Strutture antigeniche di tipo proteico presenti sulla superficie dei globuli rossi e riconosciute da anticorpi specifici. Furono scoperti nel 1900 da K. Landsteiner. Attualmente sono state individuate alcune centinaia di gruppi sanguigni, di cui gran parte sono raggruppati in circa 20 sistemi ben definiti: i principali sono indicati con A, B, 0 e AB (fig.). Ogni gruppo è inoltre suddiviso in due categorie distinte dal fattore Rhesus.
A e B si riferiscono alla presenza di zuccheri specifici legati all’antigene (0 denota la loro assenza). Gli anticorpi, alloagglutinine del sistema AB0, sono definiti naturali per la loro sistematica presenza, anche in mancanza di stimoli antigenici noti, quali trasfusioni o gravidanze incompatibili. Queste agglutinine si sviluppano durante i primi mesi di vita in seguito al contatto con sostanze simili agli antigeni A e B, molto diffuse nel regno animale e vegetale. Esse non sono presenti solo in certe forme di grave immunodeficienza umorale. Gli individui di gruppo A si dividono nei sottogruppi A1 e A2 sulla base del numero più o meno elevato di siti antigenici A sulla membrana dei globuli rossi; lo stesso si verifica per gli individui di gruppo AB. La distinzione fra i sottotipi A1 e A2 è meglio definita con l’uso di reagenti di origine vegetale, le lectine, estratte dai semi di Dolichos biflorus. La frequenza degli antigeni del sistema AB0 è molto variabile nelle diverse popolazioni (➔ razza).
Le specificità antigeniche A e B degli eritrociti, presenti anche su altre cellule dell’organismo, risiedono in piccoli oligosaccaridi legati a una sfingomielina (➔ sfingolipide) chiamata ceramide. La sola differenza tra gli antigeni A e B consiste nel fatto che per la specificità A il monosaccaride terminale è rappresentato da N-acetilgalattosamina, per la specificità B dal D-galattosio. L’attacco di questi monosaccaridi terminali a una catena oligosaccaridica (sostanza H) è attuato da enzimi transferasici specifici codificati dagli alleli A e B. L’allele 0, dello stesso locus genico, non determina invece la produzione di transferasi per cui, negli individui in cui è presente in doppia dose (genotipo 00), la catena oligosaccaridica con specificità H rimane invariata. In sintesi, esiste un gene H che controlla la trasformazione di una sostanza di base o precursore in sostanza H, mediante l’attacco di una molecola di L-fucosio. Successivamente sulla sostanza H agiscono i geni A e B, che peraltro non portano alla completa conversione di H. La quantità di H che rimane invariata è direttamente legata al grado di efficienza dei geni stessi: il gene A1 sembra più attivo del gene A2. Altri rari alleli A3, Am, Ax risultano ancora meno attivi di A2 nella trasformazione di H. Anche il gene B lascia residui di sostanza H; negli individui AB, per l’azione combinata di due geni rimane la più piccola quantità di H. La sostanza H reagisce con una lectina estratta da Ulex europeus. In presenza del raro genotipo hh non vi è trasformazione del ‘precursore’ in sostanza H, per cui anche i geni A e B rimangono inattivi. Questo è il caso del raro fenotipo 0 Bombay (0h) privo di sostanza H, ma tuttavia capace di trasferire ai propri figli geni A o B trasmessi dai genitori e rimasti in loro inoperanti.
Sostanze gruppo-specifiche ABH, in forma idrosolubile, si trovano nelle secrezioni e in altri liquidi corporei. La forma idrosolubile delle sostanze ABH si differenzia da quella liposolubile, eritrocitaria e cellulare, in quanto la catena oligosaccaridica è legata a una struttura peptidica, invece che al ceramide. La secrezione di sostanze ABH è controllata da una coppia di geni alleli ‘Se-se’ il cui locus è indipendente dal locus AB0, localizzato sul cromosoma 9.
L’importanza della compatibilità AB0 nella pratica trasfusionale è emersa fin dai primordi della scoperta di Landsteiner. Individui di un determinato gruppo AB0 possono donare sangue solo a riceventi che non abbiano nel siero alloagglutinine specifiche capaci di distruggere i globuli rossi del donatore. Da questo si è sviluppato il concetto di donatore universale per gli individui di gruppo 0 e di ricevente universale per gli individui di gruppo AB. La successiva scoperta di altri sistemi gruppo-ematici, dei meccanismi di alloimmunizzazione contro vari antigeni dei globuli rossi, principalmente quelli del sistema Rh, ha completamente alterato il significato del donatore e del ricevente universale. A questo si aggiunge l’individuazione in alcuni donatori 0 di potenti emolisine anti-A/B (0 pericolosi) capaci di distruggere globuli rossi A o B di riceventi ‘non-0’. Con l’introduzione nella pratica clinica della forma più comune di trasfusione differenziata, che è quella di globuli rossi concentrati privi del proprio plasma, il concetto del gruppo 0 come donatore universale può in parte mantenere il suo ruolo se altri tipi d’incompatibilità, principalmente Rh, o altri anticorpi immuni del ricevente non lo controindicano.
Landsteiner e A.S. Wiener scoprirono nel 1940 che circa l’80-85% degli individui possiede un emoagglutinogeno eguale a quello del sangue di una scimmia (Macacus rhesus). Al nuovo gruppo sanguigno si dette perciò il nome di fattore Rh e alle due categorie di individui in cui era presente o assente l’antigene quello di Rh-positivi o Rh-negativi. Gli antigeni Rh sembrano essere proteine, quindi prodotti diretti di uno o più geni, presenti sul cromosoma 1. Essi sono trasmessi come caratteri mendeliani autosomici. Vi sono due teorie genetiche per spiegare la multispecificità del complesso antigenico Rh. Secondo la teoria degli inglesi R.A. Fisher e R.R. Race esistono tre loci strettamente uniti (linked); le tre coppie di alleli, più frequenti, a ciascun locus, sono indicate come Cc, Ee, D(d), a cui corrispondono altrettanti antigeni. Cinque di essi sono riconosciuti con i rispettivi antisieri, anti-C, anti-c, anti-E, anti-e, anti-D. Il prodotto dell’allele d, come controparte di D, non è stato identificato da un siero specifico anti-d. Probabilmente il gene d è amorfo o il suo prodotto è un antigene debole, quindi non in grado di stimolare la formazione di anticorpi. L’originale antigene Rh in questa terminologia è chiamato D, equivalente di Rh positivo, mentre l’equivalente dell’Rh negativo è il d, riconosciuto per la mancanza di agglutinazione dei globuli rossi con siero anti-D. La definizione del genotipo permette di riconoscere se un individuo è portatore dell’allele D in singola o in doppia dose, se è cioè eterozigote (Dd) o omozigote (DD): una persona Rh negativa è sempre omozigote dd. La distinzione tra omo- ed eterozigote per il D è particolarmente importante nel caso di un padre con figli affetti o soggetti a rischio di malattia emolitica per alloimmunizzazione materna anti-Rh. Nella teoria di Wiener l’eredità degli antigeni Rh è determinata da numerosi geni alleli a un solo locus. Wiener usa una denominazione diversa per indicare il gene e gli antigeni espressi sui globuli rossi. Questa complessità di terminologia può generare confusioni. L’antigene D può apparire sulla membrana dei globuli rossi in forma debole, fatto che complica la tipizzazione. Le varianti deboli del D, definite Du, differiscono dal normale D perché hanno un numero ridotto di siti antigenici, reagiscono solo con sieri anti-D molto potenti o con particolari tecniche. Il Du è considerato Rh positivo come donatore e Rh negativo come ricevente.
Poiché gli antigeni Rh si trovano esclusivamente sui globuli rossi, gli anticorpi corrispondenti possono essere prodotti solo con l’esposizione a sangue incompatibile in seguito a gravidanza o a trasfusione. Non esistono pertanto, come per il sistema AB0, anticorpi ‘naturali’, né esiste sostanza Rh nei secreti. Gli immunoanticorpi Rh sono generalmente della classe IgG, talvolta IgM e anche IgA. La malattia emolitica del neonato da incompatibilità Rh si può verificare qualora i globuli rossi del figlio Rh positivo passino per via transplacentare nel circolo della madre Rh negativa, durante la gravidanza o il parto. Se la madre s’immunizza, forma cioè alloanticorpi anti-Rh positivo, generalmente anti-D, questi potranno attraversare la placenta e distruggere i globuli rossi di un successivo figlio Rh positivo. Anche altri antigeni del sistema Rh, in particolare c ed E, se presenti nel figlio e assenti nella madre possono stimolare in essa anticorpi e quindi malattia emolitica del neonato. Con l’uso delle immunoglobuline (IgG) anti-D, ricavate dal siero di soggetti con anticorpi anti-Rh e iniettato alle donne Rh negative dopo il parto di un figlio Rh positivo, si previene l’immunizzazione materna quasi nel 99% dei casi.
Oltre agli antigeni del sistema AB0 e Rh esistono sui globuli rossi numerosissimi altri antigeni raggruppati o no in sistemi: Kell, Duffy, Kidd, MNSs, P, Lutheran, Lewis, Diego, Auberger, Scianna, Sid ecc. Tutti gli antigeni eritrocitari sono ereditati come caratteri mendeliani semplici autosomici, eccetto l’antigene Xgª, il cui gene è associato al cromosoma X. Tra gli antigeni menzionati, sono implicati in problemi trasfusionali e nella malattia emolitica da incompatibilità maternofetale principalmente il Kell (K), il Duffy (Fy) e il Kidd (Jk). Si sa che il gene Fy è presente, come l’Rh, sul cromosoma 1.