La filiazione è il rapporto, produttivo di particolari effetti giuridici, che intercorre tra una persona fisica ed i soggetti che l’hanno concepita o adottata. La filiazione può essere legittima, se i genitori sono legati da vincolo matrimoniale tra loro (artt. 231-249 c.c.); naturale, se i genitori non sono legati da vincolo matrimoniale tra loro (artt. 250-290 c.c.); adottiva o civile, se deriva da adozione. Fino al 1975 vi erano grandi differenze tra filiazione legittima e naturale (all’epoca definita illegittima), ma la riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975, n. 151), in attuazione dei principi contenuti nella Costituzione (v. in particolare gli artt. 2, 3 e 30 Cost.), le ha notevolmente attenuate.
Perché la filiazione sia legittima la legge richiede il concorso di tre condizioni: che la madre del nato sia la moglie, che il padre sia il marito, che il concepimento sia avvenuto durante il matrimonio. La prima condizione è facilmente accertabile corrispondendo al semplice fatto della naturale procreazione dopo il periodo della gravidanza. L’esistenza della seconda viene determinata in base alla presunzione (eliminabile dalla prova contraria) che padre del figlio concepito durante il matrimonio sia il marito della madre (art. 231 c.c.). La terza condizione, che presuppone la celebrazione d’un matrimonio valido agli effetti civili, è determinata dalla presunzione (assoluta e non contrastabile) secondo cui è da ritenere concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi trecento giorni dalla data di annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tale presunzione non opera quando siano trascorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data di comparizione dei coniugi davanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 232 c.c.). Tuttavia, il figlio nato prima dei centottanta giorni dalla celebrazione è anch’esso reputato legittimo se uno dei coniugi o il figlio stesso non ne disconoscono la paternità (art. 233 c.c.). Per l’ipotesi del nato dopo i trecento giorni dall’annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’art. 234 c.c. ammette ciascuno dei coniugi e i loro eredi a provare che il figlio è stato concepito durante il matrimonio ovvero durante la convivenza successiva allo stato di separazione dei coniugi. Il figlio è in ogni caso ammesso a provare il suo stato di legittimo. Per l’azione di disconoscimento della paternità, v. Azioni di stato legittimo). Prova della filiazione legittima è l’atto di nascita o, in suo difetto, il godimento della condizione di figlio legittimo (art. 236 c.c.). La filiazione legittima importa diritti e doveri reciproci tra genitori e prole: i primi hanno l’obbligo di mantenere, istruire e educare i figli, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni (art. 147 c.c.). La Corte di Cassazione ha in merito precisato che l’obbligo al mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età del figlio, ma persiste finché il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica ovvero sia stato posto dai genitori nelle concrete condizioni per essere economicamente autosufficiente. Il figlio, a sua volta, deve rispettare i genitori e contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa (art. 315 c.c.). Nei casi previsti dalla legge, vi è inoltre un obbligo reciproco di fornire gli alimenti.
La filiazione è naturale quando autori del concepimento siano persone tra loro non coniugate, o il cui matrimonio sia stato considerato nullo senza la buona fede di anche uno soltanto dei coniugi (matrimonio putativo). Per l’accertamento della F. naturale occorre il riconoscimento volontario di uno o entrambi i genitori (art. 250 c.c.) ovvero la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale (artt. 269 ss. c.c.). Altrimenti il nato figura allo stato civile come figlio di genitori ignoti e l’ufficiale di stato civile gli attribuisce un nome di fantasia. È stato eliminato ogni ostacolo al riconoscimento e all’accertamento giudiziale della filiazione in riferimento ai figli adulterini, giacché l’art. 250, 1° co., c.c., ammette il riconoscimento da parte del padre e della madre, tanto congiuntamente che separatamente, anche se uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento, e l’art. 269 cod. civ. prevede la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale nei casi in cui è ammesso il riconoscimento. Il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi (art. 261 c.c.), è irrevocabile (art. 256 c.c.) è può aver luogo anche nei confronti di un figlio premorto, in favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti. Il figlio naturale assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo o quello del padre se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori. Se la filiazione nei confronti del padre è riconosciuta o accertata successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Se il figlio è minore, la decisione sull’assunzione del cognome del padre è attribuita al giudice. La filiazione ha poi particolare rilievo nel campo della successione: anche in questa materia, a seguito della riforma del diritto di famiglia, si è giunti ad una sostanziale parificazione tra filiazione legittima e naturale, fatta eccezione per il limitato diritto di commutazione (in base al quale i figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano, ed in caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali: art. 537 c.c.).