Studio delle relazioni tra le strutture linguistiche e i vari tipi di cultura umana.
In passato studio pratico-descrittivo delle lingue senza scrittura, l’e. raggruppa interessi diversi, a cominciare da un’interpretazione, condivisa da numerosi etnologi, che riconosce alla lingua un valore di specchio, di riflesso della cultura del gruppo. A livello propriamente teorico, le posizioni emerse a proposito dei rapporti tra lingua e cultura, e quindi della definizione di una disciplina che se ne occupi espressamente, sono: a) la lingua organizza la visione del mondo di una società. Già per É. Durkheim ogni cultura è caratterizzata da un sistema organizzato di concetti; ci sono naturalmente rappresentazioni private di questo o quel concetto, ma deve esistere, al di sopra di queste rappresentazioni, «un mondo di nozioni tipo sulle quali l’individuo forma le sue idee», e queste idee noi le acquisiamo attraverso il linguaggio. Dalla lingua si potrebbe quindi dedurre la società. Questa concezione, in forma più o meno accentuata, ha avuto sostenitori illustri: oltre a Durkheim e a M. Mauss, F. de Saussure, B. Malinowski, e tutta la scuola di F. Boas fino a B.L. Whorf. b) La lingua rivela i modi di vita e i valori culturali di una società. «Tutti i rapporti sociali – osserva E.E. Evans-Pritchard – tutte le credenze, tutti i procedimenti tecnici, tutti i fenomeni insomma della vita sociale si esprimono in parole come in gesti, e quando si è capito perfettamente il contenuto di tutte le parole della lingua in tutte le situazioni corrispondenti si è portato a termine lo studio della società». Questa posizione non sembra particolarmente controvertibile, quando si pensi all’importanza della letteratura orale di un gruppo, e in genere della rete fittissima di rimandi che la lingua quotidiana stabilisce con le istituzioni, la storia, le rappresentazioni di un gruppo. Attraverso l’osservazione della lingua vengono quindi alla luce sistemi anche complessi di rapporti intrasocietari; e da questo punto di vista gli obiettivi dell’e. sfumano in quelli della sociolinguistica (salvo a stabilire divisioni d’altro tipo, quali quelle tra società industriali e società preindustriali). c) Correlazioni tra struttura sociale e struttura linguistica. L’ipotesi è stata portata in passato anche a qualche forzatura, per cui si è voluto vedere un rapporto puntuale perfino tra certe istituzioni e certe costruzioni grammaticali (W. Schmidt); anche se alcune di queste corrispondenze possono essere seducenti, è vero che è facile dimostrare l’inverso; e cioè che al variare dell’istituzione non corrisponde un pari cambiamento della struttura linguistica. In questi termini si espresse negli anni 1950 J. Stalin che fece osservare come al profondo cambiamento delle strutture sociali russe dopo la Rivoluzione d’Ottobre non fosse seguito alcun paragonabile cambiamento nella lingua. E tuttavia l’ipotesi merita ancora di essere esplorata; infatti non è a priori assurdo che anche sul sistema della lingua si iscrivano delle tracce tipiche del sistema sociale che se ne serve. Il rapporto è troppo intenso e continuo perché la lingua possa rimanere un anodino sistema di segni di comunicazione; quand’anche fosse semplicemente un utensile, e non molto di più, è impossibile che non rimangano tracce, modellature, usure.
Di pertinenza dell’etnolinguista può anche essere considerato l’insieme di osservazioni che l’americano D. Hymes raccoglie sotto l’intestazione «etnografia della comunicazione», e cioè tutto ciò che pertiene alla descrizione dell’uso della comunicazione, vista nei suoi modi, canali, codici, eventi, protagonisti ecc. Questo indirizzo deve innanzitutto colmare le lacune delle nostre conoscenze sul modo in cui è usata la lingua in una comunità, visto che finora la descrizione linguistica si è occupata prevalentemente dell’aspetto dei codici usati nella comunicazione. Questa attenzione al contesto dell’atto comunicativo porta, per es., a reintegrare nel dominio dei fatti da descrivere anche fenomeni che da un punto di vista interno alla struttura della lingua potrebbero sembrare aberranti, abnormi. Esempio tipico di tale recupero è la glossolalia (➔). Fenomeno forse del tutto estraneo a un’indagine propriamente linguistica, esso riassume la sua importanza quando venga collocato nel contesto in cui di solito si produce, e cioè nelle adunanze religiose di certe Chiese, per es. dei Pentecostali.
Quanto più si amplia il campo dell’e., tanto più diminuisce la necessità di tenerla distinta dalla linguistica. L’esame delle categorie conoscitive porta a rivedere le concezioni della semantica e del lessico; le stesse regole sintattiche o fonologiche si mostrano, a un esame approfondito, tutt’altro che ‘impermeabili’ ai fatti culturali, anche se naturalmente costituiscono la parte più autonoma della lingua.