La Conferenza Stato-Regioni (più precisamente, Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) rappresenta la principale sede di coordinamento tra lo Stato e le Regioni ed è espressione di quello che la dottrina, a partire dalla fine del Novecento, ha chiamato «regionalismo cooperativo», e che la giurisprudenza costituzionale ha collegato al «principio di leale collaborazione» recepito nel «nuovo» art. 120, co. 2, Cost.
Nella storia repubblicana, una qualche forma di raccordo tra lo Stato e le autonomie regionali era stata prospettata ancor prima dell’istituzione delle Regioni ordinarie: la l. n. 48/1967 prevedeva infatti che, per l’esame dei problemi in materia di programmazione economica regionale, vi fosse il parere di una Commissione consultiva interregionale (costituita preso il Ministero del bilancio e presieduta dal Ministro), parere divenuto poi obbligatorio con la l. n. 468/1978. Tuttavia, è solo con l’istituzione della Conferenza Stato-Regioni, a seguito di un d.P.C.m. del 12.10.1983, che si può parlare di un vero e proprio raccordo istituzionale tra Stato e Regioni. Nel disegno di tale d.P.C.m., la Conferenza Stato-Regioni non aveva una composizione fissa né erano previste riunioni periodiche: era previsto soltanto che fosse presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri (al Ministro per gli affari regionali spettava la vicepresidenza) e che ad essa fossero invitati a partecipare i Presidenti delle giunte regionali (ad autonomia ordinaria e differenziata: Presidente della giunta regionale) e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché i ministri interessati agli argomenti iscritti nell’ordine del giorno.
La Conferenza Stato-Regioni è stata successivamente istituzionalizzata con la l. n. 400/1988, che le ha attribuito compiti di informazione, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale, con una seduta almeno ogni sei mesi. Era previsto, inoltre, che fosse presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri – salva delega al Ministro per gli affari regionali – e composta dai Presidenti delle giunte regionali (ad autonomia ordinaria e differenziata) e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Con le riforme amministrative della seconda metà degli anni novanta del Novecento (l. n. 59/1997), il ruolo delle autonomie territoriali si è ulteriormente rafforzato, ponendo l’esigenza di ampliare gli strumenti di raccordo tra i diversi livelli di potere. A questo si è cercato di porre rimedio con il d.lgs. n. 281/1997, che, nel ridisegnare le funzioni della Conferenza Stato-Regioni, ha previsto anche due nuovi organi collegiali: la Conferenza Stato-città ed autonomie locali – organo di raccordo tra lo Stato e le autonomie locali, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri (ovvero dal Ministro dell’interno o dal Ministro per gli affari regionali) – e un organo risultante dall’unione della Conferenza Stato-Regioni con la Conferenza Stato-città e autonomie locali (la c.d. Conferenza unificata), per le materie e i compiti di interesse comune. In virtù del d.lgs. n. 281/1997, alla Conferenza Stato-Regioni non spettano solo funzioni di informazione, consultazione e raccordo, ma anche l’espressione di un parere (non vincolante) sugli schemi di atti normativi proposti dal Governo nelle materie di competenza regionale e sui disegni di legge finanziaria e della c.d. legge comunitaria, oltre che l’adozione di intese e accordi tra lo Stato e gli enti territoriali nelle materie di interesse comune.
La l. cost. n. 3/2001 e la legge ordinaria che ne ha dato attuazione (l. n. 131/2003) non hanno innovato sul punto. Va detto, però, che la stessa l. cost. n. 3/2001 (art. 11, co. 1) prevede la possibilità per i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (Parlamento) di prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ciò nonostante, l’aumento delle competenze legislative ed amministrative degli enti territoriali a seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione (Potestà legislativa regionale), secondo una parte della dottrina, ha messo in evidenza l’insufficienza del sistema delle Conferenze come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali: a sostegno di questa tesi viene sottolineato il considerevole aumento negli ultimi anni del contenzioso tra lo Stato e le Regioni davanti alla Corte costituzionale. Per altro verso, si è evidenziato come il sistema delle Conferenze, così come attualmente vigente, enfatizza il ruolo dei vertici degli esecutivi dello Stato e degli enti territoriali, a discapito degli organi rappresentativo-deliberativi (Parlamento e Consigli).