- Processo afferente la sociologia urbana, che può comprendere la riqualificazione e il mutamento fisico e della composizione sociale di aree urbane marginali, con conseguenze spesso non egualitarie sul piano socio-economico. Termine coniato nel 1964 dalla sociologa inglese Ruth Glass e derivante dal vocabolo “gentry”, ovvero la piccola nobiltà anglosassone. La g. è un processo proprio delle dinamiche socio-economiche della metropoli contemporanea, la quale ingloba al suo interno una grande eterogeneità di aree e quartieri con diverse caratteristiche socio-culturali e spaziali che possono attirare, per differenti ragioni, un interesse funzionale e/o economico proveniente dall’esterno. La g. può essere indotta dall’alto attraverso piani di riqualificazione strutturale di aree depresse oppure attivarsi in maniera meno diretta tramite processi di rigenerazione ambientale di un’area prescelta da un determinato gruppo sociale e professionale, tipicamente di ambito creativo. In entrambi i casi il risultato è la sostituzione della popolazione locale, che generalmente occupa un posto marginale nelle gerarchie sociali, con i nuovi “coloni” di fascia medio-alto borghese. Il maggiore potere d’acquisto di quest’ultimi provoca un notevole squilibrio nel sistema economico locale che traducendosi nell’aumento dei prezzi degli affitti e del costo della vita costringe la popolazione autoctona alla migrazione verso aree più sostenibili. La letteratura specifica del settore ha più volte sottolineato la relazione tra g. e la creazione dei cosiddetti “distretti creativi”, aree colonizzate da artisti, gallerie e musei che attirano l’interesse di bar, ristoranti e di una cosiddetta classe “creative chic” attratta dalla nuova atmosfera di fermento creativo del quartiere. Situazione abbastanza paradossale è quella che in molti casi vede gli artisti diventare primi attori della g. di aree dagli affitti poco cari, funzionali all’installazione dei propri studi, salvo poi finire a loro volta “gentrificati” da classi sociali con maggiori disponibilità economiche. L’arte può quindi essere considerata, quando mal veicolata, strumento che attraverso i canoni della bellezza insabbia le criticità esistenti nei processi di trasformazione urbanistica; in questo senso M. Miles sostiene che «...nell’ignorare l’impatto sociale dei processi di sviluppo, l’arte è complice della conseguente frammentazione sociale» (Art, Space and the City, Routledge, New York, 1997). La crescente popolarità e diffusione di interventi di arte urbana nelle grandi città del mondo sta acuendo la discussione attorno al tema. Il numero esorbitante di progetti, festival ed iniziative di street art, spesso rapide ed evenemenziali, connesse ad aree poco integrate nei rispettivi tessuti urbanistici, fa emergere con urgenza la questione del rapporto tra arte nello spazio pubblico e città, argomento delicato dal quale derivano tutta una serie di nodi circa il ruolo e il comportamento degli artisti in relazione a fenomeni urbanistici di mutamento socio-economico. Sotto la lente d’ingrandimento viene inoltre posto l’operato delle amministrazioni pubbliche, le quali potrebbero strumentalizzare i bassi costi e l’impatto estetico dell’arte urbana per allestire forme di riqualificazione, in ogni caso spicciole e di facciata. Si registrano già casi di aree che hanno subito e stanno subendo decisi cambiamenti derivanti dalla nuova valorizzazione socio-economica, immediatamente successiva a quella estetica, apportata da una grande concentrazione di muri e pareti dipinte. Il caso più emblematico è quello di Wynwood, a Miami, dove da alcuni anni a questa parte la street art sta accrescendo enormemente l’interesse attorno ad un’area originariamente anonima, abitata prevalentemente da immigrati portoricani, alcuni dei quali, a causa dell’emergere di tendenze speculative relative all’ambito immobiliare, sono già stati costretti a lasciare le loro case. Un’altra spinosa questione riguarda la parte esercitata in tali problematiche dall’attività dei singoli artisti e del comportamento che questi dovrebbero tenere relazionandosi con episodi di questo genere. Uno dei pochi artisti ad esporsi direttamente sul tema è stato Blu, che con un gesto clamoroso nel 2014 ha coperto di nero una delle sue più celebri opere a Berlino. L’atto viene rivendicato quale forma di protesta nei confronti dei progetti di riqualificazione capitalistica all’interno dell’avanzante processo di gentrificazione del quartiere di Kreuzberg, e scongiura in tal senso qualsiasi tipo di strumentalizzazione dei suoi dipinti Brothers e Chain (2007-2008), divenuti vera e propria icona del luogo. Ulteriore aspetto, forse improprio del concetto in questione, è la “gentrificazione” che avviene all’interno del medesimo mondo della street art, dovuta soprattutto al proliferare di eventi, progetti e grandi iniziative muraliste a cui prende parte un numero relativamente ristretto di artisti molto attivi e ricercati su scala globale. In tale contesto gli artisti locali, spesso non acclamati e attivi in forma indipendente, risultano penalizzati, e in talune circostanze censurati, per lasciare spazio a nomi più altisonanti ma completamente avulsi dalle dinamiche spazio-culturali del territorio di riferimento.