fisiologiche. La speranza di utilizzare le cellule s. dell’adulto rimane tuttavia fondata. È diventata possibile, infatti, la ricostruzione della cornea danneggiata mediante cellule s. di epitelio corneale prelevate dall’occhio sano dello stesso paziente e coltivate in vitro.
approfondimento Cellula staminale di Margherita Fronte
Da qualche anno, le cellule staminali sono al centro delle ricerche più avanzate in campo biomedico: suscitano le speranze di tanti malati e accendono infuocati dibattiti etici. Poco prima di morire, l'attore C. Reeve (1952-2004), che ha trascorso gli ultimi nove anni della sua vita paralizzato in seguito a una caduta da cavallo, le definiva "il futuro della medicina". Altri le paragonano agli antibiotici o ai vaccini, per la svolta che potrebbero imprimere nella terapia di molte malattie che oggi non hanno una cura. Sono speranze fondate? Quali sono le loro reali potenzialità?
Si chiamano staminali le cellule immature da cui derivano tutte le cellule specializzate che compongono gli organi, permettendo loro di assolvere alle rispettive funzioni. Pur non essendo in grado di svolgere compiti specifici (per es. non possono condurre uno stimolo nervoso, né contrarsi, né secernere ormoni o anticorpi), mantengono - a differenza delle cellule mature - la capacità di moltiplicarsi attivamente e dare origine a cellule nuove. Ne esistono di due tipi: le staminali somatiche (o adulte) e quelle embrionali. Le prime sono presenti in molti organi e servono a rimpiazzare gli elementi vecchi o danneggiati. In natura, il loro compito si esaurisce all'interno del sistema di cui fanno parte: per es. le staminali della pelle assicurano il ricambio degli strati più superficiali dell'epidermide; quelle del sangue permettono il continuo rinnovamento di globuli rossi e globuli bianchi e così via. Le cellule staminali embrionali invece si trovano soltanto negli embrioni nelle primissime fasi dello sviluppo, si moltiplicano molto più rapidamente di quelle adulte e hanno la capacità di generare tutti i 254 tipi cellulari di cui è composto il nostro organismo.
Sebbene i biologi conoscano le cellule staminali da molti anni, la ricerca ha cominciato a studiarle per le loro possibili applicazioni solo a partire dagli anni Novanta, quando si è iniziata a intravedere la possibilità di utilizzarle per curare malattie che comportano una degenerazione dei tessuti. L'idea è emersa con chiarezza per la prima volta nel 1992, quando B. Reynolds e S. Weiss, due ricercatori dell'univ. di Calgary (Canada), scoprirono nei topi una fonte di cellule staminali inattesa: si trovava infatti nel cervello, un organo considerato particolarmente vulnerabile proprio perché i neuroni, non soggetti a ricambio, non possono essere rimpiazzati se una malattia o un trauma ne causa la morte. Si fece strada l'idea che le cellule staminali neurali, trattate con fattori biologici che ne favorissero la proliferazione e il differenziamento, potessero riparare i danni di malattie dovute alla degenerazione dei neuroni, come il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson, la corea di Huntington, la sclerosi laterale amiotrofica, le lesioni dovute a traumi e ictus e altro ancora. E in breve la lista si allungò a comprendere anche malattie di altri organi (per es. i tumori, il diabete o l'infarto), in considerazione del fatto che le cellule staminali adulte sono presenti in molti tessuti: dalla pelle al midollo osseo, dal cuore al fegato.
Le cellule staminali adulte hanno già in parte mantenuto le loro promesse. Per es., in alcuni centri all'avanguardia, i grandi ustionati sono già trattati con trapianti di pelle ottenuta da cellule staminali dello stesso paziente, coltivate in vitro, fino a ottenere i lembi di tessuto delle dimensioni adatte. Buoni risultati sono stati ottenuti anche nell'infarto: un trapianto di staminali permette infatti di rigenerare il muscolo cardiaco danneggiato (questa tecnica è ancora in fase sperimentale). Infine, il trapianto di midollo osseo, terapia consolidata per il trattamento delle leucemie, non è altro che un trapianto di cellule staminali in grado di rigenerare gli elementi del sangue. I risultati invece sembrano tardare per altri tessuti, e in primo luogo per il cervello. Qui il potenziale rigenerativo delle staminali adulte non sembra infatti sufficiente a riparare le lesioni. Per questo c'è chi propone di usare le cellule embrionali.
La ricerca sulle cellule staminali embrionali ha ricevuto un forte impulso nel 1998, quando J. Thomson, un ricercatore dell'univ. del Wisconsin (USA), riuscì per la prima volta a isolare e a far moltiplicare in vitro cellule prelevate da embrioni umani, creando linee cellulari che potevano essere mantenute in laboratorio. Da queste linee cellulari è in teoria possibile prelevare la quantità di cellule necessaria a trattare un paziente. E, poiché le cellule staminali embrionali hanno la capacità di trasformarsi in qualsiasi tipo di cellula, in linea di principio sarebbe possibile usarle per riparare tutti i tessuti del nostro organismo. Rispetto alle cellule staminali adulte, tuttavia, le cellule embrionali presentano alcuni svantaggi. La loro versatilità, per es., è anche un ostacolo perché queste cellule sono difficili da controllare e c'è il rischio che, una volta infuse nei pazienti, continuino a proliferare, formando tumori. Inoltre, mentre in teoria è possibile prelevare dallo stesso paziente le cellule staminali adulte con cui curarlo, scongiurando così qualsiasi rischio di rigetto, le cellule embrionali, derivate da linee coltivate in laboratorio, hanno un patrimonio genetico diverso da quello del malato e potrebbero quindi causare una reazione di rigetto, analoga a quella che si verifica nei normali trapianti d'organo. L'ostacolo potrebbe essere risolto con la clonazione terapeutica, che permette di generare embrioni con lo stesso patrimonio genetico del paziente, da cui ricavare le cellule staminali compatibili da usare nel trapianto. Questo approccio suscita però perplessità etiche ed è apertamente avversato da chi ritiene che un individuo appena concepito sia titolare degli stessi diritti di una persona già nata: per prelevare le cellule staminali, infatti, l'embrione deve essere distrutto. Inoltre, anche nei paesi in cui la clonazione terapeutica è permessa non si sono ancora ottenuti risultati incoraggianti.
Si veda anche Cellule staminali in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica