Scienza che si occupa dello studio del cuore, in condizioni normali o patologiche.
Evoluzione dei mezzi diagnostici. - L’esame clinico delle condizioni cardiocircolatorie si limitava in passato all’ispezione, alla palpazione e alla delimitazione percussoria dell’aia cardiaca, all’ascoltazione dei toni e rumori cardiaci – direttamente o mediante stetoscopio – e al rilievo dei caratteri del polso, giovandosi tutt’al più di strumenti relativamente semplici, quali il cardiografo, lo sfigmografo e, solo più tardi, lo sfigmomanometro. Di decisiva importanza per la diagnostica cardiologica è stata l’introduzione dell’elettrocardiografia (➔). L’impiego dello stimolatore cardiaco artificiale (➔ pacemaker) e del defibrillatore impiantabile ha permesso di restaurare, mediante stimoli elettrici artificiali, l’attività cardiaca in caso di anomalie della formazione o della conduzione dell’impulso elettrico (blocchi seno-atriali e atrio-ventricolari) o di tachiaritmie ventricolari (➔ aritmia).
Progressi in campo diagnostico sono stati realizzati con l’introduzione della ecocardiografia (➔ ecografia), della scintigrafia miocardia e della coronarografia. Tali metodiche di indagine offrono elementi precisi circa la forma, il volume e la funzione contrattile del cuore, delle sue cavità e dei vasi che da esso si dipartono, e sono di prezioso ausilio nella diagnosi, nella stadiazione e nel trattamento di coronaropatie, cardiomiopatie, malattie valvolari, cardiopatie congenite. La tomografia computerizzata cardiaca e la risonanza magnetica cardiaca (RMN) sono ulteriori metodiche radiologiche. La RMN è impiegata nello studio della funzione meccanica e della perfusione (studio della circolazione delle coronarie) del muscolo cardiaco, delle malattie dell’aorta (dissezione aortica) e del pericardio, di tumori cardiaci o paracardiaci, di insufficienze valvolari e di cardiopatie congenite complesse. Un’altra fondamentale acquisizione nella diagnostica per immagini è costituita dalla tomografia a emissione di positroni (PET, Positron Emission Tomography), che ha consistenti applicazioni sia nel campo della ricerca scientifica sia in quello della pratica clinica, specie per lo studio del flusso coronarico e del metabolismo miocardico.
La cineangiocardiografia (➔) è un altro importante metodo diagnostico per individuare l’eventuale presenza di canalizzazioni anormali.
Le indagini più utilizzate. -Nonostante i progressi nel campo, l’elettrocardiogramma (ECG) rappresenta ancora l’esame strumentale più classico e più semplice nell’approccio al paziente con cardiopatia, nonché uno degli esami di screening effettuati nella prima visita di ogni soggetto, ai fini di un iniziale inquadramento clinico. Da quando N.J. Holter (1961) perfezionò un primo registratore portatile adatto a registrare l’ECG per tutto l’arco di una giornata, la tecnica dell’elettrocardiografia dinamica si è andata via via affinando e le apparecchiature disponibili hanno finito per permettere tempi di registrazione sempre più lunghi e una lettura sempre più rapida, con la possibilità di valutare sia eventuali alterazioni del tracciato dell’ECG in senso ischemico sia la presenza di aritmie (da un punto di vista qualitativo e quantitativo) mediante l’ausilio di sistemi computerizzati.
L’uso sempre più affidabile delle tecniche di registrazione elettrofisiologica endocavitaria, associate alla possibilità di stimolare il cuore in diverse sedi anatomiche valutando l’eccitabilità e la refrattarietà delle sue diverse zone, ha portato a una migliore conoscenza dei fenomeni elettrici caratteristici dell’attività cardiaca. Queste metodiche invasive, che non rappresentano indagini di routine, vengono effettuate solo in centri specializzati e in presenza di indicazioni specifiche. Un’indagine strumentale che continua invece a rappresentare un esame fondamentale di screening nel paziente cardiopatico o con sospetto di malattie cardiache è la radiografia del torace.
Insieme all’ECG e alla radiografia del torace, è comunque l’ecocardiografia l’esame di più largo impiego in cardiologia. L’ecocardiogramma permette una ben definita analisi dell’anatomia e del movimento delle valvole cardiache, delle alterazioni di dimensione e di movimento delle pareti e cavità cardiache, nonché la valutazione della capacità di contrazione dei ventricoli. È inoltre ampiamente usata l’ecocardiografia transesofagea, che permette, introducendo il trasduttore in esofago, il superamento di alcuni limiti tecnici dell’ecocardiografia classica. L’approccio transesofageo mostra elevata sensibilità diagnostica nei confronti di alcuni tipi di patologie (trombosi nelle cavità cardiache, patologie delle valvole cardiache e dell’aorta) e diviene elettivo quando siano necessarie informazioni quantitative non altrimenti ottenibili dalla tradizionale indagine transtoracica. Sempre maggiore consenso sta ottenendo l’ecocardiografia sotto stress. Questa può essere effettuata durante sforzo fisico, oppure utilizzando farmaci come il dipiridamolo e la dobutamina, con lo scopo di evidenziare condizioni di ischemia miocardica o di identificare la quota di miocardio vitale, quando sia necessario definire l’indicazione per una procedura cardiochirurgica.
Le tecniche di visualizzazione cardiaca mediante radioisotopi hanno avuto sempre maggiore applicazione per lo studio di pazienti affetti da ischemia coronarica, valvulopatie, cardiopatie congenite, cardiomiopatie o altre patologie. Esse sono ben tollerate dal soggetto, di relativamente facile esecuzione, ma abbastanza costose. Si dispone di due tipi di tecniche: quelle che visualizzano il miocardio ed eventuali zone infartuate (studi di perfusione) e quelle che permettono di valutare la funzione e i movimenti delle pareti ventricolari (ventricolografia). I principali radioisotopi impiegati in questa metodica sono il 201Tl (per lo studio della perfusione miocardica) e il 99mTc (per quello della contrattilità ventricolare). Il cateterismo cardiaco mantiene un ruolo centrale nell’iter diagnostico di numerose cardiopatie e rimane un passaggio obbligato in molte situazioni per giungere a una diagnosi definitiva. L’indagine consiste nell’avanzare un catetere flessibile attraverso vasi venosi o arteriosi all’interno del cuore e dei grossi vasi a esso contigui. Possono essere ottenuti con questa metodica elementi utili ai fini diagnostici, per es., mediante prelievi bioptici o esami elettrofisiologici. Dati fondamentali, soprattutto nei pazienti candidati a interventi cardiochirurgici, sono inoltre ottenuti dall’iniezione attraverso il catetere di un mezzo di contrasto opaco ai raggi X, che permette la visualizzazione radiologica delle cavità cardiache e dei grandi vasi (angiocardiografia).
In corso di cateterismo cardiaco (fig. 1 A e B) e coronarografia è spesso possibile dilatare con appositi cateteri a palloncino gonfiabile una o più arterie coronarie (➔ angioplastica) che presentino stenosi (fig. 2). Questa tecnica è diffusissima e in molti casi può rappresentare un’alternativa al tradizionale intervento cardiochirurgico di by-pass. Le percentuali di successo aumentano considerevolmente in seguito all’applicazione di stent in grado di mantenere aperto il tratto di arteria coronaria precedentemente dilatato con il palloncino gonfiabile. Per prevenire la possibile formazione di un trombo occlusivo che spesso tende a formarsi nella sede dello stent, si utilizzano farmaci antiaggreganti piastrinici (aspirina, ticlopidina, clopidogrel). L’angioplastica con catetere a palloncino, con o senza l’applicazione di stent coronarici, rappresenta la procedura interventistica non chirurgica più usata per ripristinare il flusso di sangue nella o nelle arterie coronarie coinvolte da gravi processi aterosclerotici che determinano il restringimento o l’ostruzione completa di questi condotti vascolari. Altre procedure interventistiche, anch’esse di competenza cardiologica ed effettuate con sempre maggiore frequenza, sono quelle praticabili a carico delle valvole cardiache. Si tratta delle tecniche di valvuloplastica con catetere a palloncino, che permettono la dilatazione di valvole cardiache stenotiche.
Le malattie di interesse cardiologico più diffuse riguardano le coronarie (cardiopatia ischemica), le turbe del ritmo cardiaco (➔ aritmia), le malattie delle valvole cardiache (➔ valvola) e le malattie del muscolo cardiaco (➔ cardiomiopatia). Con meccanismi diversi e con diversa incidenza possono tutte portare a condizioni di scompenso cardiaco, con insorgenza sia rapida (scompenso acuto) sia a decorso più lento (scompenso cronico).
I paesi a maggiore sviluppo industriale risultano particolarmente colpiti dalle malattie cardiovascolari, soprattutto da alcune forme, come le malattie coronariche e l’infarto miocardico. In questo caso sono proprio alcune delle abitudini di vita caratteristiche delle società più ricche a favorire il manifestarsi della condizione che più spesso predispone alla genesi dell’infarto, ovverosia l’aterosclerosi, più frequente laddove esista un maggiore consumo di grassi e sale nella dieta, con conseguente possibile incremento dei valori di colesterolemia e di pressione arteriosa, riconosciuti quali precisi fattori di rischio. Il controllo di questi ultimi, anche con l’impiego dei mezzi farmacologici più recenti, dimostratisi di notevole efficacia e tollerabilità per il paziente, e di altri noti fattori di rischio come il diabete e l’abitudine al fumo, ha permesso una riduzione nella popolazione generale (prevenzione primaria) dell’incidenza di malattie cardiovascolari di tipo degenerativo. Ancora più evidenti i benefici provocati dal controllo dei principali fattori di rischio e dalle opportune modificazioni dello stile di vita (dieta, attività fisica, astensione dal fumo) nei soggetti già colpiti da un infarto (prevenzione secondaria).
Oltre alle malattie coronariche, la cui espressione più classica è l’infarto, un’altra patologia di notevolissima diffusione è rappresentata dall’insufficienza cardiaca, spesso condizione evolutiva finale di molte malattie cardiovascolari. Fra le cause che frequentemente possono determinare un quadro di scompenso cardiaco sono da segnalare anche le cardiomiopatie nelle quali si manifesta una serie di condizioni morbose fra loro diverse. Le cardiopatie congenite, malformazioni del cuore e dei grossi vasi prodotte da anomalie intervenute in vari stadi dello sviluppo fetale e già presenti alla nascita, mostrano un’incidenza di 1 su 120 nati vivi. In alcuni casi può essere riconosciuta una causa specifica, come certe anomalie cromosomiche o genetiche (trisomia del cromosoma 13, 18 o 21, sindrome di Turner), oppure malattie materne come il diabete e il lupus eritematoso sistemico, o alcune infezioni come la rosolia o la toxoplasmosi. Per il trattamento radicale o palliativo delle malformazioni congenite rivestono un ruolo importante tecniche di recente introduzione, quali l’applicazione transcatetere di dispositivi intracardiaci e intravascolari, con il vantaggio anche di una minore invasività. Stenosi di vasi arteriosi possono essere corrette temporaneamente con la metodica dell’angioplastica ‘a palloncino’, oppure possono essere dilatate con successo mediante stent (supporti metallici espansibili) inseriti all’interno dei vasi coinvolti dall’anomalia.