Per il rapporto secondo il quale due beni si scambiano tra loro ➔ ragione di scambio.
Denominazione data a una società commerciale per contraddistinguerla da altre (è sinonimo quindi di ditta; nel codice civile anche denominazione sociale); è formata dal nome di un socio o di più soci nelle società in nome collettivo o in accomandita, oppure dalla denominazione dell’oggetto sociale, da una sigla o da un nome di fantasia nelle società per azioni.
Facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e, al tempo stesso, facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi.
Ragione è termine filosofico, corrispondente al lat. ratio, traduzione del gr. λόγος, e di essi mantiene il duplice significato di «razionalità» e «discorso», designando l’attività logico-argomentativa peculiare dell’uomo. Una specifica determinazione dell’ambito di ratio si ha però solo nella terminologia medievale: così per s. Tommaso la ratio si distingue dall’intellectus in quanto rappresenta l’attività argomentativa di fronte alla conoscenza intuitiva propria dell’intellectus. Nell’età moderna tale valutazione si inverte. Già Nicola Cusano vedeva nella ratio la superiore attività conoscitiva, che giunge a conciliare le opposizioni poste e non risolte dall’intellectus. Per Spinoza la ratio è la fonte delle idee comprendenti la realtà nella sua assoluta eterna essenza; per Leibniz essa conduce alla conoscenza delle verità necessarie e universali («verità di ragione») contrapposte alle «verità di fatto», basate sull’esperienza. Il pensiero illuministico sottolinea in modo particolare la funzione progressiva della ragione, intesa come facoltà critica, come possibilità di sottomettere a esame imparziale qualunque portato della tradizione. Per I. Kant, in quanto procedimento conoscitivo, la ragione è passibile di una precisa definizione; distinta dall’intelletto inteso come «facoltà dell’unità dei fenomeni mediante regole», essa si pone come «facoltà delle regole dell’intelletto mediante i principi». Ma in questo suo uso la ragione postula «idee» non verificabili nell’esperienza e dà luogo a conclusioni non valide e illusorie. Nell’uso pratico, al contrario, in quanto fonte di idee regolative, la ragione assurge a suprema facoltà. Nell’idealismo postkantiano e in particolare in G.W.F. Hegel la superiorità della ragione è assoluta, spettando alla ragione di superare le astrazioni dell’intelletto per attingere l’universale concreto. Nella filosofia contemporanea, l’interesse di una definizione specifica del concetto di ragione è venuto diminuendo, mantenendosi solo in qualche caso la classica sopravvalutazione della ragione rispetto all’intelletto.
Il principio di ragione sufficiente esprime, in Leibniz, una forma di concatenazione tra cose, non «necessitante» ma «determinante»; esprime, in altri termini, non la necessità, ma la possibilità di esistere di una cosa. Mentre il principio di contraddizione coglie una concatenazione necessaria (pena appunto la contraddizione), il principio di ragione sufficiente giustifica il concatenarsi delle manifestazioni particolari delle sostanze individuali, concatenarsi non necessario, giacché di un fatto è sempre pensabile il suo contrario. Il principio è dunque il fondamento delle verità «contingenti». Una nuova sistemazione del principio di ragione sufficiente è stata data da A. Schopenhauer, che distingue quattro diverse specificazioni del principio: principium rationis sufficientis fiendi (ogni divenire deve avere una causa); principium rationis sufficientis cognoscendi (ogni asserzione conoscitiva dev’essere giustificata); principium rationis sufficientis essendi (ogni realtà, per esistere, deve trovar luogo nel sistema spazio-temporale di tutte le cose); principium rationis sufficientis agendi (ogni azione, per prodursi, dev’essere motivata da un fine della volontà). La tematica del principio di ragione sufficiente inteso come «fondamento» si ritrova in M. Heidegger a esprimere l’idea di un condizionamento di tipo non necessitante.
Come sinonimo di rapporto, il termine si usa in alcune frasi abituali quali: ragione di una progressione geometrica (rapporto costante tra ciascun termine e il precedente), e per analogia ragione di una progressione aritmetica (differenza costante tra ciascun termine e il precedente); dividere un segmento in media ed estrema ragione significa trovare una parte del segmento (media ragione o sezione aurea del segmento) che sia media proporzionale tra l’intero segmento e la parte rimanente (estrema ragione). In formule, se a rappresenta la misura del segmento e x la media ragione, si vuole che sia a:x=x: (a−x), da cui x=a (−1+√‾‾‾5)/2.