La prescrizione del reato (artt. 157-161 c.p.) determina l’estinzione dello stesso sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo (Estinzione del reato e delle pene). La ratio di questo istituto risiede nel fatto che, a distanza di molto tempo, viene meno l’interesse dello Stato sia a punire un comportamento penalmente rilevante, sia a tentare il reinserimento sociale del reo. Tuttavia, nell’ottica di valorizzare i diritti fondamentali dell’uomo e di garantire il diritto costituzionale alla difesa in giudizio, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157 c.p. nella parte in cui non consentiva la rinunciabilità alla prescrizione da parte del reo (sent. n. 275/1990). Con l’entrata in vigore della l.n. 251/2005 (cosiddetta legge ex Cirielli) il modo in cui calcolare la prescrizione è profondamente mutato. In particolare, mentre in precedenza si determinava la durata della prescrizione in scaglioni, a seconda della fascia a cui apparteneva la pena massima dell’illecito contestato al reo (fissando, per es., la prescrizione in 10 anni, per i delitti puniti, nel massimo, con la pena della reclusione non inferiore a 5 anni), oggi si fa direttamente riferimento alla pena massima, senza la necessità di un ulteriore passaggio logico, perché l’entità della pena corrisponde automaticamente al tempo necessario perché si prescriva il reato a cui afferisce. Si prevedono, peraltro, due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, invece, a 4 anni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria (nuovo art. 157, 1° co., c.p.). Al fine di rendere certo, sin dal momento della commissione del reato, il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita per il reato consumato o per il delitto tentato. E' stata, pertanto, eliminata la rilevanza della diminuzione di pena per le circostanze attenuanti e dell’aumento per quelle aggravanti (Circostanze del reato), salvo per le circostanze per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria e per quelle a effetto speciale. In questi ultimi due casi si tiene conto, infatti, dell’aumento massimo di pena previsto per le aggravanti. È in ogni caso precluso il giudizio di prevalenza o equivalenza di cui all’art. 69 c.p.
Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza. Nel caso sussistano condizioni obiettive di punibilità, essa decorre dal giorno in cui si è verificata la condizione; infine, per i rati punibili a querela, istanza o richiesta (Condizioni di procedibilità), dal giorno del commesso reato. La prescrizione può essere sospesa o interrotta. La sospensione si verifica nei casi imposti dalla legge oppure nei casi specificatamente previsti dall’art. 159: autorizzazione a procedere, deferimento della questione ad altro giudizio; impedimento delle parti o dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. Terminata la causa sospensiva, la prescrizione riprende il suo corso. L’interruzione è, invece, l’effetto giuridico per il quale, in presenza di alcuni atti giuridici (l’ordinanza applicativa delle misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto; l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice; decreto di fissazione dell'udienza preliminare, ecc.), il termine di prescrizione già decorso viene meno o comincia a decorrere ex novo. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. In nessun caso i termini stabiliti per la prescrizione possono essere prolungati oltre un quarto del tempo necessario a prescrivere.
Estinzione del reato e delle pene