Nona lettera dell’alfabeto latino.
La forma primitiva della lettera i nell’alfabeto fenicio era ✂ e il suo valore fonetico era quello di un i semiconsonante. La forma si venne via via semplificando: presso gli Ebrei, finendo col ridursi a un grosso punto munito d’un apice inferiore, il più piccolo di tutti i segni alfabetici; presso i Greci e i Romani, riducendosi a una semplice asta verticale, da cui derivarono poi le varie forme delle scritture corsive. L’uso del punto sull’i minuscolo, introdotto nelle scritture latine del tardo Medioevo, dapprima in forma di sottile apice obliquo, per evitare confusioni tra la lettera i e i tratti verticali delle lettere u, n, m, diventò presto generale, ma fu sempre inteso come una prova di scrupolo eccessivo. L’impiego d’un i minuscolo senza punto fu rinnovato nel 16° sec. da C. Tolomei e da P.F. Giambullari, in via sperimentale e solo come segno ortofonico, per distinguere l’i non vocale dall’i vocale.
La lettera i del latino non era esclusivamente vocale come l’ι del greco, ma era comunque vocale sillabica in quasi tutte le posizioni, e semiconsonante solo tra vocali (per es., Gaius), o all’inizio di parola davanti ad altra vocale (per es., iocus); la generalizzazione del suono semiconsonantico per l’i latino atono davanti ad altra vocale (per es., basium) è un fenomeno relativamente tardo, dell’età imperiale.
Nell’uso ortografico odierno la i. sostituisce anche, per tutte le parole italiane (eccezion fatta per pochi nomi propri che conservano la grafia tradizionale), il segno j nei casi e nelle posizioni in cui questo era adoperato in passato.
Nell’uso fonetico, la lettera i può avere in italiano tre valori: vocale (sillabica e tonica come in pino; sillabica ma atona come in pineta; asillabica come in baita); semiconsonante (come in piano); segno diacritico (come in maggio). I confini fra le tre pronunce non sono così rigidi da non ammettere in numerosi casi uno scambio stilistico tra la prima e una delle altre. Come regola generale, un i non può essere segno diacritico se non è preceduto da una delle consonanti c, g, sc, gl o eccezionalmente gn; un i non può essere né segno diacritico né semiconsonante se non è seguito da vocale; un i non può essere né segno diacritico né semiconsonante se porta l’accento tonico.
Come vocale, l’i è la più chiusa delle vocali palatali (i, é, è); nella sua pronuncia la lingua è sollevata verso il palato anteriore, e l’apertura delle labbra è minima rispetto a quella che è caratteristica delle altre vocali di questa serie (é, è). Sono trascurabili in italiano anche le variazioni di durata dell’i (così come delle altre vocali) e, in ogni modo, non hanno funzione distintiva, a differenza di quanto avviene in altre lingue, in cui l’opposizione tra i breve (relativamente aperto) e i lungo (chiuso) può servire a distinguere due parole identiche in tutto il resto (in tedesco, per es., bitten «pregare» e bieten «offrire»).
Come semiconsonante l’i italiano non ha un suono nettamente differenziato dall’i vocale come l’j del tedesco e d’altre lingue. In italiano l’opposizione tra i due fonemi, confusi dalla scrittura in una lettera unica, è possibile solo, e non sempre, davanti a un’altra vocale; nelle rimanenti posizioni l’italiano conosce solo il suono vocalico. Davanti a vocale postonica, o in mezzo a due vocali (anche tra vocale e u semiconsonante) senza riguardo alla sede dell’accento, la pronuncia comune ammette solo un i semiconsonante: per es., coppia, abbaiare, aiuola, noia. Anche in posizione iniziale (prevocalica) si ha di regola i semiconsonante: per es., iattura, ieri. L’i preceduto da consonante e seguito da vocale tonica o protonica è di regola semiconsonante: per es., arpione, fiammata.
Ultima funzione della lettera i è quella di segno diacritico. Nei gruppi cia cio ciu, gia gio giu, scia scio sciu, glia glie glio gliu la lettera i ha solo la funzione d’indicare la pronuncia dolce delle consonanti che la precedono, e la stessa funzione conserva nei gruppi cie, gie, scie, gnia (per es., socie, regie, conscie, sogniamo).
S’intende per i prostetico l’i premesso a parole comincianti per s impura quando nella frase vengono a trovarsi precedute da consonante: per es., in istrada. Il fenomeno ha la sua origine nel latino volgare, e in altre lingue romanze ha avuto sviluppi più estesi che in italiano: all’it. spada fanno riscontro il fr. épée, lo sp. e port. espada, in cui la vocale prostetica si è fissata alla parola. In italiano il fenomeno si è ridotto a poche formule come per iscritto.
Per i greco ➔ Y.
Simbolo dello iodio.
La lettera I indica tradizionalmente il momento di inerzia di un sistema materiale, l’intensità di un’onda; la lettera i, o anche I, indica l’intensità di una corrente elettrica.
In geofisica, sulle carte meteorologiche si indicano con I le masse d’aria intermedia o temperata.
La lettera i (o anche j) indica l’unità immaginaria, numero complesso avente la proprietà che i2=−1 (➔ complessi, numeri).