Il sistema e il modo di separare in un testo scritto i periodi e i vari elementi della proposizione con segni convenzionali (segni d’i.), per rendere più chiaro il senso, indicare le pause e le inflessioni della voce, dar rilievo alle singole parti. È detta anche punteggiatura. Segni comuni in gran parte delle lingue moderne sono: punto o punto fermo, virgola, punto e virgola, due punti, punto esclamativo, punto interrogativo e, per estensione, virgolette, lineetta, parentesi.
Nelle più antiche iscrizioni, l’i. è segnata da una linea verticale o da tre punti l’uno sull’altro (talvolta da due); raro è l’uso di un punto solo; in età classica ed ellenistica le iscrizioni greche non avevano segni di interpunzione. Nelle iscrizioni latine è frequente l’uso del punto tra parola e parola; in quelle latine e greche di età più recente si trovano usate, senza regole precise, la foglia d’edera o la palmetta.
Nei codici, il sistema interpuntivo dell’antichità classica consisteva di tre positurae (ϑέσεις) o distinctiones: la subdistinctio, la media distinctio e la distinctio. Le tre positurae, chiamate poi pausationes e punctaturae, erano rappresentate da un unico segno, il punto, che variava nome e collocazione (accanto all’ultima lettera), secondo le positurae che doveva indicare: in basso, segnava la subdistinctio e si diceva comma; a mezzo, rappresentava la media distinctio e prendeva il nome di colon; in alto, esprimeva la distinctio e si chiamava periodos. Ai tre gradi d’interpunzione fanno riscontro i segni odierni: la virgola; il punto e virgola e il doppio punto; il punto fermo. Il sistema dell’antichità (che usava la scrittura maiuscola delle epigrafi, l’onciale, o la semionciale) passa al Medioevo che mantiene le tre positurae. Con la diffusione di tipi di scrittura minuscola, il comma fu raffigurato da un punto cui sovrasta una verghetta o virgola (.′); il colon, da un punctus planus (.); il periodos, da una barretta posta dopo un punto (. ∣), o da un ‘punto molteplice’ (. : :• :-). Quest’uso sulla fine del Duecento subisce modificazioni per effetto dello studio, più ampio e approfondito, della grammatica e sintassi; i maestri bolognesi di ars dictandi (grammatici, notai e dettatori), nelle loro Summae, della fine del 13° sec. e dei primi del 14°, proposero metodi che si scostavano dal tipo consueto.
L’evoluzione del sistema interpuntivo appare completa nel commentario (14° sec.) all’Ars di Giovanni di Bonandrea, dove i punti sono divisi in sostanziali e accidentali: i sostanziali sono la virgola (,), il comma (.′), il colon (.), il periodos (:). Sono accidentali: il punto legittimo o doppio (..), che occupa il luogo del nome proprio, quando questo è ignorato da chi scrive; il semipunto (./ oppure =), il quale indica che una parola non è finita e continua nella linea successiva; l’interrogativo (?). A lungo si usò il punto fermo o l’interrogativo per l’esclamativo che si diffuse nella forma attuale dalla metà del Settecento.
Con l’invenzione della stampa il sistema interpuntivo acquistò regolarità per opera di scrittori (P. Bembo), trattatisti (O. Lombardelli, G. Vittori da Spello), tipografi (A. Manuzio, G. Giolito ecc.). Dal Cinquecento a tutto il Settecento l’i. è abbondante e retta da criteri logico-sintattici, in relazione al gusto per la costruzione architettonica del periodo, concepito come una rispondenza armonica dei vari membri, disposti simmetricamente o con rigorosa misura prospettica. L’i. nei poeti romantici obbedisce piuttosto a criteri stilistico-artistici, sottolineando i valori sentimentali del discorso, adeguandosi al sentimento nel suo vario determinarsi e fluire. I due criteri, logico e artistico, alla fine del 19° sec. tendono a fondersi.
La lingua letteraria più moderna è parca di segni interpuntivi, fa a meno dei più enfatici (l’esclamativo) e preferisce la semplice virgola ad altri segni più ‘architettonici’, come il punto e virgola e il doppio punto, conformemente alla sintassi non rigida e al gusto più analitico e frammentario.