Narrare con i suoni
C'è la musica della natura e quella degli strumenti, la musica dell'allegria e quella della tristezza, la musica delle marce militari e quella delle feste, la musica per ballare e quella per pregare. La musica avvolge la vita di tutti, accompagna i momenti lieti e quelli dolorosi, oggi come nel passato.
La nostra vita si svolge in ambienti ricchi di suoni. Ma raramente vi prestiamo davvero attenzione. Più spesso, viviamo in mezzo ai suoni e ai rumori senza badarvi. E, anche se i rumori non sono musica, sarebbe importante, così come molti musicisti ci hanno invitato a fare, conoscere il mondo con le orecchie oltre che con gli occhi. Alcuni musicisti del 20° secolo hanno sentito il bisogno di inserire nelle loro composizioni i suoni e i rumori del mondo esterno: Gustav Mahler ci fa sentire in una sinfonia i campanacci delle mucche, George Gershwin i clacson dei taxi, altri ancora il ticchettìo di macchine per scrivere, il sibilo delle sirene, il rombo di aerei in volo.
La musica è un linguaggio capace di legare culture e mondi diversi, esprime sentimenti universali e suscita emozioni profonde. Diversi sono i modi in cui la si ascolta ed è difficile, se non impossibile, trovare le parole giuste per raccontare che cosa l'ascolto provoca in ciascuno di noi. Di una musica possiamo dire se è allegra o triste, poco di più. Sappiamo, però, quali emozioni suscita in noi, se ci commuove, ci eccita o ci rallegra. Per questo non tutti amano la stessa musica, perché ognuno vi trova, nel momento in cui l'ascolta, ciò di cui ha bisogno o ciò che più risponde al suo stato d'animo.
Fu l'uomo del Paleolitico a creare le prime forme musicali, utilizzando oggetti sonori costruiti con i materiali naturali di cui disponeva. Dalle raffigurazioni rupestri e dagli studi sui popoli primitivi si può presumere che l'uomo creò i suoni per imitare la natura e sentirsi acqua, vento, pioggia, animale. Organizzò poi questi suoni così da costruire una melodia e un ritmo: stava imparando a comporre e, di lì a poco, si sarebbe reso conto dello straordinario potere della musica: quello di esprimere emozioni usando suoni anche privi di riferimenti specifici ai fenomeni naturali.
Gli antichi Egizi chiamavano la musica hy, cioè "gioia"; pensavano che fosse un dono degli dei e possedesse poteri magici. Credevano che l'avesse inventata il dio Thoth, custode del sapere universale, e che Osiride l'avesse usata per portare nel mondo ordine, civiltà e bellezza. Così come gli Egizi, altri popoli orientali pensavano che la musica avesse origini divine: nei libri sacri dell'India si racconta che il creatore dell'Universo non fosse altro che un soffio sonoro, una sillaba sacra, una piccola musica dall'immensa potenza.
La più celebre leggenda legata alla musica è quella che riguarda il mitico cantore Orfeo, figlio del dio greco Apollo, inventore della lira. Il mito racconta che, quando Orfeo cantava, gli uccelli e i pesci correvano ai suoi piedi, il vento e il mare si arrestavano, gli alberi e le pietre lo seguivano. La magia della sua musica, il suo canto disperato per la morte improvvisa della sposa Euridice commossero persino Plutone, il signore degli inferi, che concesse a Orfeo di entrare nel suo regno per riportarla in vita.
Molti musicisti hanno raccontato la storia di Orfeo, sicuramente perché, attraverso essa, potevano raccontare lo straordinario potere della musica, capace addirittura di sconfiggere la morte. Claudio Monteverdi fu il primo a dedicare, nel 1607, un'intera opera al mito di Orfeo. Egli rimase fedele al finale triste del mito: Orfeo non riesce a salvare Euridice perché non rispetta la condizione posta da Plutone e si volta a guardare l'amata. Nel 18° secolo Christoph Willibald von Gluck nella sua opera concesse invece alla vicenda un lieto fine, grazie all'intervento del dio Amore.
Una melodia da canticchiare, un ritmo da tamburellare, l'armonia per amalgamare il tutto e infine, a scelta, suoni delicati o forti, acuti o gravi, scuri o chiari. La velocità con cui si succedono le note può variare secondo i gusti: la musica può correre veloce come una gazzella, vorticare come un mulinello impazzito o scorrere lenta come le acque di un placido fiume.
Alti o bassi, forti o deboli, veloci o lenti, chiari o scuri: ogni musica è composta da suoni con caratteristiche diverse per altezza, intensità, durata e timbro.Immaginiamo il trillo di un usignolo o lo squittìo di un topolino: le loro voci acute volano alte nell'aria. Al contrario, il boato di un tuono ci colpisce con suoni bassi e profondi. Questa è l'altezza.
Ci sono suoni così impercettibili che sfiorano il silenzio come una pioggerellina primaverile, altri sono lievi come lo sciabordio delle onde sulla riva del mare, altri ancora forti come il fragore di una cascata o il rombo di un aereo. Questa è l'intensità o volume. Un altro elemento importante dei suoni è la durata. Un suono può essere lungo e persistente come l'eco di una voce che rimbalza in una profonda vallata, oppure corto e fugace come lo schiocco delle dita.
L'ultimo elemento è il timbro, cioè il 'colore' del suono, diverso da strumento a strumento. La stessa nota, prodotta da strumenti diversi, ha timbri differenti. Un la suonato dall'oboe è nasale e lamentoso, è squillante e luminoso se intonato da una tromba, è scuro e profondo quando prodotto da un contrabbasso.
Per comporre un brano musicale non basta certo inanellare una sequenza di suoni: bisogna saperli accostare con un certo gusto, rispettando precise regole di composizione. Spesso ci capita di canticchiare un motivetto che ci è rimasto impresso: a farcelo ricordare è la melodia che, se ben costruita, risulta piacevole e ha il potere di far sorgere in noi un'emozione, commuoverci, rasserenarci.
Per quanto bella, una melodia, priva di accompagnamento, si perderebbe. Ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da note 'amiche', meno appariscenti e memorabili, ma capaci di conferire al brano musicale la sua armonia. Ultimo ingrediente è il ritmo. Spesso capita di ascoltare un brano musicale allegro e trascinante e di iniziare, senza pensarci, a muovere i piedi, a dondolare la testa o a battere le mani. Senza saperlo stiamo battendo il tempo, stiamo cioè ripetendo la successione di colpi forti e deboli all'interno del brano. Questo è il ritmo: se lo sentiamo, non possiamo fare altro che ballarci su!
Come fare a scrivere sulla carta le note che un flauto o una viola devono eseguire? Problema che non è stato facile da risolvere, visto che si tratta di suoni, per loro natura sfuggenti e fluttuanti nell'aria. Ma, a poco a poco, la soluzione fu trovata. Dapprima, quando ancora non si usavano gli strumenti e si faceva musica solo con il canto, si usarono piccoli segni scritti sopra o sotto le parole dei testi da intonare. Si chiamavano neumi e indicavano quando la melodia doveva scendere o salire. Ma salire e scendere di quanto? E rispetto a cosa?
A escogitare una soluzione ci pensò il monaco Guido d'Arezzo. Intorno all'anno Mille inventò il rigo musicale sul quale scrivere questi segni, così da indicarne con precisione l'altezza. Fece di più: diede un nome ai piccoli segni da scrivere sul rigo. Nacquero le note, l'alfabeto della musica e precisamente: ut (in seguito trasformato in do), re, mi, fa, sol, la, si. C'era ancora un problema da risolvere: come segnare sulla carta la durata dei suoni? Dal 13° secolo i compositori utilizzarono una forma per le note lunghe e un'altra per quelle brevi, metodo che, poco modificato, si usa ancora oggi.
La danza è il linguaggio del corpo. Gli uomini delle origini iniziarono a comunicare tra loro con i gesti, ancora prima che con la parola. Poi con il movimento ritmico delle mani, dei piedi e di tutto il corpo invocarono l'arrivo della pioggia, festeggiarono la vittoria sul nemico, seguirono i cortei nuziali e quelli funebri.
Ascoltando il nostro corpo, scopriamo che il ritmo lo portiamo dentro di noi: più veloce o più lento, il nostro cuore batte incessantemente. È quindi un fatto naturale muoversi a tempo quando si ascolta musica. Così fecero i nostri antenati: unirono il movimento alla musica e diedero origine alla danza.
Per i popoli antichi il linguaggio del corpo aveva un significato sacro. Ancora oggi nel continente più antico del mondo, l'Africa, alcune tribù, prima di andare a caccia, danzano. Imitano, così facendo, i passi degli animali che intendono uccidere: ritengono in questo modo di impadronirsi della loro forza e di renderne possibile la cattura.
Abbandonato l'aspetto magico e religioso, la danza è diventata una forma d'arte e di spettacolo che ha assunto modi e forme differenti in Oriente come in Occidente. In Francia, ai tempi del Re Sole, cioè tra il 17° e il 18° secolo, il balletto si è sviluppato secondo precisi schemi che richiedono, a chi voglia praticarlo, anni e anni di studio.
Fu nella Russia del tardo 19° secolo che vennero composti i più celebri balletti di tutti i tempi. Pëtr Il′ič Čajkovskij eccelse per la capacità di tradurre in musica i temi e le atmosfere fiabesche dei racconti a cui si ispirava e compose il suo balletto più famoso, Il lago dei cigni, per i nipotini.
Nel balletto classico le ballerine, in svolazzanti tutù, danzano sulle punte, grazie a scarpette dalla punta di gesso, seguendo schemi e movimenti rigidamente fissati dalla tradizione. Ma che fatica! Che sorprendenti acrobazie! Sembrano farfalle che spiccano il volo.
Invece nel balletto moderno ballerine e ballerini vestono spesso in jeans e t-shirt, danzano a piedi nudi o con scarpe da ginnastica, si muovono in forme più libere e incisive. I loro movimenti, più che il volo di una farfalla, suggeriscono la zampata di un leone o i salti di un canguro. La danza moderna affonda le sue radici nei primi decenni del 20° secolo: fu allora che le danzatrici americane Isadora Duncan, ideatrice della danza libera, e Martha Graham inventarono una danza senza tutù e scarpette, insegnando a trovare la fonte d'ispirazione dentro sé stessi e inserendo in queste nuove forme di danza i ritmi del jazz e i gesti delle tradizioni popolari.
Non si balla solo sul palco di un teatro! In ogni epoca del passato, nei saloni dei palazzi aristocratici o sulle aie di campagna, ci si intratteneva ballando al suono di qualche strumento.
Alla fine del 19° secolo, il valzer trasformò Vienna in un'unica grande sala da ballo. Era una danza di origine contadina, travolgente e spumeggiante. Ancora oggi sono molto famosi i valzer della grande tradizione austriaca, tra cui il celeberrimo Sul bel Danubio blu, composto da Johann Strauss.
In Argentina, negli anni Venti del secolo scorso, nacque il tango, ballo nel quale si mescolano tristezza, nostalgia, ma anche rabbia e coraggio. Il tango deriva da ritmi cubani mescolatisi con motivi africani portati in America Latina dagli schiavi neri. Due tangueros si riconoscono subito: si stringono forte, si guardano intensamente, intrecciano gambe e braccia in complicate acrobazie e poi tornano a eseguire movimenti fluidi e sensuali. Sembrano stregati dalla passione che la musica trasmette.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, in un clima di grande entusiasmo, negli Stati Uniti il modo in cui i giovani facevano musica e ballavano subì un violento scossone: nel salotto di casa, nei locali e talvolta anche per strada, ci si lanciava in frenetici boogie-woogie e scatenati rock and roll, sfoggiando acrobazie spettacolari.
Nella gola di ciascuno di noi ci sono quattro piccole pieghe. Vengono chiamate corde vocali e, anche se non assomigliano affatto a quelle del violino o della chitarra, servono a fare musica. Se ben 'educate', attraverso lo studio in apposite scuole, ci consentono di emettere delicate e armoniose melodie, trilli e gorgheggi, per la gioia di chi ascolta.
Anche la voce che canta, come quella che parla, benché cambi nel tempo, è unica e inimitabile, come un'impronta digitale. A rendere ciascuna voce diversa da un'altra contribuiscono lo spessore delle corde vocali, la loro lunghezza, le dimensioni dei polmoni e il modo in cui ciascun cantante l'ha educata.
I cantanti d'opera vengono classificati in diverse tipologie in base al timbro, al colore, all'estensione della voce: tenori, baritoni e bassi sono le voci maschili; soprani, mezzosoprani e contralti quelle femminili. Tenori e soprani hanno voci acute, agili e brillanti, mentre contralti e bassi hanno voci gravi e profonde. Le voci dei bambini si chiamano invece voci bianche e sono chiare, limpide e cristalline.
Cantare in coro è molto bello: fa nascere un grande senso di solidarietà e di amicizia ed è un modo per imparare ad ascoltare sé stessi e gli altri. Si può entrare a far parte di un coro fin da quando si è bambini: una grande opportunità per conoscere dall'interno il mondo della musica e prendere parte a spettacoli.
Nella tradizione cristiana il canto corale è iniziato in modo molto semplice: i fedeli sovrapponevano alle parole di lode a Dio una facile melodia priva di un vero e proprio ritmo e di armonia. Questo modo di cantare fu chiamato canto gregoriano, in onore di papa Gregorio Magno, il quale si preoccupò di diffonderne l'uso durante il 6° secolo. Il papa raccolse tutti i canti in un manoscritto che fece legare con una catena d'oro all'altare di San Pietro: di quel libro fece fare molte copie e fondò scuole che diffusero dovunque il canto gregoriano.
Molti grandi musicisti hanno scritto pagine intense di musica corale: Ludwig van Beethoven, per esempio, ha voluto introdurre nella sua ultima sinfonia una parte corale con cui intendeva invitare alla pace e alla fratellanza universale. Riteneva ‒ e aveva certamente ragione ‒ che l'invito sarebbe stato più commovente e coinvolgente proprio per la presenza e l'intreccio di musica strumentale, voci soliste e coro. Sui versi di un grande poeta compose l'Inno alla gioia, che oggi è diventato l'inno ufficiale dell'Unione europea.
Anche le opere di Giuseppe Verdi fanno spesso ricorso a momenti corali di grande potenza e bellezza. Famosissimo è il Va' pensiero, nell'opera Nabucco: un canto dolce e melanconico che il popolo ebraico, in esilio, intona per esprimere la nostalgia per la patria perduta.
La voce umana è lo strumento più facile da usare per fare musica. E infatti lo usiamo quasi tutti. Si canta per far addormentare i bambini, per fare festa, per scandire ritmi di lavoro, di marcia o di danza. Si canta, talvolta, per esprimere il proprio dissenso, per dare libero sfogo alla rabbia, al dolore o alla felicità. E si canta per pregare, nelle chiese, ma non solo. Alcuni grandi canti di invocazione a Dio sono nati spontaneamente nei luoghi di lavoro, per esempio nei campi di cotone, dove un tempo gli Africani, ridotti in schiavitù, improvvisavano canti semplici e struggenti, simili a grida di dolore e di ribellione. Questi canti sono chiamati gospel e spiritual: oggi non si cantano più nei campi ma nelle chiese e nelle sale da concerto e sono entrati a far parte della storia della musica.
Con la voce si possono inoltre fare cose buffe e divertenti come, per esempio, imitare gli strumenti musicali. Il coro degli Swingle Singers è diventato famoso proprio per questo: invece di cantare, usa la voce per… suonare. Gli Swingle Singers imitano alla perfezione flauti e tromboni, violini e grancasse. Questo coro è composto solo da otto persone, quattro donne e quattro uomini, ma, a sentirlo, sembra un'intera orchestra!
Nel teatro d'opera i personaggi, invece di parlare, cantano e, cantando, raccontano le loro storie, fantastiche o buffe, tragiche o a lieto fine. In questo strano mondo di musica e parola, ciò che da 400 anni e più non smette di incantare gli ascoltatori è proprio la potente bellezza del canto.
I personaggi dell'opera cantano sempre. Cantano mentre si scontrano in un duello all'ultimo sangue, o addirittura mentre stanno morendo. Quando l'opera nacque, a Firenze, nei primi anni del 17° secolo, l'idea di musicare un testo da cima a fondo era un'assoluta novità.
Per certi aspetti l'opera è simile alle fiabe, in cui l'incredibile diventa verosimile e l'improbabile accettabile. Così può capitare, come succede nell'opera Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, che di notte, in un cimitero, una statua di marmo si metta improvvisamente a cantare, minacci con voce d'oltretomba il suo assassino, accetti un invito a cena da lui, si presenti puntualmente all'ora convenuta… e finisca per trascinare Don Giovanni all'inferno!
Quando un musicista vuole comporre un'opera, per prima cosa va alla ricerca di una storia e di un poeta che gliela racconti in versi. Avrà così un testo, detto libretto, su cui comporre la sua partitura. In realtà le componenti dell'opera sono tre: il testo, il canto, l'orchestra. Il compositore può giocare liberamente con loro, ottenendo effetti molto interessanti. Può decidere, come succede nelle opere del 18° e del 19° secolo, di bloccare l'azione e, per un tempo che sembra lunghissimo, lanciare il cantante in acrobatici vocalizzi, fargli ripetere più e più volte le stesse parole, sempre con diverse intonazioni che svelano ogni segreto dell'animo. Altre volte, in scene di grande eccitazione, il compositore può decidere di intrecciare le voci di più personaggi. Se non ci fosse di mezzo l'armonia del canto, il risultato potrebbe essere addirittura fastidioso, ma non è così: in entrambi i casi, l'abilità del compositore nel combinare suoni e voci è tale da rendere superflua persino la comprensione delle parole. Basta la musica a rendere tutto chiarissimo.
Nell'opera i personaggi sono resi riconoscibili dal modo in cui cantano e dal tipo di musica che il compositore inventa per ciascuno di loro. Ne La Cenerentola, per esempio, Gioacchino Rossini fa cantare le sorellastre su una musica brillante e ritmi 'pungenti', per rivelarne il carattere frivolo, malizioso e aggressivo. A Cenerentola, invece, Rossini affida melodie dolcissime, espresse con un canto lento e pacato, che fanno comprendere all'ascoltatore non solo l'indole buona del personaggio, ma anche la sua malinconia e la sua solitudine.
La musica che 'riveste' le parole di un libretto ne completa e ne approfondisce il significato. Per esempio, nel secondo atto di La Traviata, uno dei capolavori di Giuseppe Verdi, Violetta, la protagonista, deve separarsi dal suo innamorato, perché il padre di lui è contrario alla loro unione. Durante l'ultimo colloquio Violetta pronuncia queste parole: "Amami, Alfredo, quant'io t'amo. Addio!". A una semplice lettura sembra un saluto appassionato tra due innamorati, niente di più: ma la musica e il canto trasformano il significato della frase. I violini esplodono in un fortissimo, cioè con un suono molto intenso e vibrante, i tromboni 'urlano' una sconfortante rassegnazione, mentre Violetta intona un canto che è insieme una supplica e una dichiarazione d'amore. Sentiamo molto in quella musica: la rinuncia alla felicità, la solitudine a cui Violetta si condanna, la consapevolezza della morte vicina.
La musica può anche contraddire ciò che dice il testo, ironizzando sul suo significato. Ne Il barbiere di Siviglia, musicato da Rossini, la protagonista Rosina si presenta al pubblico dichiarandosi docile, arrendevole e obbediente. In orchestra il sibilo di un ottavino (il più acuto degli strumenti a fiato) commenta queste affermazioni come uno sberleffo, facendo capire al pubblico che il personaggio è fatto di tutt'altra pasta!
Il teatro musicale, durante la sua lunga storia e nelle varie forme che è andato via via assumendo, ha conquistato un pubblico di appassionati spettatori in tutto il mondo. Ancora oggi opere scritte tanti anni fa vengono rappresentate e mantengono intatta la loro capacità di divertire e commuovere.
Prima di Mozart, l'opera era costituita da una rigida alternanza di parti dialogate e arie. Nella parte dialogata (il cosiddetto recitativo) la musica si limitava a pochi interventi, mentre lo scambio di battute tra i personaggi portava avanti l'azione; nell'aria (cioè nella melodia), viceversa, si offriva al cantante la possibilità di esibirsi in spericolati virtuosismi, ma l'azione si bloccava. Mozart legò in un flusso musicale continuo recitativi e arie, rendendo lo svolgimento della vicenda più spontaneo e naturale. Mozart compose diverse opere in collaborazione con il librettista italiano Lorenzo Da Ponte: Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte sono vere e proprie commedie in musica, e nella musica, come nella vita reale, s'intrecciano momenti comici e drammatici.
A Napoli, sua terra d'origine, l'opera buffa era molto popolare: al pubblico piacevano le vicende semplici e divertenti che, dopo mille peripezie, si concludevano con l'immancabile lieto fine. Rossini dette a questo genere musicale fama europea, con una vitalità e un'energia del tutto nuove. Uno dei tratti che contraddistinguono la sua musica è il ritmo, che si scatena sia nei vertiginosi crescendo sia negli strepitosi finali d'atto. Nel crescendo una semplice melodia, suonata piano, cresce, cresce, cresce fino a un fortissimo esplosivo. L'ouverture (il brano strumentale che introduce all'opera) de Il barbiere di Siviglia acquista velocità come una locomotiva lanciata in una folle corsa, mentre il suono, sottile all'inizio, diventa sempre più corposo man mano che si aggiungono e si sovrappongono i vari strumenti dell'orchestra. Nei finali d'atto tutti i personaggi sono contemporaneamente in scena e vengono travolti da una musica velocissima: le loro parole si sovrappongono in un ritmo così rapido da diventare irriconoscibili e questo crea un effetto comico irresistibile.
Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti sono stati i primi a portare all'apice del successo il melodramma. Le appassionanti vicende di amore e morte, che costituivano l'argomento prediletto delle loro opere, erano rivestite da musiche piene di sentimento e di languore. Con Giuseppe Verdi, invece, la scelta degli argomenti si amplia: nel melodramma entrano i più diversi aspetti della vita. Dalla storia alla politica, dai rapporti familiari ai conflitti di potere, dalla religione alle passioni più ardenti, tutto è per Verdi fonte d'ispirazione musicale. La sua musica, vigorosa e incisiva, guizzante e scoppiettante come la scintilla di un falò, non solo ha creato personaggi indimenticabili, ma ha anche infiammato gli animi dei patrioti italiani al tempo delle lotte per l'unificazione d'Italia.
Mentre in Europa si continuavano a scrivere opere e operette, negli Stati Uniti acquisiva popolarità crescente un genere di teatro in musica più spettacolare: il musical. Ritmi scatenati, melodie che rimandano al jazz e al blues e, soprattutto, splendide coreografie sono i suoi ingredienti fondamentali. La complessità dello spettacolo richiede protagonisti capaci di ballare, cantare e recitare. West Side story è uno degli esempi migliori di musical. Composto nel 1957 da Leonard Bernstein, ripropone il tema di Romeo e Giulietta, cioè una storia d'amore contrastata tra innamorati appartenenti a gruppi tra loro in conflitto. A partire dagli anni Settanta il musical si rinnova e diventa anche strumento di analisi sociale con opere come Jesus Christ superstar, Hair e Cats. Ancora oggi il musical conta grandi successi: in Italia uno dei più noti e recenti è stato Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante.
Sono tutti lì, cento e più musicisti, con l'abito nero e la camicia bianca inamidata. Con un colpo di bacchetta il direttore attira la loro attenzione. Alza le braccia e il suono si spande nella sala. Suona l'orchestra.
L'orchestra sinfonica è un grande strumento formato da tante parti che tutte insieme producono un suono vario, pieno di colori, in grado di trascinare l'ascolto. Gli strumenti dell'orchestra hanno una caratteristica comune: tanto più sono piccoli tanto più alto è il suono che producono. Per conoscere uno strumento non è sufficiente ascoltare la sua voce e sapere com'è fatto. Bisogna conoscerne la 'personalità' e capire la sua funzione all'interno dell'orchestra.
Ci viene in soccorso un compositore russo, Sergej Prokof′ev, autore di una fiaba musicale, Pierino e il lupo, in cui tutti i personaggi sono associati a strumenti musicali.
Nella fiaba di Prokof′ev il protagonista è Pierino, dipinto come un ragazzino allegro e coraggioso. Pierino viene rappresentato da violini, viole e violoncelli. Anche in orchestra questi strumenti, che insieme ai contrabbassi costituiscono la famiglia degli archi, sono protagonisti: a essi solitamente sono affidati le melodie e i temi più significativi di un brano sinfonico.
Pierino gioca nel bosco con i suoi amici: un uccellino, un'anatra e un gatto. L'uccellino ha la voce di un flauto traverso. Questo strumento, della famiglia dei fiati, ha un timbro leggero e limpido ed emette note agili e svolazzanti che ricordano proprio le movenze di un uccellino. L'anatra, un po' goffa e impacciata, è resa dall'oboe, uno strumento dal timbro nasale e petulante, che raffigura in modo incredibilmente realistico la dondolante andatura del pennuto. Ma niente scherzi! All'interno dell'orchestra sinfonica l'oboe è fondamentale: è lo strumento che 'dà il la', cioè accorda tutti gli altri strumenti, riesce a creare atmosfere serene, oppure melanconiche e tristi. I movimenti agili e guardinghi del gatto sono ben rappresentati da un altro fiato, il clarinetto, uno strumento fatto di legno d'ebano, di un bel nero lucido, che può cambiare timbro a seconda dell'altezza dei suoni che intona: squillante e luminoso per le note acute, intimo e sognante per quelle più gravi.
Arriva il nonno a richiamare bruscamente Pierino in casa, poiché teme che nel bosco ci sia un lupo. Per rappresentare il nonno Prokof′ev sceglie un fagotto, uno strumento che borbotta, molto adatto a sottolineare le situazioni buffe. Fa parte della famiglia dei legni ed è formato da una canna lunga circa due metri e mezzo ripiegata a gomito. Un suo stretto parente è il controfagotto, più grande e dal timbro più cavernoso.
Il lupo arriva davvero con la voce minacciosa di ben tre corni e, in men che non si dica, divora l'anatra. Il corno si chiama così perché una volta era ricavato da corna di animali. Fa parte della famiglia degli ottoni che comprende gli strumenti a fiato costruiti, appunto, in ottone. È formato da un lungo tubo di quattro metri avvolto su sé stesso e proprio la sua lunghezza gli conferisce il timbro pieno, possente e regale di un vecchio lupo. Fanno parte della famiglia degli ottoni anche la tromba, dal timbro chiaro e squillante, e il trombone, dal suono potente e solenne. Con l'aiuto degli amici, Pierino riesce a catturare e legare il lupo, che consegna ai cacciatori perché lo portino allo zoo. Prokof′ev utilizza i timpani, grandi tamburi percossi da pesanti mazze, per riprodurre gli spari. I timpani fanno parte della numerosa famiglia delle percussioni: strofinate, sbattute o pizzicate, creano effetti sonori sorprendenti e hanno soprattutto il compito di sottolineare il ritmo di una composizione musicale.
Cantate e sinfonie, sonate e concerti, preludi e fughe: dal 18° secolo a oggi una produzione immensa, opera di grandi e grandissimi musicisti: Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Chopin, Stravinskij, Debussy sono le principali figure che hanno dominato tre secoli di musica.
Il tedesco Johann Sebastian Bach, prima che compositore, fu un grande organista e soprattutto come tale fu apprezzato nel corso della sua vita. Fu anche un bravissimo insegnante: Il clavicembalo ben temperato, nato come libro di esercizi per gli studenti, è ancora oggi eseguito e ascoltato per la sua straordinaria bellezza. Gran parte della sua immensa produzione musicale è ispirata da un profondo sentimento religioso: le Passioni, le duecento e più Cantate o il Magnificat furono composti come omaggio a Dio. Nelle sue celebri fughe vari temi musicali si intrecciano tra loro in complesse costruzioni sonore. Bach, con 'geometrica' precisione, innalza monumenti sonori simili alle poderose cattedrali gotiche. Con abilità e maestria incastra e modifica temi fino al possente accordo finale.
La sinfonia, composizione strumentale di solito suddivisa in quattro parti, è una forma musicale che permette all'orchestra di mettere in luce le migliori qualità delle diverse famiglie di strumenti. È soprattutto la musica tedesca del 18° e 19° secolo a produrre i grandi capolavori in questo campo. Cento e più sinfonie, brevi e leggere, compose Franz Joseph Haydn. Tra le cinquanta sinfonie di Mozart, il grande musicista austriaco, molte sono serene, piene di gioia e leggerezza; qualche altra è percorsa qua e là da inquietudini, turbamenti e malinconie. Nelle sue nove sinfonie Beethoven racchiuse l'universo intero: una visione della vita eroica e combattiva, l'ideale della libertà, l'amore per la natura e l'esaltazione della dignità dell'uomo. Ogni sinfonia è un mondo a sé: dal lamento eroico della Terza sinfonia, dalla rappresentazione della lotta contro il destino della Quinta sinfonia, alla dolcezza agreste della Sesta sinfonia, alla gioia che invita alla danza della Settima sinfonia, per concludersi con l'appassionato appello alla fratellanza universale della Nona sinfonia.
Igor′ Stravinskij è uno dei grandi protagonisti della musica moderna. Nel 1913 andò in scena il balletto La sagra della primavera: la rivoluzione era iniziata. In questa composizione Stravinskij ottiene dall'orchestra una musica selvaggia, come uno scoppio di forze primitive che sottolinea il rito crudele e barbaro narrato nel balletto: il sacrificio di una giovane fanciulla per propiziare l'arrivo della primavera. Ritmo, armonia e melodia, rimasti pressoché invariati per più di cinquecento anni, cambiano di colpo. In particolare il ritmo, vero protagonista del balletto, con la sua irruenza travolgente simboleggia l'arrivo improvviso della primavera dopo il terribile gelo dell'inverno russo. Al ritmo che lascia senza fiato si unisce la 'violenza' sonora di un'orchestra gigantesca, in cui tutti gli strumenti sono usati come fossero percussioni.
Nei primi anni del 18° secolo, mentre a Cremona la famiglia Stradivari costruiva i migliori violini del mondo, a Firenze Bartolomeo Cristofori inventò il pianoforte, strumento capace di riassumere i suoni di un'intera orchestra, da quelli gravi e cupi di un fagotto a quelli pungenti di un ottavino.
Fryderyk Chopin fu il compositore che, più d'ogni altro, seppe cogliere le potenzialità del pianoforte: nei Notturni lo fa cantare, nelle Polacche lo infiamma di passione e negli Studi trasforma esercizi meccanici in bellissime immagini sonore. Mozart fece del pianoforte uno strumento capace di morbide e allegre melodie; Beethoven lo trattò come una miniera di suoni da scoprire e combinare insieme. Debussy lo usò per creare brani dai 'colori' musicali molto sfumati, mentre Stravinskij ne rivoluzionò l'uso trattandolo come uno strumento a percussione.
Da soli o insieme a pochi compagni, in occasione di concerti pubblici o più semplicemente tra amici, il piacere di fare musica ha molte facce ma è sempre esaltante. In ogni genere musicale, in ogni epoca, a ogni latitudine, l'esecuzione solistica o in piccoli gruppi rinnova la magia della musica.
Il sogno di ogni studente di conservatorio è quello di diventare un concertista, magari un virtuoso del proprio strumento: un violinista che gira il mondo con il suo prezioso Stradivari, come Uto Ughi, o un pianista che affascina la platea con lo splendido suono di uno Steinway a coda, come Maurizio Pollini. Quante pagine immortali sono state scritte per violino o pianoforte, gli strumenti più usati per le esibizioni solistiche! Dalle Partite per violino solo di Bach ai Capricci di Paganini, dalle Sonate di Beethoven agli Intermezzi di Johannes Brahms.
Intorno alla metà del 18° secolo le classi medie d'Europa cominciavano ad appassionarsi alla musica quanto i principi, che avevano al loro servizio interi gruppi orchestrali e operistici. Dame e gentiluomini prendevano lezione da musicisti di valore, cantavano e suonavano uno strumento con abilità quasi pari a quella dei professionisti. Molti si divertivano a suonare, per un ristretto pubblico di appassionati, brani scritti per loro dai maggiori compositori dell'epoca. Così è nata la musica da camera (nome derivato dal fatto che, all'origine, era eseguita nelle sale delle corti), che comprendeva generi diversi. Una delle formazioni strumentali più diffuse è il quartetto d'archi: i quattro strumenti, due violini, una viola e un violoncello, suonano brani complessi i cui temi musicali si intrecciano e vengono 'cantati' ora dall'uno ora dall'altro strumento. Gli stessi compositori si sono dedicati alla musica da camera anche per il piacere di fare musica insieme a un piccolo gruppo di amici. Haydn e Mozart composero vere e proprie conversazioni musicali in cui gli strumenti dialogano fra loro.
Il jazz è la musica degli Afroamericani: nacque, infatti, negli Stati Uniti dalla fusione dei canti degli schiavi con i canti popolari portati nel nuovo mondo dai colonizzatori europei. Vi si ritrovano il malinconico blues, nato dai canti di lavoro degli schiavi e dagli spiritual, i loro canti religiosi, e il ragtime, o musica 'a pezzi', cioè sincopata; in esso si mescolano strumenti diversi, europei e africani, classici ed elettrici.
Una jazz-band si riconosce subito per il tipico 'ondeggiamento' del ritmo, lo swing, per il timbro di voci e strumenti e per l'improvvisazione. Questa può essere collettiva o individuale: a turno la tromba, il sax o il contrabbasso si esibiscono in emozionanti assolo. L'improvvisazione nella musica jazz ha un significato antico: è nata dal bisogno degli schiavi di immettere nella musica dei bianchi, che era loro estranea, significati propri della comunità nera. I musicisti jazz costruiscono un mondo sonoro diverso da quello classico: invece delle note 'giuste' cercano suoni inusuali, deformati, suonando con molta libertà.
In origine le orchestre jazz si esibivano su autocarri, in giro per New Orleans, per cui non era previsto il pianoforte, strumento che si aggiunse solo in seguito. I 're della cornetta' si sfidavano per le strade con il loro strumento, con la tromba o con il sax. Celebri sono rimasti la tromba di Louis Armstrong e di Miles Davis e il sax di John Coltrane.
Nel canto jazz c'è poi un modo di usare la voce come un vero e proprio strumento, per emettere rapidamente sillabe prive di significato, usate solo per il loro suono: è lo scat, un gioco vocale tanto spericolato quanto coinvolgente. Vi eccelsero Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, grandi voci del jazz, insieme alla straordinaria Billie Holiday, da tutti chiamata 'la signora del jazz'.
Allegra, malinconica, ironica, polemica, colta o popolare: la canzone con le sue mille sfumature accompagna ogni momento della vita. A volte è banale e sciocca, ma non di rado è costruita su bellissime melodie e provoca grandi emozioni.
Nei paesi di lingua tedesca, da Mozart in poi, si diffuse un genere di canzone colta, il Lied, un canto intonato su versi di famosi poeti.
Nel 19° secolo, in piena età romantica, Franz Schubert compose più di seicento Lieder: la voce, accompagnata dal pianoforte, esprime i sentimenti con spontanea immediatezza. In Viaggio d'inverno, per esempio, Schubert racconta in 24 Lieder la fuga dalla società di un viandante, che si sente condannato all'infelicità e vaga nel gelo invernale che copre tutto. Altri compositori, come Robert Schumann e, nel 20° secolo, Gustav Mahler e Richard Strauss, hanno proseguito la tradizione del Lied romantico.
In Italia il predominio dell'opera limitò la canzone al più semplice genere della 'romanza da salotto', una canzone melodiosa e sentimentale che le signorine di buona famiglia cantavano accompagnandosi al pianoforte. Alcune di queste romanze, come quelle dolci e malinconiche di Vincenzo Bellini, sono ancora oggi eseguite nei concerti da camera.
La canzone storica napoletana ha diffuso in tutto il mondo un'immagine di Napoli e dell'Italia colorata di sole, mare, mandolini e tamburelli. Fra i brani più conosciuti nel mondo c'è Funiculì Funiculà, una canzone, nata alla fine del 19° secolo, dalla musica scoppiettante. E poi 'O sole mio, Torna a Surriento e tanti altri. Un grande poeta, Salvatore Di Giacomo, che ben conosceva le passioni e le speranze del popolo napoletano, scrisse le parole di splendide e commoventi canzoni. In questo autore la parola stessa è già musica. È il dialetto, in cui le canzoni napoletane sono composte, a dare loro un sapore di sincerità profonda, sia si parli di sentimenti sia si tratteggi una situazione comica con malizia e ironia.
Il rock and roll nacque negli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, quando videro la luce innovazioni tecniche importanti, come le prime chitarre elettriche, i primi juke-box, i dischi a 45 giri, gli impianti di amplificazione che intensificavano il suono. Fu Elvis Presley, con la sua chitarra e la sua voce ora singhiozzante ora struggente, a diffondere tra i ragazzi bianchi la musica degli Afroamericani e a creare un entusiasmo travolgente per i nuovi ritmi. Dall'America il rock, come un'ondata, invase tutto il mondo, conquistando diverse generazioni di giovani.
Il movimento musicale beat, nato in Inghilterra negli anni Sessanta, prende le mosse dall'ambiente della beat generation, cioè quella generazione di giovani ribelli e anticonformisti che popolava Londra e gli Stati Uniti di quegli anni. Ben lo rappresentano i Beatles e i Rolling Stones: i primi, con le loro canzoni dalla vena schiettamente melodica, diedero voce ai sogni delle giovani generazioni. I Rolling Stones portarono nella musica una maggiore carica ritmica e un più duro spirito di ribellione.
Joan Baez e Bob Dylan esprimono invece i valori del movimento pacifista americano. Con chitarra a tracolla e armonica a bocca, hanno cantato la protesta contro i 'signori della guerra', il razzismo e le ingiustizie.
In Italia, dal 1951, 'ugole d'oro', 'regine' e 'reucci' della canzone vengono incoronati al Festival di Sanremo, che segna il trionfo delle facili melodie e delle rime cuore-amore. La rottura rispetto a queste banali musiche melodiche avviene nel 1958 con la canzone di Domenico Modugno Nel blu dipinto di blu, un sogno surreale che fa il giro del mondo. Il rock nostrano nasce con Il tuo bacio è come un rock di Adriano Celentano, il primo di una schiera di urlatori.
Una chitarra o un pianoforte e una voce anche un po' roca bastano, invece, ai cantautori: Gino Paoli, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Paolo Conte, Francesco Guccini, Fabrizio De André raccontano sentimenti veri, cose normali della vita di tutti, sogni, delusioni e aspirazioni dei giovani.
Da quando, nel 1927, apparve il primo film sonoro, i rapporti tra musica e cinema si sono fatti sempre più stretti. Dal cinema alla televisione fino al web, ogni canale di comunicazione ci presenta immagini associate alla musica.
Le immagini di un film mostrano un uomo che cammina lungo una strada solitaria. Ai suoi passi si associano suoni agitati e stridenti di violini: lo spettatore non presagisce niente di buono. Se, però, le stesse immagini sono accompagnate da una melodia calda e avvolgente, affidata ai violoncelli, si immagina un felice incontro tra due innamorati. È questa la potenza e la funzione della musica: rendere più completa la percezione di quanto si sta vedendo, anticipare quello che non è ancora avvenuto, favorire la memoria e la concentrazione.
Anche ai tempi del cinema muto la musica risuonava nelle sale di proiezione: un pianista, un organista o addirittura un'intera orchestra commentavano l'andamento delle vicende con sottofondi musicali ritenuti appropriati. Salvo rari casi, si trattava di musica piuttosto generica e ripetitiva, variabile in base all'estro e alla capacità dei musicisti incaricati di suonarla.
Con l'avvento del cinema sonoro, la musica entra a far parte della colonna sonora del film, insieme ai dialoghi e a suoni o rumori. Da quel momento, ogni film ha la sua musica, quella che il regista sceglie con cura, collaborando con un musicista esperto in questo genere di composizioni o attingendo allo sterminato repertorio di musiche già esistenti.
Nella colonna sonora di un film sono spesso presenti musiche tra loro diversissime: romanze d'opera, canzoni sentimentali, spezzoni di sinfonie o concerti, brani di jazz o musiche da ballo. Per esempio, in 2001: Odissea nello spazio, il regista americano Stanley Kubrick fa volteggiare una stazione spaziale al ritmo di un fantastico giro di valzer. Un accostamento insolito, azzardato, ironico tra una musica scritta più di cent'anni prima per l'elegante aristocrazia viennese e la fantascientifica avventura spaziale vissuta da un gruppo di astronauti.
Lungo tutta la sua storia, il cinema ha parlato di musica numerose volte in molti modi diversi: attraverso film tratti da opere liriche e da musical, per esempio. All'opera Il flauto magico di Mozart si sono dedicati, in forma diversissima, il regista svedese Ingmar Bergman e l'italiano Emanuele Luzzati, che ne ha ricavato una coloratissima versione a cartoni animati.
Non si contano poi i film che, con accenti più o meno veritieri, raccontano la vita dei grandi musicisti e fanno ascoltare la loro musica. Un esempio tra i tanti è Amadeus (Mozart, naturalmente...), del regista americano Milos Forman, basato sull'opera e sulla personalità del geniale compositore austriaco.
Alcuni film, infine, sono fatti con l'intento di far conoscere musiche importanti proprio ai bambini. Ci ha pensato per primo Walt Disney. Egli ha creato un capolavoro dell'animazione, Fantasia, che ha reso indimenticabile la musica di Paul Dukas, al suono della quale l'apprendista stregone Topolino compie i suoi disastri, la saltellante Danza delle ore di Amilcare Ponchielli, interpretata da un gruppetto di ippopotami in tutù rosa confetto, la Sesta sinfonia di Beethoven, che con le sue note avvolge il temporale scatenato da Giove su una placida campagna popolata da ninfe, fauni e centauri.
La video music è la più concisa e rapida forma di comunicazione audiovisiva. Nata dal videoclip come spot pubblicitario di una canzone, ha a poco a poco acquistato un linguaggio autonomo. Molti cantanti pop, rock, rap si affidano a una nuova categoria di artisti dell'immagine in movimento per promuovere le loro canzoni. Diversi canali televisivi danno vita a una programmazione quasi ininterrotta di questi video musicali.
La moderna tecnologia ha modificato sia la produzione sia l'ascolto della musica. Se prima bisognava spostarsi anche di molto per andare a sentire un concerto, oggi ore e ore di musica possono stare letteralmente in tasca in apparecchiature piccole come un pacchetto di chewing-gum.
Gli artisti sono sempre stati pronti ad anticipare i mutamenti della società; oggi è difficile per l'ascoltatore seguire tutte le novità musicali che si succedono anno dopo anno con grande rapidità. Dalla fine del 19° secolo i musicisti hanno ricercato nuove fonti e nuovi tipi di suoni; per esempio, hanno cominciato a dare spazio al rumore: quello delle percussioni o di marchingegni quali la macchina del vento o le sirene delle navi. Oppure hanno dato valore addirittura all'assenza del suono, cioè al silenzio, come nel caso di John Cage, musicista statunitense che nel 1952 ha composto un brano provocatorio intitolato 4′33″ nel quale il protagonista è, per la prima volta, il silenzio... per quattro minuti e trentatré secondi!
Oggi complicate apparecchiature offrono al compositore una serie tale di possibilità e stimoli per giocare con i suoni, che Mozart, Schubert o Verdi nemmeno immaginavano.
Circa quarant'anni fa venne costruito il primo sintetizzatore, uno strumento musicale elettronico che può produrre musica attraverso circuiti elettronici, molto usato da quasi tutti i gruppi musicali rock e pop. Il campionatore, di più recente invenzione, permette di aggiungere o togliere strumenti, di imitare, di volta in volta, un intero coro, la voce gentile dell'arpa o il rullio dei tamburi, riuscendo in certi casi a stravolgere la materia sonora di un brano musicale.
L'uso di sintetizzatori e campionatori caratterizza quella forma particolare di espressione musicale rappresentata dalla musica elettronica.
Alcuni compositori hanno sperimentato nella loro produzione la musica elettronica. Uno dei primi e più famosi è il tedesco Karlheinz Stockhausen. Nel 1960 completò un brano intitolato Contatti che, già nel titolo, rivela un legame con i circuiti elettrici: pianoforte e percussioni si fondono con i suoni registrati su un nastro magnetico in contatti a volte gentili, più spesso aspri e spigolosi.
In tempi più recenti il compositore Brian Eno ha manipolato i suoni in modi diversi: ha creato la cosiddetta ambient music, che utilizza anche rumori e fruscii prodotti in determinati ambienti. Eno ha ideato istallazioni sonore con tastiere e sintetizzatori, inventando ritmi che andavano dagli echi d'Oriente, alle suggestioni tribali, alla techno music.
È passato meno di un secolo da quando, con ingombranti e rumorosi fonografi a tromba, si è ottenuto il 'miracolo' di riprodurre in casa propria un'esecuzione musicale. Sembrava una grande conquista. Venne poi il grammofono su cui giravano i fragilissimi dischi a 78 giri, i quali potevano contenere pochi minuti di musica, soppiantati poi dal microsolco dei dischi a 33 e a 45 giri. Negli anni Ottanta del secolo scorso c'è stata la cosiddetta rivoluzione del digitale, un nuovo modo di registrare la musica basato sulla trasformazione del segnale sonoro nel codice binario tipico del linguaggio del computer. Sono così comparsi piccoli dischi compatti, i CD, capaci di contenere più di un'ora di musica registrata con una qualità sorprendente. Oggi il suono non ha più bisogno di un supporto fisico come il disco, il nastro o il CD: il digitale permette di produrre file musicali che viaggiano in Internet.
L'invenzione dei formati di file musicali compressi ha permesso una circolazione intensa e rapidissima della musica attraverso Internet, rivoluzionando il mercato discografico. Chiunque, oggi, può registrare la propria musica e diffonderla in tutto il mondo gratuitamente tramite la rete. È probabile che in futuro anche le grandi case discografiche distribuiranno la musica tramite i loro siti fornendo al cliente un file musicale e non più un CD.
"Oh, principe! / Accetta da me questo dono / te lo manda la nostra sovrana / Il flauto magico ti proteggerà ti sosterrà nelle maggiori sventure… Con questo puoi ritenerti onnipotente / puoi mutare le passioni umane / il triste diventerà lieto / l'amore conquisterà lo scapolo".
Ne Il flauto magico di Mozart le damigelle della Regina della Notte cantano questi versi consegnando al principe Tamino un flauto d'oro. Così armato, non di spada ma di musica, il bel giovane parte alla ricerca della principessa Pamina. Lo strumento possiede davvero grandi poteri magici e Tamino se ne accorge presto. Le dolci melodie del flauto incantano perfino gli animali del bosco, aprono varchi inaspettati che permettono al principe di attraversare fiamme o valicare ponti invisibili che scavalcano gigantesche cascate.
Chi accompagna il principe nell'avventura è Papageno, un buffo personaggio ricoperto di piume che se ne va in giro ad acchiappare uccelli per conto della Regina della Notte. Come ogni uccellatore, sa come attirare a sé le prede per farle prigioniere. Il suo strumento di caccia è un semplice flauto, non d'oro ma di canna, uno strumento che ammalia con il suo suono. Di questi musicisti incantatori, ce ne sono ancora in giro per il mondo e ognuno di loro ha sviluppato una particolare abilità. Il migliore di tutti è senz'altro il pifferaio di Hamelin. La storia ha inizio nell'anno in cui quella città è in preda a un flagello: a memoria d'uomo, non si è mai vista una simile invasione di topi. I roditori sono ovunque. Mordono i bambini, spaventano le donne, divorano le provviste per l'inverno. Uccidono perfino i gatti.
Insomma, una vera catastrofe! Ma ecco che un giorno capita in città un pifferaio. A prima vista sembra solo un viandante. Alto di statura, magro, gli occhi azzurri e penetranti e i capelli sciolti sulle spalle. Non porta né bagagli né cavallo. Con sé ha solo un lungo mantello, metà giallo e metà rosso, che lo ripara dal freddo, e un flauto con cui si guadagna da vivere. "Datemi tre sacchi di monete d'oro e prometto di liberarvi dai topi questa notte stessa", afferma sicuro appena ha saputo del problema. Esasperati per la situazione, gli abitanti accettano la proposta senza porre troppe domande. Si vede che non hanno mai sentito parlare del potere di certi flauti. Comunque, giunta la sera, il pifferaio comincia a suonare il flauto per le vie della città.
La musica si propaga leggera nell'aria e penetra lieve in ogni luogo, fino a giungere alle orecchie dei topi che escono a migliaia da case e sotterranei. Come ipnotizzati dalla dolce melodia, i roditori seguono in corteo il suonatore fino al burrone sul fiume e lì annegano uno a uno. Che gran sollievo per tutti! Ma una volta risolto il problema, gli abitanti rifiutano di pagare la somma pattuita. Così il pifferaio decide di vendicarsi del torto subito. Questa volta gli bastano solo tre note per incantare, non i topi ma i bambini della città. Ammaliati dal suono del flauto, i piccoli escono dai loro letti caldi, scendono le scale, raggiungono la strada e seguono fiduciosi il musicista che li conduce verso la grande montagna dove spariranno per sempre.
Perché la musica incanti bisogna avere prima di tutto buone orecchie, oltre che pulite, cosa che mancava al famoso re Mida. Durante una gara musicale tra divinità, il monarca contesta Apollo, il vincitore, preferendo alla sua esecuzione quella del flauto di Pan. Impossibile far capire ad Apollo che in fatto di musica tutti i gusti sono gusti! Apollo non sente ragioni e immediatamente si vendica dell'offesa ricevuta. Le orecchie del re pasticcione cominciano ad allungarsi e a riempirsi di peli duri e neri, come quelle di un asino. Per non essere deriso, Mida è costretto a nascondere quella vergogna sotto un lungo cappello a punta. Solo il servo-barbiere è a conoscenza della trasformazione.
L'uomo è fidato e il re può dormire sonni tranquilli. Certamente è la paura di essere punito che frena la sua voglia di svelare il segreto. Ma il barbiere sente che non resisterà ancora per molto. Così, prima che sia troppo tardi, il poveretto scava una buca nel terreno e vi sussurra dentro quello che sa sulle orecchie del padrone. Poi richiude il tutto con cura e torna contento di aver confidato il segreto alla silenziosa terra. Dopo qualche tempo, in quello stesso prato cominciano a spuntare alcuni germogli di canne che presto diventano alti e flessibili fino a formare un boschetto. Da allora, quando il vento muove i giunchi, quelle semplici canne si trasformano in flauti che mormorano:
"Re Mida ha le orecchie d'asino ... Re Mida ha le orecchie d'asino".
Se capiti nelle vicinanze di un boschetto di canne, prova ad ascoltare il rumore del vento tra i rami. Potresti trovare un giunco che vuole raccontare una storia. Succede così a un pastorello malese che un giorno è attirato dal canto proveniente da un folto gruppo di canne. In quel luogo, anni prima era stato ucciso un giovane principe dal fratello invidioso.
"Per favore fammi diventare un flauto e portami con te così che tutti possano ascoltare la mia storia", sussurra una voce triste e dolce insieme. Veloce, il ragazzo taglia la canna, la porta alla bocca e ascolta rapito la dolorosa storia del principe. L'eco del flauto parlante presto fa il giro di paesi e città e tutti accorrono a sentirlo. Perfino il re udendolo si commuove, riconoscendo la voce del figlio perduto.
Se non siamo così fortunati da trovare un giunco parlante, abbiamo sempre la possibilità di costruirci lo strumento da soli.
"Così chiedo a Eric il Rosso: "Come si fa un flauto?". Accenna con la testa a un angolo del Giardino Vecchio. "Vedi laggiù?". Indica una macchia di bambù stretti insieme come piumini per spolverare, sbrindellati e litigiosi. "Perfetti per i flauti", dice. Sorride, solleva il flauto e la musica si spande e s'innalza intorno a me".
Paul non se lo fa ripetere due volte. Scende nel canneto, taglia un bambù e corre nella baracca degli attrezzi per praticare i fori nei punti segnati sul pezzo di canna da Eric il Rosso. Già, Eric ... Se il padre di Paul sapesse che ha chiesto qualcosa a uno dei tanti sconosciuti che si aggirano per l'Australia, affamati e senza lavoro, non gliela farebbe passare liscia.
Paul è cresciuto con la musica nelle orecchie: il fischio trillante del padre e il mormorio del pianoforte di sua madre. Poi, con la povertà, anche la loro casa si è fatta triste e silenziosa. Ma il ragazzo ha la musica nel sangue. Non può fare a meno d'immaginarla. Lo fa quando munge la mucca, quando taglia a legna e perfino quando è a scuola. Ma ora, grazie a Eric, si costruirà un flauto.
"Lo libero dalla morsa, soffio via la polvere, lo accosto alle labbra. L'angolazione deve essere sbagliata: non ottengo che una folata d'aria stridula... Piazzo le dita sui fori e soffio ancora, sollevando e abbassando un dito alla volta. Le note emergono come un canto di rauchi uccelli lontani, ma la musica c'è, se ho la pazienza di cercarla".
Il flauto è uno strumento semplice, che può essere suonato a orecchio. Con le poche indicazioni di Eric, il pifferaio vagabondo, Paul impara a posizionare le dita e a cercare le prime note. Non si arrende davanti alle iniziali difficoltà. E l'incantesimo che tocca in sorte ai veri musicisti ha luogo ancora una volta: lentamente lo strumento gli riempie la testa e il cuore e il ragazzo diventa tutt'uno con il suo flauto.
Come Paul, anche Mila ama la musica. Mila è una bambina speciale, una bambina-delfino. Non ha né coda né pinne ma è stata allevata da un branco di delfini, perciò non si sente del tutto umana. Crede ancora di essere un pesce, sente e si comporta come loro. Da quando è stata ritrovata su una spiaggia della Florida, vive rinchiusa in un centro dove un gruppo di ricercatori la sta studiando come fosse un animale da circo.
È la dottoressa Beck che un giorno porta a Mila un flauto. Ha scoperto che alla bambina-delfino piace sentire la musica degli uomini. Il mare dove la piccola ha passato lunghi anni era pieno di cose da sentire e laggiù la bambina ha imparato a usare il senso dell'udito per sopravvivere. Ma è difficile per Mila spiegare cosa prova quando sente la musica. È come se qualcosa la toccasse dentro, qualcosa di potente che dice "di più delle note, di più dei suoni. La musica non si sente solo con le orecchie".
La musica le ricorda la vita tra i suoi amici delfini. Così, quando Mila vede il flauto, si entusiasma subito: è bello, liscio come l'interno di una conchiglia. Vedendo la sua gioia, la dottoressa la incoraggia e insiste perché impari a usarlo.
Con il flauto la bambina-delfino si diverte, apprende in fretta il linguaggio della musica. Nelle sue mani lo strumento diventa magico. Le note cominciano a formare una nuova melodia. È una musica strana, che ha il sapore della nostalgia. Dentro ha il rumore delle onde che s'infrangono, dei pesci che scivolano leggeri nell'acqua. Ha il colore dei delfini che saltano e si tuffano tra le onde. Ha il sapore del richiamo di una balena che cerca il suo compagno. Questa musica non assomiglia né alla musica di Mozart né a quella che suonano alla radio. Ma è la sua canzone, la canzone di Mila, la bambina-delfino. E quando suona quella musica la piccola sente che tutti gli altri umani provano qualcosa nei loro cuori. (Maria Cristina Paterlini)
Robert Browing, Il pifferaio magico, in Giuliana Pandolfi (a c. di), Dentro le fiabe, Nicola Milano, Frignano1978
Cristina Del Mare, Il flauto parlante, in Fiabe e leggende della Malesia, Arcana, Milano 1993
Garry Disher, Il flauto di bambù, Mondadori, Milano 1998 [Ill.]
Jacob e Wilhelm Grimm, Il pifferaio di Hamelin, Franco Panini Editore, Modena 1994 [Ill.]
Karen Hesse, La musica dei delfini, Fabbri, Milano 2002 [Ill.]
Viviane Lamarque, Maria Battaglia, Il flauto magico: dall'opera di Wolfgang Amadeus Mozart, Fabbri, Milano 2001 [Ill.]
Neil Philip, Le orecchie di Re Mida, in Il libro illustrato dei miti di tutto il mondo, Fabbri, Milano 1996 [Ill.]
Roberto Piumini, Le mille e una note, Bompiani, Milano 1999 [Ill.]
Emanuel Schikaneder, Il flauto magico, in Marco Beghelli (a c. di), Tutti i libretti di Mozart, Garzanti, Milano1999