Fonti del diritto dell’U.E.
Le fonti del diritto dell’U.E. sono di due diversi tipi: fonti primarie (o di diritto convenzionale) e fonti secondarie (o di diritto derivato). Le fonti primarie consistono nei trattati istitutivi dell’U.E. e nelle loro successive modificazioni e integrazioni. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’U.E., le fonti primarie sono sovraordinate, da un punto di vista gerarchico, alle fonti secondarie, dal momento che ne disciplinano la formazione, le competenze e gli effetti giuridici. Dal punto di vista del diritto costituzionale italiano, poi, le fonti primarie hanno una notevole capacità derogatoria del nostro sistema costituzionale, trovando il proprio limite nei soli principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inviolabili della persona umana, come affermato dalla Corte costituzionale.
Va detto che la Costituzione italiana non prevedeva sino alla l. cost. n. 3/2001 una disposizione esplicita riguardante i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» (art. 117, co. 1, Cost.), a differenza di altre esperienze costituzionali (artt. 23 e 24 Legge fondamentale Germania 1949; artt. da 88-1 ss. Cost. Francia 1958; artt. 93 ss. Cost. Spagna 1978). Ciò non vuol dire, però, che la partecipazione italiana alle Comunità europee (prima) e all’U.E. (poi) sia rimasta priva di copertura costituzionale: sia la dottrina maggioritaria che la giurisprudenza costituzionale hanno infatti individuato il fondamento costituzionale dell’integrazione europea nella seconda proposizione dell’art. 11 Cost., laddove si prevede che l’Italia consente «alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni».
Per quanto riguarda le fonti derivate, le più importanti sono i regolamenti, le direttive e le decisioni (ad esse vanno aggiunti i c.d. atti non vincolanti e cioè le raccomandazioni e i pareri). Per quanto riguarda le prime due tipologie di atti, la loro differenza sta nel fatto che, mentre i regolamenti hanno una portata generale (si rivolgono a tutti) e sono direttamente applicabili in ognuno degli Stati membri, le direttive si indirizzano solo agli Stati e non sono in linea di principio direttamente applicabili, ma necessitano dell’intervento dello Stato membro, che resta vincolato quanto al termine e al risultato da raggiungere, ma è libero circa la scelta delle forme e dei mezzi attraverso cui giungervi. Tuttavia, a partire dal 1970, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, per sanzionare il comportamento omissivo di alcuni Stati membri rispetto ad alcune direttive, ha esteso l’area della diretta applicabilità anche a queste ultime, qualora siano sufficientemente dettagliate e precise. Le decisioni, infine, pur avendo portata obbligatoria ed essendo direttamente applicabili, non hanno portata generale, ma sono rivolte a destinatari specifici. Sulla loro collocazione nell’ambito delle fonti del diritto italiano la dottrina è divisa: secondo un primo orientamento, esse vi rientrerebbero senz’altro, ma vi è anche chi nega tale loro qualifica, che ricomprenderebbe, perciò, soltanto regolamenti e direttive.
Il recepimento del diritto dell’U.E. non immediatamente applicabile avviene in base ad un meccanismo stabilito dapprima con la l. n. 86/1989 (c.d. La Pergola) e, successivamente, con la l. n. 11/2005: ogni anno, le Camere, su proposta del Governo, approvano una legge (c.d. comunitaria), con la quale si dettano le disposizioni necessarie per dare esecuzione al diritto dell’U.E. Tre sono le modalità individuate nella l. n. 11/2005: direttamente da parte della stessa legge comunitaria o tramite il conferimento di deleghe legislative o attraverso l’adozione di regolamenti, anche di delegificazione (l. n. 11/2005).
I rapporti tra le fonti del diritto dell’U.E. e le fonti dell’ordinamento italiano. - Per quanto riguarda, infine, il rapporto tra le fonti del diritto dell’U.E. e le fonti dell’ordinamento italiano (in particolare, la legge e gli atti ad essa equiparati), occorre sottolineare che questi rapporti si sono evoluti ad opera della giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e della Corte di giustizia delle Comunità europee. In un primo momento (1964), la Corte costituzionale ha impostato la questione delle possibili antinomie (Criteri di risoluzione delle antinomie) utilizzando il criterio cronologico. La giurisprudenza costituzionale nel 1973 ha poi rimesso in discussione questa costruzione, quando, pur riaffermando la netta separazione di competenze tra l’ordinamento interno e l’ordinamento comunitario, ha finito con l’ammettere, in accoglimento della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, il primato dei regolamenti comunitari sulle leggi statali e la loro applicabilità diretta. Infatti, in quell’occasione la Corte costituzionale è giunta ad ammettere la capacità dei regolamenti comunitari di abrogare leggi statali anteriori e di resistere all’abrogazione da parte di leggi successive, affermando, però, l’incostituzionalità di una legge statale contrastante con un regolamento comunitario precedente per violazione indiretta dell’art. 11 Cost., da far valere essa stessa.
Il passo in avanti decisivo si è poi avuto nel 1984, quando la Corte costituzionale, facendo proprio l’orientamento della Corte di giustizia delle Comunità europee, ha sostenuto non già il proprio ruolo necessario nel dichiarare costituzionalmente illegittima una legge successiva per contrasto con un regolamento comunitario, ma, al contrario, il potere-dovere di ciascun giudice di procedere alla disapplicazione (più correttamente: alla non applicazione; Disapplicazione. Diritto costituzionale) del diritto interno contrastante con le norme comunitarie immediatamente applicabili.
In questa categoria vengono poi fatte rientrare non soltanto le suddette direttive autoapplicative, ma anche le sentenze interpretative e quelle di inadempimento della Corte di giustizia dell’U.E. Proseguendo su questa linea, la Corte costituzionale ha mantenuto ferma la sua competenza in ordine alla sindacabilità di leggi regionali contrastanti con il diritto dell’U.E. impugnate nel corso di un giudizio in via principale ed è persino giunta ad affermare l’idoneità dei regolamenti comunitari a derogare a disposizioni costituzionali, fermo restando il rispetto dei soli principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inviolabili della persona umana, che costituiscono i c.d. controlimiti costituzionali alle limitazioni di sovranità.