(o area, o zona) Designazione generica del complesso degli insediamenti e delle attività localizzati in campagna. Il concetto, opposto a quello di spazio urbano, è stato oggetto di rinnovata attenzione, particolarmente nei paesi occidentali ed europei, dove la sistemazione dello spazio r. tradizionalmente è in assoluta prevalenza agricola, ma in cui si sono sviluppati, sempre più numerosi, tipi diversi di attività e usi, cosicché è venuta a manifestarsi una sempre più netta dicotomia fra i termini r. e agricolo.
Nelle aree r. si sono insediate piccole e medie imprese industriali, è cresciuto il peso della popolazione attiva nei servizi, si è verificato un controesodo r. che ha riportato popolazione verso i centri minori. Tale flusso è stato favorito dall’evoluzione del sistema dei trasporti, che ha incentivato i fenomeni di pendolarismo tra le grandi aree urbane e la fascia di aree r. prossime. La separazione tra r. e agricolo è stata accentuata anche dall’evoluzione delle stesse imprese agricole a base familiare, che si configurano sempre più come imprese pluriattive. I mutamenti di natura insediativa, sociale ed economica hanno portato quindi a una ridefinizione del concetto di zone r. e di economia rurale. I criteri impiegati per la definizione di tali concetti non sono univoci a causa sia della relativa novità del fenomeno, sia delle differenziazioni geografiche e culturali che si osservano nei vari paesi, sia, ancora, della varietà degli approcci disciplinari (geografico, sociologico, economico). I criteri demografici più usati prendono in considerazione parametri quali l’ampiezza demografica del Comune o la densità della popolazione e degli insediamenti, e vengono utilizzati in modo variabile a seconda delle circostanze.
La soglia demografica, impiegata di solito nei censimenti per distinguere i centri urbani da quelli r., varia notevolmente. L’habitat r., in cui gli insediamenti possono essere più o meno sparsi o accentrati, muta quindi in relazione a fattori storici e culturali. Anche l’approccio economico tradizionale mostra alcuni limiti: i criteri dell’attività economica prevalente (solitamente l’agricoltura), o la dotazione di infrastrutture e servizi non rispondono più al modello economico che si riscontra in diverse aree r. dei paesi sviluppati e ancora meno funzionale sembra essere l’assioma delle aree r. come zone caratterizzate da un basso livello di sviluppo socioeconomico. Anche in questo caso è possibile distinguere, in funzione del tessuto economico locale, aree r. con differente grado di sviluppo.
Altre proposte di definizione sono basate su criteri di tipo sociologico: la ruralità sarebbe individuata dal tipo di relazioni che si stabiliscono sia fra i vari componenti della società, sia fra l’uomo e il suo ambiente; tale approccio si sviluppa partendo dalla constatazione di una sorta di atmosfera sociale che coinvolge a vario titolo tutta la popolazione, con una forte relazione di appartenenza al territorio e alla comunità locale (microcollettività). In definitiva, non sembra possibile individuare un criterio univoco per la definizione delle zone r.; di contro, risulta privilegiabile un approccio che, combinando variamente tra loro in numero e peso i parametri descritti, non riduca la complessità e il carattere sistemico dei fenomeni sociali, geografici ed economici che stanno alla base del concetto di rurale.
Le componenti che devono essere presenti in una concezione di area r. che miri a integrare criteri differenti in un’ottica multidisciplinare sono: caratteristiche demografiche diverse rispetto a quelle urbane; ambiente naturale poco alterato da centri residenziali e/o da attività economiche; agricoltura significativa e non marginale; presenza diffusa di piccole e medie imprese operanti in altri settori economici. Una volta identificate, le aree r. si possono distinguere tra loro in base al grado di sviluppo/marginalità e di autonomia/dipendenza.
Si possono identificare così diversi modelli di sviluppo. Un primo modello è quello delle aree r. in sviluppo, in cui l’agricoltura assume un ruolo minore mentre si insediano attività secondarie e terziarie fondate su un tessuto di piccole e medie imprese; si parla in questo caso di sviluppo endogeno o locale. Un secondo modello è tipico delle aree della fascia territoriale a ridosso delle grandi aree urbane; si parla in questo caso di sviluppo dipendente. In entrambi i casi la minore attività agricola rende disponibili superfici da destinare ad altre funzioni (produttive, ricreative, di protezione della natura ecc.). D’altro canto gli insediamenti residenziali e produttivi tendono a far alzare i valori fondiari. Si creano così meccanismi di sovracapitalizzazione dell’agricoltura, di conflitto in merito all’uso dei fondi, di modifica dei sistemi produttivi locali con alterazioni paesaggistiche ed ecologiche. Un terzo modello riguarda invece le aree r. in ritardo di sviluppo nelle quali si assiste a un declino sia economico sia sociale. La marginalizzazione dell’agricoltura e l’assenza, o lo scarso peso, di altri settori economici portano a un aumento della componente femminile e di quella senile della popolazione, al degrado delle istituzioni locali, allo scarso peso politico di queste aree.
In sintesi, nell’ambito r. lo sviluppo si può definire come la crescita sostenibile dell’attività economica e del reddito per le persone che compongono una comunità locale, nel rispetto dell’ambiente, mediante un uso equilibrato delle risorse naturali. La pubblicazione, nel 1988, del documento Il futuro del mondo rurale si può considerare come il punto di partenza per l’intervento dell’Unione Europea nelle aree r., definite come «tessuto economico e sociale che comprende una serie di attività eterogenee: agricoltura, artigianato, piccole e medie industrie, commercio e servizi», e che includono gran parte del territorio dell’Unione. L’intervento dell’Unione è stato rilanciato nell’ambito della Conferenza europea sullo sviluppo rurale (Cork 1996), che ha dettato le linee guida della politica di sviluppo r., raccolte poi nell’Agenda 2000. Le aree r., secondo l’UE, sono identificabili mediante parametri reddituali (PIL pro capite inferiore a una certa soglia) e strutturali (percentuale di popolazione attiva in agricoltura); tale approccio tende a far coincidere, quindi, le aree r. con quelle in ritardo di sviluppo. In Italia queste possono essere delimitate in base ai parametri accennati, nelle regioni centro-settentrionali; in quelle meridionali, invece, tale delimitazione decade, in quanto le aree sono interessate da specifiche politiche per lo sviluppo.