Ghiandola dell’apparato genitale maschile, situata sotto la vescica e sopra il diaframma uro-genitale.
Piccola nel bambino, la p. si sviluppa all’epoca della pubertà. Ha forma e dimensioni simili a una castagna, con la parte più ristretta rivolta in basso, appiattita in senso anteriore. È lunga 3 cm, larga 4 cm, e spessa 2,5 cm. È contenuta nella loggia prostatica, costituita da una parete anteriore formata dalla faccia dorsale del pube e da una parete posteriore formata dall’aponeurosi prostatoperitoneale, lamina aponeurotica, impari e mediana che deriva dall’aponeurosi perineale media e si stende frontalmente dal margine posteriore dell’aponeurosi perineale media al cul di sacco peritoneale. Le due pareti laterali della loggia prostatica sono costituite dalle due aponeurosi puborettali: una inferiore dalla lamina superiore dell’aponeurosi perineale media e una superiore corrispondente ai legamenti pubo-vescicali e alla faccia inferiore della vescica. La p. è circondata da una capsula fibrosa, attraversata dalla porzione iniziale dell’uretra (uretra prostatica), nonché dai dotti eiaculatori. Il parenchima della p. è costituito da acini ghiandolari (ghiandole prostatiche) a struttura tubo-alveolare e da uno stroma costituito da tessuto connettivo e sistemi di fibre muscolari lisce collegate con la muscolatura vescicale e uretrale. Regione prostatovescicale Regione anatomica, impari e mediana, localizzata nella metà anteriore del piccolo bacino; comprende la vescica urinaria e la loggia prostatica.
La parte ghiandolare vera e propria della p. ha funzione esocrina (elaborazione del liquido e del succo prostatico). Insieme alle ghiandole bulbouretrali e alle vescicole seminali, partecipa alla produzione dell’eiaculato. Il liquido prostatico costituisce il 26% dell’eiaculato. Contiene per la quasi totalità elettroliti, nonché componenti che hanno un ruolo nella motilità e sopravvivenza degli spermatozoi. Il liquido prostatico interviene nella diminuzione della viscosità dei secreti vescicolari ed epididimotesticolari, aumenta la motilità degli spermatozoi, attenua l’acidità di urine e secreti vaginali e partecipa ai processi di coagulazione e fluidificazione dello sperma.
La prostatorrea è la fuoriuscita di liquido prostatico dal meato uretrale senza eiaculazione. Può essere un fenomeno privo di significato patologico (per es., per effetto degli sforzi durante la defecazione, in caso di stipsi) o costituire un sintomo di una patologia prostatica.
La p. può essere sede di diversi processi morbosi: infiammazione, tumore, calcolosi, cisti, parassitosi ecc.
Ipertrofia. L’ipertrofia prostatica costituisce un’affezione molto frequente, che insorge di solito dopo i 50 anni, con un aumento di volume della ghiandola, che comprime e deforma il tratto iniziale dell’uretra, ostacolando lo svuotamento vescicale. Il processo proliferativo, non neoplastico, alla base dell’ipertrofia sembra legato allo squilibrio fra androgeni ed estrogeni che si verifica dopo i 40 anni. L’ipertrofia evolve, nella sintomatologia, attraverso 3 stadi successivi: inizialmente si ha difficoltà alla minzione, specie all’inizio di essa, con ridotta validità del getto urinario e gocciolamento post-minzionale, e aumento della frequenza delle minzioni diurne. Nel secondo stadio si accentuano i sintomi del primo periodo, mentre il paziente non riesce a vuotare completamente la vescica, nella quale dopo la minzione ristagna urina (residuo vescicale). Nel terzo stadio la vescica è distesa dall’urina che vi ristagna e si instaura una ‘minzione per rigurgito’ caratterizzata da un frequente o continuo stillicidio di urina, senza la possibilità di vere e proprie minzioni volontarie. Le complicazioni dell’ipertrofia sono cistiti, pieliti, pielonefriti, ematuria, calcolosi vescicale e, nelle fasi tardive, insufficienza renale. La terapia è essenzialmente chirurgica e consiste nell’asportazione della parte dell’organo che si presenta adenomatosa o ipertrofica (prostatectomia parziale) per via endoscopica o a cielo aperto.
Il prostatismo costituisce l’insieme dei disturbi urinari propri dell’ipertrofia prostatica. Tale sintomatologia può sussistere anche in assenza di ipertrofia. In tal caso i disturbi disurici dipendono da alterazioni congenite o acquisite del collo vescicale o da alterazioni funzionali della muscolatura della vescica.
Prostatite. È l’infiammazione della p. provocata da agenti infettivi (gonococco, colibacillo, streptococco ecc.) che possono pervenire per via uretrale o per via ematica. Può essere acuta o cronica. Nella prostatite acuta sono presenti febbre, brividi e disturbi urinari (tenesmo vescicale, bruciore minzionale, dolore perineale, a volte ritenzione acuta di urina); può regredire completamente oppure evolvere verso la formazione dell’ascesso prostatico o del flemmone periprostatico. La terapia si basa sull’impiego degli antibiotici oppure del drenaggio chirururgico. La prostatite cronica può non presentare sintomi, a eccezione della fuoriuscita di pus dal meato urinario al mattino; si può accompagnare a disturbi urinari (pollachiuria, disuria, senso di replezione nel retto). La cura si giova, oltre che degli antibiotici, di massaggi prostatici ripetuti e della fisioterapia.
In particolare, il massaggio prostatico è una manovra che si esegue a scopo diagnostico, per raccogliere ed esaminare il secreto prostatico; l’effetto terapeutico è dovuto al miglioramento delle condizioni circolatorie locali sanguigne e linfatiche. La prostatite tubercolare è di solito associata a una lesione tubercolare del testicolo o dell’epididimo; ha un decorso cronico, e si giova della terapia specifica.
Tumori. I tumori maligni della p. sono generalmente adenocarcinomi, qualche volta scirri elettivamente localizzati nella parte alta, raramente sarcomi. L’adenocarcinoma può coesistere con l’adenoma, ma si tratta di semplice associazione e non di un’evoluzione maligna del tumore benigno. Nella patogenesi di questa forma neoplastica è documentata l’influenza dell’età. La struttura istologica è quella tipica degli adenocarcinomi: cordoni epiteliali pieni e cordoni con piccolo lume centrale. Di solito il tumore prende origine dalla parte caudale della ghiandola e la invade mantenendosi inizialmente all’interno della capsula; in un secondo tempo sconfina nella loggia prostatica, invade le linfoghiandole e infiltra le vesciche seminali e il perineo. Sedi elettive delle metastasi sono bacino e colonna vertebrale.
La sintomatologia è imperniata su una condizione di prostatismo, rapidamente ingravescente, cui si associano nelle fasi avanzate dolori irradiati agli arti, alle regioni trocanteriche e ai lombi.
La terapia è spesso chirurgica; l’ablazione della p. (prostatectomia totale) nei casi in cui la diagnosi è stata sufficientemente tempestiva porta a definitiva guarigione. Talvolta si esegue l’asportazione in toto di p. e vescicole seminali (prostatovescicolectomia). Come trattamento complementare, o alternativo nei casi di inoperabilità, si pratica radioterapia, somministrando farmaci chemioterapici o terapia antiandrogenica, fondata sull’interazione molecolare fra androgeni e relativi recettori, dislocati sugli organi bersaglio. Gli androgeni, infatti, agiscono sulle cellule prostatiche sia in condizioni fisiologiche sia quando si è verificata una trasformazione neoplastica. Poiché il carcinoma prostatico è nella maggior parte dei casi un tumore ormonosensibile, la deprivazione androgenica rappresenta un valido strumento del controllo tumorale. La deprivazione classica si basa sull’intervento di orchiectomia, tuttavia è possibile ricorrere a sistemi di inibizione a livello ipotalamico e ipofisario, con il blocco di molecole in grado di stimolare la produzione di androgeni (deprivazione farmacologica).