Studio dei fossili vegetali (chiamato anche archeobotanica o fitopaleontologia), che comprende un insieme di indagini volte a stabilire quali piante vivevano nel passato e il loro significato filogenetico, bioclimatico e paleoecologico.
Benché già qualche autore greco considerasse i fossili vegetali quali resti di piante, fino al 16° sec. questi erano ritenuti come lusus naturae, ossia produzioni naturali accidentali. A Leonardo da Vinci, a G. Fracastoro e a B. Palissy spetta il merito di aver riconosciuto che si trattava di resti di piante vissute in epoche anteriori all’attuale (Olocene). La prima opera di p. è Herbarium diluvianum di J.J. Scheuchzer (1709), il quale riteneva che i fossili fossero dovuti alla sommersione di organismi a opera delle acque del diluvio di cui parla la Bibbia. Nel 18° e 19° sec. si pubblicarono parecchie opere che trattano specificamente di fossili vegetali, dovute in primo luogo ad autori tedeschi; ma il vero padre della p. scientifica è il francese A.-T. Brongniart (Histoire des végétaux fossiles, 1828-47).
Vegetali inferiori fossili sono stati rinvenuti fin dall’Archeozoico. Si pensa che Batteri e Cianofite siano stati le prime forme di vita vegetale sulla Terra; in particolare le Cianofite, che hanno avuto una notevole importanza litogenetica, sono state ritrovate in sedimenti dell’Australia centrale datati 900 milioni di anni fa. Inoltre in Australia e Sudafrica sono state rinvenute, in depositi carboniosi siliciferi risalenti a 3,5 miliardi di anni fa, strutture filamentose e sferoidi carboniosi simili a cellule isolate. Fra gli Eucarioti non vascolari si ricorda che Alghe Rosse (o Rodofite) sono presenti per tutto il Paleozoico e Mesozoico, e Funghi già a partire dal Siluriano superiore. Del Siluriano si hanno resti di Alghe calcaree e si deve ritenere che in questo periodo abbiano fatto la loro comparsa le prime piante vascolari (Psilofitali), la cui evoluzione inizia con la comparsa delle Pteridofite che costituiranno le forme principali fino al Carbonifero superiore, quando saranno sostituite dalle Gimnosperme. Importanti resti di Licopodiali, Articolate, Filicali, Pteridosperme e Cordaitali si riscontrano nel Carbonifero. In tutto il Paleozoico mancano però resti di Angiosperme. Sulla fine del Carbonifero si delineano nettamente due province botaniche: boreale e australe. In seguito a fenomeni di glaciazione, nelle regioni facenti parte del continente Gondwana si stabilisce una flora povera a Glossopteris-Gangamopteris, che si sviluppa sempre più nel Permiano inferiore nell’America e nell’Asia orientale. Poco sensibile è il passaggio dal Permiano al Triassico, nel quale persistono alcune Licopodiali e Cordaitali del Paleozoico superiore, e cominciano alcune Cicadofite e alcuni generi, come Baiera e Ginkgo, più caratteristici del Mesozoico. L’importanza delle Equisetali e delle Licopodiali diminuisce nel Giurassico, mentre mostrano sviluppo preponderante le Felci, le Cicadofite, le Bennettitali, le Ginkgoali e le Conifere, che fanno la loro prima comparsa nel Permiano e, con le Monocotiledoni, predominano nettamente nel Cretaceo superiore. Fra le Monocotiledoni più antiche si trovano le Gigliacee e le Palme; tra le Dicotiledoni, le Magnoliacee, le Lauracee e le Amentacee. Scarso interesse per lo sviluppo del regno vegetale hanno le flore del Terziario, in cui è già rappresentata la maggior parte delle specie viventi; esse hanno tuttavia importanza per la soluzione di problemi paleoclimatici e di distribuzione delle piante attuali. L’attuale flora, con le sue circoscrizioni ben delimitate, si stabilisce definitivamente solo con l’inizio delle glaciazioni pleistoceniche. Nei periodi interglaciali il clima mite permetteva una diffusione verso N delle flore, anche oltre agli attuali limiti. Tali migrazioni floristiche sono studiate soprattutto attraverso lo studio di depositi pollinici in bacini attualmente interrati (➔ palinologia).
I dati paleobotanici sono utilizzabili per gli studi di filogenesi, morfologia e distribuzione delle specie esistenti. La p. fornisce inoltre dati fondamentali alla geologia (sia per i fossili, e quindi per la cronostratigrafia, sia per la comprensione dei fenomeni biologici delle epoche passate), all’archeologia (sia per l’identificazione dei resti vegetali presenti nei siti di scavo, sia per la ricostruzione del paesaggio agli albori della civiltà), alla climatologia, per la ricostruzione delle variazioni climatiche oloceniche.
Ai fini archeologici, la p. può essere sinteticamente definita come lo studio delle relazioni fra uomo e piante nel passato, mediante documenti costituiti da resti botanici (pollini, semi, frutti, carboni, fitoliti ecc.) prelevati da contesti archeologici. La conservazione di questi materiali avviene o in condizioni climatiche particolari (ambienti umidi, aridi o glaciali) o per fenomeni chimici come la carbonizzazione e la mineralizzazione. A seconda del tipo di resti presi in considerazione, la p. si articola nello studio dei frutti e dei semi (carpologia), dei legni, dei carboni (antracologia) e dei pollini e delle spore (palinologia). Un ulteriore campo di ricerca, sviluppatosi recentemente, è rappresentato dallo studio dei fitoliti. Tali discipline si prefiggono una complessiva ricostruzione della vegetazione antica. La loro applicazione all’archeologia consente di comprendere sia il paesaggio naturale sia il suo sfruttamento da parte dell’uomo. L’insieme delle specie rappresentate, sotto forma di semi e legni, fornisce infatti utili informazioni sul clima e sull’ambiente vegetale delle aree indagate. Anche le proporzioni fra i pollini di specie diverse (espresse in schemi detti diagrammi pollinici), come pure i fitoliti, contribuiscono a delineare lo sviluppo dell’ambiente nel tempo. È evidente che la p. deve presentare, a livello di prassi, due distinte componenti, e cioè una archeologica, per gli aspetti più strettamente connessi con la ricerca sul campo, e una naturalistica che contempli le conoscenze di tassonomia, di anatomia delle piante e delle tecniche di laboratorio. Importante è la stretta connessione fra lavoro sul campo e attività di laboratorio, quindi la collaborazione con gli archeologi e la comunicazione fra specialisti, in particolare con quelli che studiano altre relazioni fra popolazioni umane e ambiente, come gli archeozoologi.