Nella sua accezione empirica, il termine lavoro indica ogni attività di impiego di energie fisiche e intellettuali dell’uomo per la produzione o lo scambio di beni e/o servizi. In tale nozione si individuano due profili, tra loro complementari: un aspetto economico, nel quale il lavoro designa qualsiasi attività psicofisica che comporti dispendio di energie e che sia idonea a soddisfare un bisogno individuale o collettivo mediante la produzione o lo scambio di beni o di servizi; un aspetto giuridico, nel quale il lavoro (inteso come attività lavorativa) si iscrive all’interno di un rapporto giuridico tra due soggetti, il lavoratore che presta la propria attività lavorativa e il soggetto (datore di lavoro, committente, appaltante ecc.) che si avvantaggia di tale prestazione per la soddisfazione dei propri interessi. Ciò vale per tutte le forme di lavoro, e in particolare per il lavoro subordinato e per il lavoro autonomo, in quanto pur nelle diverse configurazioni che il rapporto assume, si è sempre in presenza di una relazione giuridicamente qualificata (come lavoro rapporto di lavoro) e quindi tutelata. Il codice civile, pur dettando una disciplina sistematica del rapporto di lavoro negli art. 2096 e ss., non dà alcuna indicazione circa l’origine del rapporto e in particolare sulla sua natura, contrattuale o meno. In questo ambiente normativo ha trovato spazio la concezione, di origine tedesca, secondo cui la fonte del rapporto di lavoro non sarebbe il contratto, bensì l’inserzione di fatto del prestatore nell’impresa, quale comunione di scopo tra datore di lavoro e lavoratore (cosiddetta teoria istituzionale comunitaria), con superamento della causa di scambio e invocazione, tutt’al più, di un contratto associativo. È tuttavia prevalsa la tesi dell’origine contrattuale del rapporto di lavoro, ritenendosi il contratto imprescindibilmente garanzia di libertà, pienamente compatibile con le limitazioni derivanti dalla disciplina inderogabile e con la regolamentazione della prestazione di fatto, che anzi presuppone espressamente l’esistenza di un contratto sia pure invalido (Cass., S.U., sent. 17 maggio 1996, n. 4570). La riconduzione del rapporto di lavoro alla fonte contrattuale permette di inquadrare molti problemi, altrimenti di ardua soluzione, nella disciplina generale del negozio sancita dal codice civile, come avviene, per es., per la formazione dell’accordo (art. 1326 e ss.), per l’interpretazione (art. 1362 e ss.), per la rappresentanza (art. 1387 e ss.), per la simulazione (art. 1414 e ss.), e per l’invalidità (art. 1418 e ss.). La più moderna dottrina definisce il lavoro contratto di lavoro come un contratto oneroso di scambio a prestazioni corrispettive, nel quale la causa è costituita proprio dallo scambio tra lavoro e retribuzione secondo un vincolo di reciprocità (do ut facias). Il lavoro e la retribuzione costituiscono l’oggetto del contratto che deve essere, a pena di nullità (art. 1418, co. 2 c.c.), possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346 c.c.). Il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti (art. 1325, n. 1, c.c.), che si realizza quando l’accettazione giunge a conoscenza del proponente (art. 1326, co. 1, c.c.). Di solito è il lavoratore ad accettare la proposta del datore di lavoro, normalmente assai scarna, poiché la disciplina del rapporto è quasi integralmente posta dalla legge e dai contratti collettivi. La violazione dell’obbligo di condotta secondo buona fede nelle trattative determina una responsabilità risarcitoria cosiddetta precontrattuale (art. 1337 c.c.). Il datore di lavoro, già tenuto a far conoscere al lavoratore, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica assegnategli secondo quanto disposto dall’art. 96 disp.prel.c.c. (Categorie e qualifiche professionali), ha ora anche l’obbligo, presidiato da sanzione amministrativa pecuniaria, di comunicare per iscritto al lavoratore, entro 30 giorni dall’assunzione, una serie di informazioni relative al rapporto e alla sua, in parte anche mediante rinvio al contratto collettivo eventualmente applicato. Tuttavia la forma del contratto di lavoro rimane libera proprio perché tale comunicazione scritta costituisce un adempimento successivo e distinto dall’assunzione. Libertà di forma significa che il contratto può essere concluso e modificato anche oralmente o per fatti concludenti. La forma scritta è prevista per legge solo per alcuni contratti, clausole o atti, di solito a tutela della posizione del lavoratore, ossia: per l’apposizione del termine al contratto di lavoro (Lavoro a tempo determinato), per il contratto di formazione lavoro, per il contratto di somministrazione, per il patto di prova (Lavoro in prova), per il lavoro a tempo parziale, per la trasformazione da part-time a full-time, per il patto di non concorrenza. La forma scritta è necessaria altresì se il contratto di lavoro vuole (dai contraenti) essere certificato.
Contratti collettivi di lavoro
Categorie e qualifiche professionali
Contratto di formazione lavoro
Somministrazione di manodopera