L’insieme degli sport che si effettuano col cavallo: equitazione di scuola, da campagna e da corsa. Più comunemente si riserva il nome di i. alla sola equitazione da corsa, denominando le altre due specialità sport equestri (➔ equitazione). Così intesa, l’i. comprende corse al trotto, in cui i cavalli trainano un carrozzino leggero a due ruote (sulky) e quelle al galoppo, in piano o su ostacoli artificiali o siepi, che si svolgono su distanze diverse, con cavalli della medesima razza, purosangue inglese. Si distinguono corse riservate a cavalli della stessa età (derby) o dello stesso sesso e corse regolate da un sistema di handicap che assegna un determinato peso al fantino in base alla carriera del cavallo.
L’i. moderna nacque in Inghilterra nel 17° sec.: con Giacomo I si tracciarono le prime piste e si favorì l’importazione di cavalli orientali; Carlo II importò le 50 fattrici (Royal Mares) alle quali si fanno tradizionalmente risalire i cavalli da corsa purosangue. Si correva in ‘partita obbligata’, bisognava cioè vincere due volte la stessa prova effettuata per lo più sulla distanza di quattro miglia, circa 6400 m. Generalmente, i cavalli non correvano prima del sesto anno e coprivano quella distanza in meno di 7 minuti. Famosissimo al suo tempo, e ancor oggi ritenuto il più grande campione di tutta la storia dell’ippica, fu Eclipse, un cavallo nato durante l’eclisse solare del 1764, dal quale ancor oggi discendono 4 campioni su 5. Alla fine del Settecento uscì il primo Stud Book, il libro delle genealogie, con la registrazione di tutti i purosangue. Stabilite determinate prove, fu possibile far correre in una medesima gara puledri di 3 anni e collaudati campioni di 8, 10 anni. L’età fu calcolata dal 1° gennaio, le distanze furono ridotte e non si gareggiava più in partita obbligata, ma in un’unica prova. L’età classica per le competizioni finì per divenire quella dei 3 anni. Verso il 1860 le gare ippiche presentavano ormai i caratteri odierni. Si era cominciato a disputare corse con una certa regolarità in Europa, negli USA, nelle colonie inglesi d’Asia e in quelle spagnole e portoghesi d’America. La Francia si dimostrò subito la più notevole rivale dell’Inghilterra. Alla fine del secolo, a contrastare il primato inglese, in quel complesso mondo di cose, persone, attività inerenti lo sport ippico nella sua interezza e noto come turf, si affacciarono gli Stati Uniti. Per una momentanea chiusura degl’ippodromi decretata in alcuni Stati degli USA, molte scuderie trasferirono in Europa i loro cavalli, i loro allenatori e i loro fantini, che divennero gli avversari più temibili.
Fino alla metà del 19° sec. le corse erano state unicamente quelle al galoppo, ma già alla fine del Settecento, dal purosangue inglese era derivata una varietà particolarmente adatta per il trotto. Ben presto questo tipo di corsa si diffuse a livello dilettantistico e, nelle regioni pianeggianti della costa atlantica degli Stati Uniti, fiorirono numerosi allevamenti. Fu quindi definito il tipo del trottatore americano e la selezione divenne rigorosa: in meno di mezzo secolo si giunse a far percorrere a un cavallo il miglio in 2 minuti. Già rivale dell’Inghilterra per il galoppo, la Francia selezionò un cavallo più forte anche per il trotto, il trottatore normanno.
È generalmente accettato il primato di Firenze nell’organizzazione della prima riunione regolare di corse al galoppo in Italia (Corsa dell’Arno, disputata nel 1827, tuttora nel calendario delle grandi prove italiane). Si trattava quasi sempre di animali e fantini d’importazione inglese, e solo dopo l’Unità si poté parlare di i. in Italia. Nel 1881 fu istituito il Jockey Club, massima autorità a carattere nazionale; nel 1884, a Roma, si disputò il primo derby. Dopo i successi nell’Arc de Triomphe (la corsa più famosa del mondo, disputata nell’ippodromo parigino di Longchamp) di Ortello (1929) e di Crapom (1933), si imposero all’attenzione due campioni della scuderia Dormello-Olgiata: Nearco (➔) e Ribot (➔ ), imbattuti in Italia e all’estero. Dopo di loro altri cavalli di scuderie italiane hanno conseguito una prestigiosa affermazione nell’Arc de Triomphe (tra cui Molvedo della razza Ticino, Tony Bin e Carroll House, rispettivamente nel 1961, nel 1988 e nel 1989).
Contrariamente a quanto avvenuto all’estero, in Italia il trotto ha preceduto il galoppo. Per secoli, nella Repubblica Veneta avevano corso trottatori indigeni, di razza friulana, e nel Prato della Valle di Padova si svolse la prima riunione di corse al trotto (1808). Nello stesso periodo nacquero i grandi allevamenti di S. Breda presso Padova, di A. Roggieri e R. Franchetti presso Modena e presso Mantova. Alla fine del 19° sec., i record di maggior rilievo appartenevano a trottatori italiani. Seguì un ventennio di crisi, finché nel 1925, con la costruzione degl’ippodromi di Roma e di Milano, il trotto italiano tornò a imporsi. Tra i migliori trottatori italiani si ricordano: Mistero, vincitore nel 1947 del Grand Prix d’Amérique; Tornese, Crevalcore e Delfo, protagonisti nel 1960 e nel 1977 dell’ufficioso campionato del mondo di New York. Nei primi anni 2000 assoluto dominatore in campo internazionale è stato Varenne (➔).
Gli ippodromi funzionanti in Italia sono oltre 40 e le scuderie di galoppo circa 2000. La suprema autorità coordinatrice delle varie specialità ippiche è l’Unione Nazionale Incremento Razze Equine (UNIRE).