Scrittore russo (Jasnaja Poljana 1828 - Astapovo, od. Lev Tolstoj, Lipeck, 1910), conte. Perduti i genitori (la madre a due anni, il padre a nove), fu educato da parenti e da precettori francesi e tedeschi. Trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Jasnaja Poljana, Mosca e Kazan′. Dal 1844 al 1847 frequentò la facoltà di orientalistica e poi quella di giurisprudenza all'università di Kazan′ senza portare a termine gli studî. All'inquietudine degli anni giovanili cerca risposte nei libri (la Bibbia, Rousseau); desideroso di apparire irreprensibile, assetato di sincerità, incline alla vita dissipata ma dotato di un forte senso morale, si detta rigide regole di comportamento che non rispetta, ricorre presto a quella forma di autocontrollo che è il diario, che riprenderà nei decennî successivi, tra il 1850 e il 1888 e poi, ininterrottamente, fino alla morte. I primi tentativi letterarî giunti fino a noi sono Istorija včerašnego dnja ("Racconto della giornata di ieri", 1851, pubbl. post., 1926) e l'inizio di Detstvo ("Infanzia"), pubblicato nel 1852 e accolto con favore dalla critica e dai lettori. Completeranno poi la trilogia autobiografica, prova di prococe capacità di autoanalisi e di perspicacia psicologica, Otročestvo ("Adolescenza", 1854) e Junost′ ("Giovinezza", 1857). Nel 1851 partì per il Caucaso, dove intraprese la carriera militare. Il Caucaso e la guerra ispirano Nabeg ("Incursione", 1853), Rubka lesa ("Il taglio del bosco", 1855), Kazaki ("I cosacchi", 1852-63). La partecipazione ad alcuni fatti d'arme, la dimestichezza con la gente del luogo lo misero in contatto con quella pienezza di sentimenti e d'istinti, cui l'uomo di cultura anela senza poterla raggiungere. In Kazaki l'animo integro e libero dell'uomo della natura è contrapposto al doloroso ripiegamento dell'uomo colto, riflessivo, incapace d'immediatezza. L'opposizione tra natura e cultura e la preferenza accordata alla prima accompagnarono T. in tutto il cammino, motivando le sue scelte letterarie, pedagogiche, di vita. Durante la guerra di Crimea T. partecipò all'assedio di Sebastopoli dando a sé stesso quella prova di valore di cui aveva bisogno. Da questa esperienza, che provocò in lui cambiamenti profondi, trasse il ciclo dei tre Sevastopol′skie rasskazy ("Racconti di Sebastopoli", 1855-56), tutt'altro che convenzionali, nei quali espresse l'orrore della guerra, il silenzioso eroismo dei soldati, la vanità degli ufficiali in cerca di gloria. Poco dopo la caduta di Sebastopoli lasciò l'esercito, compì un viaggio a Parigi e in Svizzera, seguito, qualche anno più tardi, da un lungo soggiorno in Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra, Italia. Intanto continuava a scrivere alacremente: Dva gusara e Metel′ ("Due ussari" e "La tormenta", 1856); Ljucern ("Lucerna", 1857); Al′bert (1857-58); Tri smerti ("Tre morti", 1858, pubbl. 1859); Semejnoe sčast′e ("Felicità domestica", 1858-59). Al periodo tra il 1859 e il 1862 appartiene soltanto Polikuška (1861, pubbl. 1862), racconto di contenuto e toni popolari. In quel triennio T. si occupò d'altro: nel 1859 aprì a Jasnaja Poljana una scuola per i figli dei contadini, fondata sulla piena libertà degli allievi, e favorì l'apertura di altre scuole analoghe; mosso dal bisogno di coerenza, tentò di liberare dalla servitù della gleba i suoi contadini, che si mostrarono però diffidenti. Di ritorno dall'estero, arricchito di nuove esperienze pedagogiche, riprese il suo posto di maestro, dando vita anche al mensile Jasnaja Poljana, in cui illustrò le sue idee. Dopo l'abolizione della servitù della gleba (1861) divenne arbitro di pace nelle controversie tra proprietarî e contadini, guadagnandosi l'odio dei possidenti e una denuncia come sovversivo. Il matrimonio (1862) con la diciassettenne Sofija Andreevna Bers, da cui avrà tredici figli, diede un ordine più stabile alla sua vita. Poco dopo il matrimonio sospese l'attività dell'insegnamento e si mise a scrivere un'opera narrativa di largo respiro, 1805-j god ("L'anno 1805"), pubblicandone la prima parte nel 1865. Con la sua continuazione (1867-69), il romanzo, più volte modificato, prese il titolo di Vojna i mir (v. Guerra e pace). T. non lo considerava un romanzo, né un poema, né una cronaca storica. È la storia di alcune famiglie nobili nei primi due decennî del secolo, attraverso l'esperienza delle guerre napoleoniche. Essenziale non è la precisione documentaria (benché T. si difendesse dall'accusa di aver falsificato la storia per sostenere la propria ideologia), ma la capacità di far trasparire la "dialettica dell'anima", di dare espressione artistica alla passione morale, d'intrecciare con naturalezza le storie individuali di infiniti personaggi con la storia della nazione in un momento cruciale. Il cammino indicato è quello che porta verso la semplicità, illuminata dalla saggezza di Platon Karataev. Molti dei personaggi - contadini, soldati, ma anche membri dell'aristocratica famiglia Rostov - sono naturalmente "semplici". Le figure intellettualmente più complesse, come Andrej Bolkonskij e Pierre Bezuchov, sono destinate a una costante, faticosa ricerca. Le molteplici fila dell'intreccio, i varî piani di lettura si compongono nell'armonioso equilibrio del capolavoro. Guerra e pace non mancò di suscitare aspre polemiche; l'attacco spietato agli stati maggiori russo e francese, fatta salva la figura di Kutuzov, la mancanza di rispetto per la storiografia ufficiale provocarono l'ira degli specialisti. La critica, sulle prime sgomenta, reagì poi con entusiasmo. All'estenuante lavoro su Guerra e pace segue un lungo periodo di stanchezza creativa e di depressione, durante il quale T. si dedica al lavoro dei campi, allo studio del greco. Sono anni di lutti familiari: muoiono due dei suoi figli, in tenerissima età, e alcuni altri parenti. La ripresa ebbe inizio col ridestarsi della passione pedagogica. T. concepì l'idea di un libro che contenesse tutto ciò che occorre alla formazione intellettuale e morale del bambino: nacquero Azbuka ("Sillabario", 1872, 1875) e Četyre knigi dlja čtenija ("Quattro libri di lettura", 1875), che ebbero un enorme successo di pubblico, malgrado le critiche degli esperti. Il nuovo romanzo, Anna Karenina (v.), ideato nel 1870 e cominciato nel 1873, nasce in un'atmosfera inquieta, piena di mutamenti nella società, d'insoddisfazione nell'animo di Tolstoj. Abbandonato, modificato, ripreso, il romanzo uscì tra il 1875 e il 1877 in rivista, nel 1878 in volume, accolto trionfalmente. Nel passaggio alla redazione definitiva la figura di Anna acquista i caratteri con cui si è fissata nella memoria di generazioni di lettori: vitalità, tenerezza, semplicità sono la fonte del suo fascino; la sua passione nasce da un'esigenza di sincerità, dall'insofferenza per le convenzioni, ma le procura l'ostracismo della società; Levin, al quale T. affida molte delle proprie idee, è il paladino della campagna, della vita familiare, assillato dal dissidio tra anelito alla verità e prigionia della menzogna. Placherà in parte la sua inquietudine avvicinandosi all'esperienza dei contadini, in armonia con la natura. Ancora una volta T. riesce a unire intimamente i temi del romanzo in una mirabile struttura architettonica. Questo risultato, lungi dal sanare la sua crisi, l'accentua. Tutta la sua produzione letteraria gli appare un vano trastullo, lo disgusta. La sua cerchia sociale gli diventa sempre più estranea, si sente ostile agli intellettuali, agli scienziati che in migliaia di anni non hanno fatto progredire l'umanità nella conoscenza della giustizia, del senso della vita. Ispoved′ ("Confessione", 1879-80, pubbl. 1884) esplicita una convinzione già abbozzata in precedenza: si può trovare un senso alla vita soltanto nel popolo dei lavoratori che la creano, e questo senso è la verità. T. abbandona l'ortodossia, si converte "al Vangelo". Scopre che la dottrina ufficiale della chiesa falsa lo spirito e la lettera del Vangelo. Scrive una nutrita serie di studî, saggi e polemiche sull'essenza della religione, sul senso della vita, sulla non resistenza al male (Christjanskoe učenie "La dottrina cristiana", 1898; O zizni "Sulla vita", 1887; Ne ubj nikogo "Non uccidere", 1907). Si batte contro il dogmatismo religioso (Kritika dogmatičeskogo bogoslovija "Critica della teologia dogmatica", 1880), contro la pena di morte (Ne mogu molčat′ "Non posso tacere", 1908; O smertnoj kazni "Sulla pena di morte", 1910), contro i sistemi economici e politici vigenti, contro la guerra. Difende coloro che soffrono o che sono perseguitati per le loro convinzioni. Organizza con successo i soccorsi alle popolazioni colpite dalla carestia (1891-93), finanzia con i suoi diritti d'autore l'emigrazione in Canada degli appartenenti alle sette dei molokane e dei duchoborcy. Molti degli scritti di questi anni sono vietati dalla censura, T. è considerato dalle istituzioni un sobillatore, un folle. Nel 1901 è scomunicato dal Sinodo, ma la sua autorità morale è immensa in Russia e all'estero, i suoi opuscoli hanno una larghissima diffusione. Matura in lui una nuova concezione dell'arte che si concreta nel famoso saggio Čto takoe iskusstvo? ("Che cos'è l'arte?", 1897-98). Non è nuova per lui l'idea che l'etica debba prevalere sull'estetica; nuova è la definizione di arte cristiana, che ha valore soltanto se corrisponde alla coscienza religiosa del popolo, se aiuta a vivere una buona vita. È questo l'intento dei raccontini edificanti, scritti dopo il 1881. Ma T. non rinunzia a impegnarsi in opere di ben altro respiro: il cupo dramma Vlast′ t′my ("Il potere delle tenebre", 1886) affronta il tema di un delitto in ambiente contadino; Smert′ Ivana Il′iča ("La morte di Ivan Il′ič", 1886), uno dei migliori racconti di T., descrive la solitudine e la paura di fronte alla morte di un uomo che ha accettato senza riflettere il modo di vita egoistico del suo ceto, mentre Cholstomer (1861-85) presenta i costumi della buona società vista con gli occhi di un vecchio cavallo da corsa. A breve distanza seguirono il pamphlet drammatico Plody prosvescenija ("I frutti dell'istruzione", 1886-90, pubbl. 1891), Krejcerova sonata ("La sonata a Kreutzer", 1887-89, pubbl. 1891), opera sconcertante per il violento attacco contro l'amore sensuale, espresso nella forma di un monologo ossessivo. Del 1889-99 è l'ultimo grande romanzo, Voskresenie ("Resurrezione"), nel quale il protagonista cerca tenacemente di riscattare con una nuova vita le colpe della sua giovinezza. T. mostra di non aver perduto nessuna delle sue capacità analitiche, descrittive e narrative. Molte delle opere più tarde apparvero postume perché l'autore non sentiva più l'urgenza di pubblicarle: I svet vo t′me svetit ("E la luce splende nelle tenebre", 1896), D′javol ("Il diavolo", 1889-90), Otec Sergij ("Padre Sergij", 1890-98) e il commosso dramma della docile accettazione del destino, Živoj trup ("Il cadavere vivente", 1900), tutte pubblicate nel 1911; uscì invece nel 1912 Chadži-Murat (1896-1904), che chiude il ciclo della grande narrativa tolstoiana con un ritorno ai temi della giovinezza: l'assurdità del mondo civile rispetto alla vita naturale dei montanari, saggi e crudeli. In quegli anni T. attribuiva maggiore importanza alle sue raccolte di pensieri, Mysli mudrych ljudej na každyj den′ ("Pensieri di saggi per ogni giorno", 1906), Na každyj den′ ("Per tutti i giorni", 1906-7), veri e proprî breviarî laici. Divenuto lo scrittore più noto del suo tempo, T. non si era acquietato. Avvertiva, più intollerabile che mai, il divario tra la sua vita di ricco nobile e la sua predicazione, il senso d'impotenza di fronte alla sofferenza dei più, il peso dei dissidî domestici. Vecchio e malato, compie l'atto che aveva meditato per anni, e che ha ormai un valore soltanto simbolico: fugge, abbandonando famiglia e proprietà, in un supremo sforzo di coerenza. Muore ad Astapovo dieci giorni dopo la fuga. "Fais ce que dois" ("fa ciò che devi") sono le ultime parole da lui scritte.