La sentenza è il provvedimento con cui si conclude il processo amministrativo o una sua parte; infatti, l’art. 33, comma 1, lett. a) del codice del processo amministrativo (c.p.a.) prevede che il giudice adotti una sentenza quando definisce, in tutto o in parte, il giudizio.
La sentenza del giudice amministrativo è adottata in camera di consiglio, con deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del collegio, dopo che si sia conclusa la fase istruttoria e che sia terminata la discussione; la decisione, immodificabile dopo la sua sottoscrizione, viene pubblicata tramite il deposito nella segreteria del tribunale e, infine, comunicata alle parti. L’art. 89 c.p.a. stabilisce che, una volta assunta la decisione in camera di consiglio, la sentenza è redatta dall’estensore entro il termine di quarantacinque giorni. A differenza della sentenza del giudice civile (v. Sentenza. Diritto processuale civile), che vincola soltanto le parti del processo, essa fornisce alle autorità pubbliche anche la regola astratta alla quale conformare il proprio comportamento in vista del perseguimento di un interesse pubblico.
L’art. 88 c.p.a. ne prevede gli elementi essenziali: l’indicazione delle parti e dei loro avvocati; il tenore delle domande; l’esposizione succinta dei motivi di fatto e di diritto; il dispositivo; l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa; l’indicazione del giorno, del mese, anno, e luogo in cui la decisione è pronunciata; la sottoscrizione dei consiglieri che hanno pronunciato la decisione, con l’indicazione dell’estensore e la firma del segretario.
Si distinguono le sentenze non definitive da quelle definitive.
Fra le prime, che non definiscono il giudizio, devono essere annoverate anche le sentenze interlocutorie, che dispongono sull’andamento del processo (a fini istruttori o ordinando l’integrazione del contraddittorio).
Le sentenze definitive, invece, possono essere di rito o di merito. Il giudice pronuncia una sentenza di rito nei casi in cui vi siano degli ostacoli a giungere a una soluzione sul merito della controversia, ad esempio quando il ricorso sia: irricevibile (per es. perché presentato tardivamente); inammissibile (per es. per violazione delle regole sul contraddittorio); improcedibile (per es. per il cessare della materia del contendere o sopravvenuta carenza dell’interesse a proseguire). La sentenza di merito, invece, è l’atto conclusivo del processo con il quale il giudice si pronuncia sulla fondatezza o meno della domanda del ricorso, risolvendo la controversia di diritto sostanziale, attraverso una pronuncia di accoglimento o di rigetto.
La sentenza può essere di accertamento, quando pone fine a uno stato di incertezza intorno a una determinata situazione giuridica, e di condanna, quando impone all’amministrazione di tenere un dato comportamento o di corrispondere una somma di denaro alla parte lesa.
Attualmente, la disciplina del contenuto delle sentenze di merito è contenuta nell’art. 34 del c.p.a. Mediante tale provvedimento, il giudice può: a) annullare il provvedimento impugnato; b) ordinare all’amministrazione rimasta inerte di provvedere entro un termine; c) condannare l’amministrazione al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica dedotta in giudizio e disporre misure di risarcimento in forma specifica; d) esclusivamente bei casi di giurisdizione di merito, può adottare un nuovo atto, ovvero modificare quello impugnato.
In ossequio al principio della separazione dei poteri, il secondo comma della disposizione dispone che, in nessun caso, il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.
Degna di nota è anche la previsione di cui al terzo comma dell’art. 34 c.p.a. ove si stabilisce che, quando nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice può accertare l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.
In seguito alla riforma del processo amministrativo è stata introdotta la decisione in forma ‘semplificata’, oggi disciplinata dall’art. 74 del codice del processo. Tale disposizione, ispirata all’obiettivo di velocizzare la definizione dei processi la cui soluzione appaia evidente fin dai primi momenti, prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice emette una decisione in forma semplificata. L’elemento costitutivo di tali sentenze, che devono comunque rispettare il principio del contraddittorio, è la motivazione succinta che può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente giurisprudenziale conforme. Esse sono assoggettate alle normali forme d’impugnazione previste per le sentenze.
Sentenza. Diritto processuale civile