Complesso delle modalità di esecuzione della pena detentiva. Il problema relativo ai sistemi penitenziari consiste nel conciliare gli scopi afflittivi della pena con la sua funzione rieducativa.
Il sistema penitenziario italiano si fonda su: a) l’umanizzazione della pena, da assicurare in primo luogo con il rispetto della dignità e personalità dei reclusi; b) la concezione dello scopo della pena, non più ancorata a mere finalità repressive e afflittive, ma diretta a favorire il reinserimento sociale del condannato, anche attraverso regimi di trattamento in semilibertà (fino alla condanna scontata con limitazione della libertà nelle sole ore notturne); c) la limitazione nel massimo grado possibile della durata delle pene, sostituendo a esse diversi strumenti di controllo sociale.
La Costituzione italiana stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione dei condannati (art. 27). In attuazione di tale principio, la l.n. 354/1975 ha dettato una nuova disciplina dell’ordinamento penitenziario e dell’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Cardine della riforma è stata l’individuazione del trattamento rieducativo del condannato, per il quale è compilato un apposito programma che può essere integrato o modificato a seconda delle esigenze specifiche. Le finalità del reinserimento nella società sono poi alla base dell’introduzione di misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova del condannato al servizio sociale fuori dall’istituto e l’ammissione al regime di semilibertà per partecipare ad attività di lavoro o d’istruzione.
Per quanto riguarda le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari è stato fissato il principio della separazione tra le categorie di condannati e internati, e la stessa disciplina è stata resa più flessibile. Disposizioni particolari e improntate a maggiore elasticità e modernità sono previste per i minori degli anni 18. Sempre nella prospettiva di agevolare il reinserimento sociale dei condannati, la l.n. 663/1986 ha introdotto modifiche significative alla disciplina originaria, dettando condizioni più favorevoli per l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà, e soprattutto prevedendo l’istituzione della misura alternativa della detenzione domiciliare e la concessione di permessi premio. Peraltro, in relazione alla crescente diffusione di fenomeni di criminalità organizzata, con la stessa legge è stata stabilita l’istituzione di un regime di sorveglianza particolare per far fronte a situazioni di rivolta o di emergenza all’interno degli istituti. In particolare, a seguito della strage di Capaci del 1992, fu introdotto (con d.l. n. 306/1992, convertito con l. 356/1992) un secondo comma che rendeva possibile l’applicazione del regime speciale ai detenuti per i reati di criminalità organizzata; tale disposizione sarebbe dovuta rimanere in vigore per tre anni, ma successivi interventi legislativi (a partire dalla l. n. 36/1995) ne hanno prorogato la validità. La l. n. 193/2000 ha introdotto norme specifiche per favorire l’attività lavorativa dei detenuti, prevedendo, tra l’altro, la possibilità per le amministrazioni penitenziarie di stipulare convenzioni con soggetti pubblici o privati o cooperative interessati a fornire a detenuti o internati opportunità di lavoro. Con d.p.r. n. 230/2000 è stato dettato un nuovo regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.
Misure alternative alla detenzione