Quando si parla di indirizzo politico, ci si intende riferire generalmente alla fissazione di fini da conseguirsi tramite l’azione politica. La nozione di indirizzo politico, quindi, è strettamente intrecciata con quella di azione politica o azione di governo, anche se non si esaurisce in essa. In una prima accezione del termine, l’indirizzo politico attiene alle comunità sociali, nel senso che ognuna di esse si costituisce in funzione del conseguimento di un fine. Si tratta, però, di individuare quali tra esse possano essere capaci di svolgere un’azione di governo: ferma restando la titolarità dell’indirizzo politico in capo alla società politica per antonomasia, cioè lo Stato, si discute se e in quale misura, in virtù del superamento del giuspositivismo statualistico e dell’affermazione del pluralismo sociale, comunità politiche substatuali possano esprimere esigenze e valori diversi da quelli della comunità statale e, tuttavia, meritevoli di essere soddisfatti attraverso un proprio i diverso da quello statale. Con riferimento all’ordinamento italiano, se non vi è dubbio che si possa parlare di indirizzo politico regionale, dal momento che anche la Regione è un ente a fini generali, viene ugualmente ammessa la configurabilità di un indirizzo politico-amministrativo a proposito degli enti locali (Comune e Provincia), poiché anch’essi sono in grado di autodeterminarsi politicamente.
In una seconda accezione, l’indirizzo politico attiene soprattutto al rapporto tra gli organi costituzionali: si parla, infatti, di indirizzo politico a proposito degli organi del potere esecutivo (Governo), ma anche del potere legislativo (Parlamento). Altri studiosi parlano, inoltre, di un indirizzo politico costituzionale, di cui sarebbe titolare il Presidente della Repubblica ed anche la Corte costituzionale, distinto da quello governativo: secondo i sostenitori di questa teoria, ai primi spetterebbe di promuovere direttamente i fini voluti dalla Costituzione, mentre al Governo spetterebbe la promozione di quei fini che, pur non essendo proposti dalla Costituzione, derivano da esigenze politiche. In questa seconda accezione, quindi, l’indirizzo politico appare strettamente collegato alla nozione di forma di governo (Forme di Stato e forme di governo).
Certamente, l’indirizzo politico interferisce con le attribuzioni sia del Parlamento che del Governo, dal momento che non è possibile individuare un organo esclusivo titolare di esso. Considerando l’indirizzo politico come un’attività in tre fasi (determinazione dei fini, predisposizione dei mezzi, attuazione concreta), la partecipazione del Parlamento avviene, in primo luogo, attraverso apposite leggi (le c.d. leggi di indirizzo), per mezzo delle quali vengono determinati i fini e predisposti i mezzi dell’attività di governo, nonché attraverso un’ulteriore serie di atti, per mezzo dei quali l’indirizzo politico può passare dalla fase della sua previsione astratta a quella della sua attuazione puntuale, mentre al Governo spetterebbe il fondamentale compito di attuare concretamente questi fini.
Leggi di indirizzo politico sono generalmente considerate la legge finanziaria, le leggi di approvazione del bilancio preventivo e le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Assai più controverso è l’inserimento tra tali atti della dichiarazione di guerra ex art. 78 Cost., dal momento che non è pacifico che questa debba avvenire sempre con legge. Va detto, inoltre, che alcuni autori (ad esempio, Paladin) preferiscono parlare, anziché di leggi di indirizzo, di una funzione di controllo esercitate in via legislativa, unificando, in questo modo, la funzione di indirizzo con quella di controllo. Per quanto riguarda gli ulteriori atti del Parlamento, si ritiene generalmente che negli atti di indirizzo rientrino le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno.
Un problema che riguarda l’indirizzo politico è il suo rapporto con le tradizionali funzioni dello Stato (legislativa, esecutiva, giudiziaria). Alcuni studiosi – ad esempio, C. Mortati – affiancano la funzione di indirizzo politico alla classica tripartizione di Montesquieu: in quest’ottica, la funzione di indirizzo politico non sarebbe altro che la funzione di promovimento e realizzazione dei precetti costituzionali, integrando ed armonizzando il principio della separazione dei poteri. Altri studiosi (ad esempio, Martines) hanno negato, invece, che l’indirizzo politico sia una funzione a sé stante, preferendo utilizzare l’espressione «attività di indirizzo».