Affezione del tessuto emopoietico caratterizzata dalla proliferazione anomala della cellula staminale, cioè della cellula non ancora differenziata e con molte potenzialità.
La trasformazione neoplastica della cellula staminale provoca l’alterazione dei meccanismi che ne regolano la proliferazione e la differenziazione, con conseguente deficit di maturazione della progenie. Tali cellule, denominate blasti, esprimono caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche che permettono di stabilire l’appartenenza a una linea maturativa: l’orientamento evolutivo può essere in senso mieloide o linfoide. Nel caso della l. mieloide vengono coinvolti dal processo neoplastico i precursori della serie granulocitaria, mentre nel caso delle l. linfoidi è interessata la linea maturativa linfocitaria. La progressiva e inarrestabile espansione del clone leucemico determina invasione del midollo osseo, con conseguente diminuzione del tessuto emopoietico normale (anemia, piastrinopenia e ridotta produzione di granulociti normali) e infiltrazione di vari tessuti e parenchimi, che possono determinare i sintomi clinici e l’alterazione dei dati di laboratorio. Dal punto di vista clinico si distinguono le l. acute e le l. croniche, con evoluzione lenta e graduale e una certa stabilità clinica durante il trascorrere del tempo.
L’incidenza della l. acuta è di circa 3,5 casi su 100.000 abitanti per anno. Possono essere colpiti entrambi i sessi, con alcune peculiarità: la l. linfoide è più frequente in età pediatrica e in soggetti sopra i 65 anni, mentre le l. mieloidi si manifestano prevalentemente in età adulta. Non sembrano esistere specifiche differenze a carico dei gruppi etnici.
Origine della l. sembra essere un’alterazione a livello cromosomico. Sono stati identificati diversi fattori che possono concorrere allo sviluppo di una l., ma nessuno di essi è certo. Fra questi, figurano: a) le radiazioni ionizzanti nei confronti di alcune forme di l. mieloide, con descrizione di una maggiore frequenza in soggetti esposti a radioterapia o dopo esplosioni nucleari; il potere cancerogeno delle radiazioni è legato alla loro capacità di causare mutazioni genetiche; b) fattori chimici, come il benzene o il toluene e i suoi derivati, che avrebbero la stessa azione delle radiazioni; c) fattori ereditari: è stata rilevata una maggiore incidenza in più membri della stessa famiglia, in gemelli omozigoti o in famiglie con malattie ereditarie genetiche; d) altre malattie ematologiche, come le mielodisplasie o la l. mieloide cronica, la cui evoluzione terminale può essere una l. acuta; e) particolari alterazioni del materiale genetico, di cui è stato messo in rilievo il nesso con alcune forme leucemiche, come per es. il riscontro nella l. mieloide cronica del cosiddetto ‘cromosoma abnorme’, denominato Philadelphia, dovuto a una traslocazione tra i cromosomi 9 e 22, o la significativa frequenza di l. acute in pazienti affetti da sindrome di Down con trisomia 21; f) farmaci antitumorali, usati per la terapia antiblastica di alcuni tumori, che possono, come effetto a lungo termine, causare sviluppo di secondi tumori (tra cui le l.); ciò è tipico di alcuni farmaci come le epipodofillotossine (etoposide) che danneggiano direttamente il DNA, creando radicali liberi; g) i virus, che esprimerebbero il loro potere oncogeno introducendo nel genoma umano dei geni (v-onc) in grado di produrre proteine con capacità trasformanti; un ruolo importante sembrano avere i retrovirus, e in modo particolare il retrovirus HTLV-I (virus umano linfotropo per i linfociti T, di tipo I), che si correla con una forma di l. identificata come ATL (adult T cell leukemia), molto frequente in Giappone; h) esposizione a campi elettromagnetici, la cui azione oncogena è ancora in discussione.
Sembra che tutti i fattori patogenetici convergano verso un meccanismo cellulare unico, rappresentato da alterazioni di ordine genetico responsabili di mutazioni che si traducono in alterate capacità di crescita, differenziazione e proliferazione cellulare. Diversi fattori etiologici convergono verso la teoria multi-step, in cui una causa provocherebbe una iniziale lesione in una cellula staminale emopoietica; l’alterazione che ne risulta non è in grado di per sé di provocare un fenomeno leucemogenico, ma soltanto un’instabilità genica che porta all’acquisizione di una seconda lesione genica, riconoscibile attraverso indagini genetico-molecolari, associata a quella specifica malattia. Le indagini utilizzate oggi nel riconoscimento delle l. si sono pertanto spostate a un livello genetico-molecolare con indirizzo non solo morfologico, ma anche, e soprattutto, funzionale (per es., studio del processo di duplicazione della sostanza genetica e delle sue modalità nei singoli segmenti cromosomici).
Gli studi di biologia molecolare e citogenetica, le indagini classiche di morfologia, nonché l’adozione di criteri citochimici hanno permesso di descrivere meglio le varianti acute e croniche di l., con classificazioni di varia complessità e precisione, in parte ancora in evoluzione.
Per quanto riguarda le l. acute, un approccio solo morfologico e citochimico consente nella maggior parte dei casi di discriminare tra le forme linfoidi e mieloidi, precisando anche alcuni sottotipi (classificazione FAB, Francese-Americana-Britannica). Resta tuttavia una piccola parte di casi di l. acuta, non superiore al 5%, in cui la morfologia è quella delle cellule indifferenziate, generalmente nelle forme secondarie. Gli studi immunologici, grazie anche all’impiego di anticorpi monoclonali, forniscono la possibilità di identificare alcuni marcatori specifici di crescita cellulare (maturità, immaturità, differenziazione) utili per la diagnosi e, talvolta, per un corretto inquadramento prognostico. Oggi è possibile adottare una classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che si basa su criteri morfologici e genetici in grado di identificare processi leucemici acuti (quantità di blasti midollari superiori al 20%) con una specifica prognosi legata alla alterazione genetica-molecolare concomitante. Le due forme principali di l. acuta (mieloide e linfoide) hanno molti caratteri in comune. Il quadro clinico è caratterizzato da: anemia, emorragie e infezioni a causa del deficit di produzione rispettivamente di eritrociti, piastrine e globuli bianchi funzionanti; organomegalie con danno funzionale di organi non emopoietici (polmone, reni, sistema nervoso centrale, fegato ecc.) per infiltrazione di cellule leucemiche; sintomi sistemici, quali febbre, dolori ossei, calo ponderale, sudorazione. Nelle forme acute, il tempo che intercorre tra i primi sintomi e la diagnosi è generalmente compreso tra 2-3 settimane e i primi 2 mesi. Generalmente il primo sintomo è l’astenia, seguito da cardiopalmo, febbre e da fenomeni emorragici e/o infettivi.
Nelle forme di l. cronica il riscontro è molto spesso casuale nel corso di indagini di laboratorio di routine o, meno spesso, l’esordio è caratterizzato dalla comparsa di aumento delle dimensioni del fegato e della milza nel caso della forma mieloide, o dei linfonodi e della milza nel caso della forma linfoide, e da sintomi sistemici. Mentre nelle forme acute i globuli bianchi sono rappresentati da forme indifferenziate, nelle forme croniche possono essere più o meno aumentati di numero, talora raggiungere e superare 500.000 elementi per mm3 e sono in gran parte rappresentati da elementi nelle varie fasi di maturazione (metamielociti, mielociti, promielociti, mieloblasti e perfino emocitoblasti nella forme mieloidi) e da linfociti maturi nelle forme di derivazione linfocitaria. La diagnosi di l. si basa sull’esame morfologico, immunofenotipico, citogenetico e di caratterizzazione molecolare genica delle cellule del midollo osseo ottenute mediante agobiopsia.
La terapia varia a seconda dei casi: nelle forme acute il fine ultimo è quello di eradicare la popolazione leucemica e di indurre una remissione completa, ovvero il ritorno a una emopiesi normale con una percentuale di blasti non superiore al 5%. Vengono utilizzati farmaci diversi a seconda del tipo, utilizzando di solito associazioni di più chemioterapici in una iniziale terapia, definita di induzione, consolidando poi il risultato ottenuto (terapia di consolidamento). Importante durante la chemioterapia è la terapia di supporto (trasfusioni di eritrociti e di piastrine, antibioticoterapia, terapia con farmaci antifungini e con fattori di crescita). Nell’ambito delle l. acute linfoidi in età pediatrica, si è ormai in grado di ottenere una remissione completa dei sintomi e in una percentuale sempre più elevata dei casi anche una guarigione.
Completamento della terapia è il trapianto di midollo osseo allogenico, in prima remissione per alcune forme di l., come la mieloide acuta. Apprezzabili progressi terapeutici sono stati conseguiti con la terapia basata su farmaci attivi sul bersaglio molecolare all’origine della neoplasia (target therapy), come nel caso della l. acuta promielocitica (introduzione dell’acido all-trans retinoico nella terapia), della l. linfoide acuta e della l. mieloide cronica Philadelphia positiva (impiego degli inibitori tirosin-chinasici), in cui si punta alla remissione molecolare, ovvero alla scomparsa dell’alterazione molecolare conosciuta, identificabile con metodiche di biologia molecolare (PCR ➔).
Numerosi virus possono indurre le l. in molte specie animali: per es. polli e altri Galliformi (talvolta denominate l. infettiva dei polli, leucosi, linfomatosi), topi, ratti, conigli, cani, bovini, scimmie ecc. I virus responsabili delle l. sono costituiti da un unico filamento di acido ribonucleico circondato da un doppio involucro.