Delitto consistente nella soppressione di una o più vite umane.
Previsto e disciplinato dal titolo XII c.p. dedicato ai delitti contro la persona, l’omicidio può assumere la forma dolosa (art. 575 c.p.) – aggravata (art. 576, 577) o meno – preterintenzionale (art. 584 c.p.) e colposa (art. 589 c.p.). Elementi comuni a tutte le ipotesi indicate sono: il bene giuridico, la struttura del reato, la natura e la forma. Il bene giuridico è la vita umana che, nel rispetto dei principi costituzionali (art. 2 Cost.), non è di esclusiva pertinenza del singolo, ma appartiene alla collettività intera in quanto espressione di un interesse statale. Sotto il profilo strutturale l’omicidio si caratterizza per il necessario rapporto di causalità che collega la condotta umana all’evento morte (Reato). L’offesa deve dunque concretizzarsi in una lesione effettiva del bene protetto. Per tale ragione l’omicidio appartiene alla categoria dei cosiddetti reati di danno. Sotto il profilo formale, l’omicidio si caratterizza per essere un cosiddetto reato comune – nel senso che può essere commesso da chiunque, non essendo necessario che l’autore del fatto rivesta una qualifica particolare – e a forma libera, non richiedendosi per la sua realizzazione modalità specifiche, ma soltanto un comportamento idoneo a cagionare l’evento morte. A modulare in modo diversificato la figura delittuosa in esame è l’elemento psicologico.
In particolare, l’omicidio doloso consiste nel cagionare volontariamente la morte di un uomo. La consumazione si realizza nel momento e nel luogo in cui si verifica l'evento morte. La pena prevista è la reclusione non inferiore agli anni 21 (Pena criminale). Tuttavia, gli art. 576 e 577 prevedono una serie di circostanze aggravanti, quali, per esempio, la premeditazione, l’uso di sostanze venefiche, la latitanza, e i motivi abietti o futili, il cui effetto è l’applicazione della pena dell’ergastolo. La pena è invece minore (da 6 a 15 anni) nel caso in cui la morte di un uomo è determinata con il suo consenso (art. 579 c.p.).
L’omicidio preterintenzionale si caratterizza invece per l’elemento soggettivo della preterintenzione, una forma di colpevolezza consistente nella volontà di un evento minore (per esempio le percosse o le lesioni) e dal verificarsi invece di un evento più grave che va oltre l’intenzione, quale appunto la morte. L’art. 584 c.p. punisce, infatti, chiunque, con atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto di percosse o lesioni, cagiona la morte di un uomo. In questo caso la reclusione è dai 10 ai 18 anni. Abbandonata la tesi della preterintenzione come tertium genus tra dolo e colpa, si discute ancora oggi se si tratta di un’ipotesi di dolo (per il delitto meno grave effettivamente voluto) misto a responsabilità oggettiva o misto a colpa (in riferimento al delitto più grave).
L’omicidio colposo, infine, si configura quando l’agente non vuole cagionare l’evento morte, ma questo si verifica come risultato della propria condotta per negligenza, imperizia, o imprudenza (colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).
Nella morale cattolica, l’omicidio volontario è uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
L’omicidio rituale è l’uccisione compiuta nell’ambito del sacro, ma con la consapevolezza di compiere un atto illecito. Non sono suscettibili di essere inclusi sotto questa espressione il sacrificio umano o l’uccisione sacrale del re, mentre possono esservi comprese pratiche che, pur lontane dai comportamenti sociali quotidiani e normali, sono dovute tuttavia a motivazioni di ordine sacrale, fatto presente nelle più diverse situazioni socioculturali, tra i cacciatori di teste, nelle sporadiche occasioni di aggressione tra membri del gruppo (per es., tra i Naga dell’Assam), in sette religiose quali i Thug indiani e, nella civiltà occidentale euroamericana, nell’attività di associazioni criminali a sfondo pseudoreligioso.