tatuaggio Alterazione artificiale permanente dei tessuti cutanei, diffusa presso molte popolazioni, sia in connessione con le iniziazioni puberali sia a puro fine ornamentale. antropologia Il termine t. deriva da una parola tahitiana, tatau, che significa «incidere, decorare la pelle». Da un punto di vista tipologico si possono distinguere due macro categorie: il t. per cicatrici (➔ scarificazione) consiste in profonde incisioni nella pelle del corpo e del viso, con l’introduzione nella ferita di sostanze che ne ritardano la cicatrizzazione, aumentando il volume delle cicatrici stesse; il t. per puntura, molto diffuso in Polinesia, in Africa settentrionale e in India, si ottiene con introduzione nella ferita di una sostanza bluastra o d’altro colore. Spesso la definizione di t. è limitata a questa seconda categoria.
L’uso del t. era presente già nelle popolazioni preistoriche, come mostrano figure di creta neolitiche ritrovate in Portogallo, Russia, Romania, Macedonia ecc. che presentano sul corpo incisioni con motivi geometrici, interpretate dai paletnologi come una testimonianza dell’uso del tatuaggio. Allo stesso modo, alcuni corpi preistorici ritrovati parzialmente integri (come quello di Oetzli, l’uomo del Similaun) mostrano t., usati forse a fini medico-protettivi. Lo studio del t. presso le società viventi si è concentrato sulla forma dei t. e, soprattutto, sui significati locali che vengono attribuiti a questa pratica. Tale indagine risulta non sempre agevole perché, molto spesso, i missionari e i colonizzatori proibirono l’uso del t. alle società native. Considerato un marchio d’infamia, segno di primitività, espressione di una volontà di potenza dell’uomo che stravolge il corpo ‘naturale’ creato da Dio e ancora connesso a riti e credenze ‘sataniche’, il t. fu spesso proibito e oggetto di sanzioni (è il caso per es. di Tahiti e di gran parte della Polinesia). Dopo che alla fine del 20° sec. la moda del t. è tornata ad affermarsi nel mondo occidentale, altre popolazioni – come gli stessi Polinesiani – sono tornate a riappropriarsi di tale pratica.
In generale le indagini etnografiche mostrano che il t. era o è praticato: a) per ragioni estetiche, di abbellimento del corpo. In molte società polinesiane un corpo ‘bello’ era inevitabilmente un corpo tatuato. Allo stesso modo, nelle culture giovanili contemporanee, la motivazione estetica pare essere molto forte; b) a fini apotropaici, per proteggersi da malattie, epidemie, contagi. Gli Andamanesi si tatuavano contro le malattie, gli Ainu in caso di epidemie, gli Yuin prima di un combattimento; c) per segnare l’appartenenza a un gruppo: il t. può indicare la spettanza a un clan (per es., tra i Maori), a una classe di età, a un’etnia, a una società segreta; d) per segnare differenze di status e prestigio. Tra i Maori esistevano specialisti del t. e tanto più elevato era il rango tanto più elaborati erano i tatuaggi. Non sempre tuttavia la presenza di t. indica superiorità di status: tra gli Ashanti del Ghana il t. indicava una origine servile; e) per segnare differenze di genere: in alcune società polinesiane solo gli uomini potevano essere tatuati.
Qualunque sia la sua funzione, il t. è una forma d’arte e di comunicazione, al pari dell’abbigliamento e di altre forme di decorazione del corpo. I suoi significati possono essere estremamente variegati e cangianti: nelle culture giovanili dell’Occidente il t. è stato prima segno di protesta e di devianza per divenire in seguito moda e riproduzione di modelli altamente stereotipati. In molte società polinesiane, il t. è stato recuperato di recente quale segno di protesta contro l’arroganza dei colonizzatori occidentali. Paradossalmente, mentre nelle culture giovanili dominano oggi i disegni etnici, le popolazioni polinesiane hanno adottato simboli cristiani quali la croce, il sacro cuore ecc. medicina È comprovato che la pratica del t. comporta rischi di infezioni virali (virus dell’AIDS e dell’epatite) e batteriche, che si possono instaurare sia durante il t. sia nella successiva fase di guarigione crostosa. Vanno inoltre considerate le complicanze dermatologiche, quali le dermatiti allergiche da ipersensibilità ai componenti dei coloranti e la possibilità di esiti cicatriziali ipertrofici e di cheloidi.
Il successo del t. nel mondo attuale è controbilanciato dalla forte richiesta di eliminare le decorazioni ottenute o per motivi di carattere estetico o psicologico o per indicazioni mediche dovute alle varie possibili complicanze. I metodi di rimozione sono di natura chimica (salabrasione, peeling, t. aggiuntivo), chirurgica (dermoabrasione, curettage, escissione), fisica (elettrofolgorazione, coagulazione con l’infrarosso, crioterapia, terapia laser).