Scultore (n. in Puglia, e non, come si è congetturato, a Pulìa presso Lucca, verso il 1210 o, più verisimilmente, nel 1220 - m. tra 1278 e 1287). N. ha lasciato la sua inconfondibile impronta in opere principalmente scultoree, oltre che architettoniche. La sua opera ebbe nell'ambito della scultura un ruolo altrettanto incisivo di quello che, una generazione più tardi, Giotto rivestì per la pittura: l'immagine dell'uomo e la realtà del suo ambiente terreno divennero, in una misura fino ad allora sconosciuta al Medioevo, degni di essere rappresentati; le tematiche neotestamentarie giunsero a rispecchiare i sentimenti umani con più forza di quanto non si fosse verificato in precedenza, a partire dalla fine dell'Antichità. L'avvento di N. segnò un'umanizzazione dell'arte, che fu ripresa, al principio del Trecento, proprio da Giotto, seguace di N. nel senso più profondo del termine.
È detto de Apulia in due documenti del maggio 1266 (rimane tuttora controverso se così s'indicasse il suo nome di famiglia oppure la sua provenienza dalle Puglie); mentre in altri, dal 1258 al 1273, è sempre detto de Pisis o Pisanus. Rilevante nella sua formazione, né allora in contrasto con la classica, fu l'influenza dell'arte gotica. Si può accertare assoluta nell'architettura; parziale nell'iconografia delle sue opere; compenetrante in molti modi la sua plastica. Il maestro, forse con il solo ma sufficiente tramite di opere delle arti minori - avori, bronzi -, conobbe già nei suoi inizi la scultura francese, non ancora avvolta negl'incipienti convenzionalismi del più inoltrato stile gotico, e tale da rammentare l'arte classica a cui anch'essa aveva riguardato; né più tardi tralasciò di osservarne il mutarsi. Nulla è noto con precisione dei suoi esordi. Eseguì il pulpito del battistero di Pisa (finito nel 1259-60) e quello del duomo di Siena (1265-69), coadiuvato in questa ultima opera dal figlio Giovanni, da Arnolfo di Cambio e dai fratelli Lapo e Donato, e contemporaneamente ideò l'arca di San Domenico per la chiesa domenicana di Bologna (iniziata nel 1261 e finita nel 1267). Progettò la fontana di piazza di Perugia (finita nel 1278), che decorò con statue e rilievi insieme con Giovanni. Il pergamo di Pisa, a pianta esagonale, è sorretto da colonne su cui s'impostano archi trilobi divisi da statuette poste sui capitelli e con figure di profeti sulle riquadrature. Le cinque formelle della balaustra, separate da fasci di colonnette, rappresentano la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Crocifissione e il Giudizio Universale. Dopo il lontano precedente del pulpito di Guglielmo per la Cattedrale di Pisa, è la prima volta che le storie scolpite sul parapetto ne occupano tutta l'altezza: qui N. rifiuta decisamente le tendenze decorative della scultura lombarda contemporanea e dà alle sue storie un nuovissimo sviluppo monumentale. È in queste sculture una profonda e intensa rielaborazione delle forme classiche quale non s'incontra nell'anteriore scultura toscana, ma che non si accorda neanche interamente con il clima culturale dell'Italia meridionale, talmente N. sopravanza, per potente e originale ricerca di rilievo, le creazioni della scultura federiciana. Rielaborazione che non si esaurisce nella palese derivazione di atti e atteggiamenti da opere d'arte antiche (conosciute non soltanto nelle sculture classiche oggi nel Camposanto di Pisa, ma, con ogni probabilità, a Roma stessa e, talvolta, recuperate nella loro classicità attraverso lo studio degli avorî bizantini), ma forma un elemento costitutivo della sua visione artistica, per cui le sue creature recano l'impronta di una umanità viva e concreta, svincolate dall'astrattezza e trascendenza medievali; il suo ideale di serenità e nobiltà si esprime in un linguaggio ricco di cadenze ampie e maestose. Non mancano, nel pergamo di Pisa, motivi dell'arte gotica; negli archi trilobi su cui poggia il parapetto, nell'architettura dello sfondo dei rilievi, nel modo di trattare, qua e là, i panneggi e le capigliature e soprattutto, nell'intensità espressiva di alcune figure. Gli elementi gotici si accentuano nel pergamo di Siena, di struttura più complessa di quello pisano, ottagonale anziché esagonale, e più riccamente rivestito di sculture. Alla staticità e alla severa semplicità delle figurazioni pisane, subentra a Siena un maggior dinamismo nel comporre i rilievi densi e folti di figure come a Pisa, ma percorsi da una sciolta vena narrativa nello esprimere con più vibrante commozione i moti dell'animo; la lavorazione del marmo acquista una straordinaria finezza nei morbidi trapassi di piani. Come anche nell'arca di S. Domenico, N. introduce vetri colorati negli sfondi, un motivo di origine francese; a dividere le scene non sono più dei pilastrini, ma gruppi scultorî acutamente individuati. Nell'arca di S. Domenico, l'esecuzione, affidata quasi totalmente agli allievi, sembra smorzare la vivacità dell'ideazione di Nicola; tuttavia, per l'affermarsi di una narrativa più libera e movimentata, per l'insistenza sulle singole figure usate con funzione architettonica, per l'introduzione di nuovi elementi gotici, l'arca è un monumento fondamentale per comprendere il passaggio dello stile di N. dall'uno all'altro pulpito. Nella fontana di piazza, a Perugia, che nello schema architettonico e nella decorazione plastica sviluppa aspetti delle opere precedenti, non è agevole distinguere la mano di N. dalla collaborazione del figlio Giovanni (nel bacino inferiore della fontana però predomina lo stile di N., riconoscibile anche attraverso l'esecuzione degli aiuti, e lo stesso si può dire del gruppo bronzeo delle tre donne che portano l'acqua, collocato alla sommità della fontana e ideato su un gruppo antico di Ecate, forse sullo stesso che si trova oggi a Roma nella galleria Borghese). È andato perduto un altare che N. fu incaricato di eseguire (1273) per la cattedrale di Pistoia. A N. è attribuita la decorazione del portale sinistro della facciata di S. Martino a Lucca (Natività, Adorazione, Deposizione dalla croce), che altri ritengono di scuola; l'acquasantiera di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia è stata anch'essa attribuita a N., a un tempo di poco anteriore alla fontana di Perugia. Opere della scuola di N., vicine alla lunetta di S. Martino a Lucca, sono a Firenze (porta S. Giorgio, capitelli di Badia nel Museo Nazionale, Resurrezione nel museo di S. Croce). Incerta è l'attività di architetto di N., affermata da G. Vasari. La chiesa di S. Trinita a Firenze, attribuitagli, fu forse costruita dopo la sua morte.