scenografìa Insieme degli elementi, dipinti o plastici, presenti in uno spazio scenico.
Le origini della s. risalgono alla nascita del teatro. Aristotele considerò l'apparato scenico come uno dei sei elementi costitutivi della tragedia (in quanto agisce psicologicamente sull'animo degli spettatori). La scena (skenè), edificio rettangolare a corridoio che chiudeva trasversalmente l'orchestra ed era adibito a spogliatoio degli attori, fu mascherata con pelli e tele colorate di rosso o di azzurro; ma fu Sofocle che ebbe l'idea dello scenario dipinto, verso il 465 a.C., usato anche da Eschilo. La scena romana, derivata da quella greca ellenistica, raggiunse forme raffinate, soprattutto in funzione ornamentale. Dopo la scomparsa di ogni forma di teatro organizzato nel 4° sec. d.C., solo nel 9° sec., con la nascita del dramma liturgico, si riavviò una pratica teatrale strutturata, la cui componente scenografica era costituita dagli stessi elementi architettonici della chiesa dove avveniva la rappresentazione, quali altare maggiore, coro, sacello e navata centrale. Con il perfezionamento trecentesco del dramma liturgico, che comportò l'inserimento di elementi profani, si svilupparono anche gli apparati scenici, che tuttavia erano provvisori. Soltanto alla fine del 15° sec. con la riscoperta umanistica e la rivalutazione della commedia classica di Plauto e Terenzio, si sentì la necessità di un luogo appropriato, di modello classico, con scena prospettica 'all'italiana', dove trovarono opportuna sede i raffinati e originali testi di L. Ariosto, N. Machiavelli e di P. Aretino. Su questo impianto prospettico la s. barocca inserì il movimento delle scene che si trasformano: per es. un paesaggio che si muta, sotto gli occhi degli spettatori, in una caverna infernale. Le famiglie degli scenografi italiani del Seicento e del Settecento costituirono dinastie famose (Torelli, Vigarani, Burnacini, Bibiena, Galliari), che inventarono nuove macchine teatrali e nuovi sistemi, richiesti in tutta Europa.
Un tipo di s. particolarmente importante per la storia dello spettacolo è quello illusionistico, che vuole dare allo spettatore l'illusione di trovarsi seduto di fronte a un'altra realtà, esterna al teatro, ricomposta attraverso scene dipinte, costruite o ricostruite tramite mobili e oggetti: una piazza, un palazzo, un bosco. Un'altra tipologia scenografica, quella non illusionistica, non trasforma lo spazio scenico in qualcos'altro, ma lo elabora architettonicamente per renderlo espressivo, adatto all'azione degli attori. Tipica del teatro novecentesco, questa s. suggerì sensazioni spaziali mediante moduli architettonici privi di connotazioni realistiche, dove si componevano e si contrapponevano linee e volumi orizzontali o verticali, luci e ombre, pieni e vuoti. Accanto alla scena non illusionistica di tipo architettonico, troviamo anche una s. pittorica, realizzata da grandi pittori-scenografi, soprattutto nella Russia postrivoluzionaria, o fra cubisti, simbolisti o surrealisti creatori di quadri-fondali non realistici, che volevano stimolare emotivamente l'osservatore. La s., in alcuni casi, si spinse fino allo spazio vuoto: fu costituita principalmente dai costumi degli attori, non solo appariscenti, fastosi, spesso corredati da maschere - tali da costituire anch'essi una vera e propria s. in movimento - ma talora anche sovradimensionati rispetto al corpo dell'attore che li indossava, quindi tali da trasformare soprattutto le proporzioni e da mutare lo spazio attorno a sé.
Se per s., in teatro, si intende lo sfondo (in genere, artificiale, appositamente progettato) davanti al quale si svolge l'azione drammatica, nel cinema il concetto di s. è più complesso, non tanto perché rispetto a uno sfondo naturale il termine appaia meno congruo, quanto per il fatto che a ogni inquadratura corrisponde praticamente una s. diversa. Così la s. è una soltanto sul set, mentre nel film si hanno molte s., non solo in rapporto al taglio dell'inquadratura, ma anche ai cambi d'illuminazione, alle variazioni della profondità di campo, ai tipi di obiettivo, nonché ad altri elementi. L'unità della s. cinematografica si trasmette tale e quale dal set al film soltanto nei casi in cui si privilegia il ricorso all'inquadratura fissa (nelle pratiche del cinema cd. primitivo, o teatrale, oppure nel cinema d'autore più rigoroso). In tutti gli altri casi è il montaggio, essenza stessa del cinema, a moltiplicare nel film gli aspetti della s., le sue rifrazioni e metamorfosi apparenti. Gli spazi tradizionalmente riservati allo scenografo si vanno tuttavia restringendo nell'era dell'immagine elettronica e soprattutto dell'animazione virtuale, che ormai sostituisce più economicamente le ambientazioni ricostruite.