D. di un’acqua Concentrazione di sali di calcio e di magnesio presenti in un’acqua (non si ha invece d. quando l’a. contiene anche in grande quantità altri sali, quali quelli di sodio ecc.). In particolare, d. temporanea, quella dovuta ai sali che con il riscaldamento dell’acqua all’ebollizione si decompongono in sali o altri composti insolubili (come succede, per es., per il bicarbonato di calcio Ca(HCO3)2⇄CaCO3+H2O+CO2); d. permanente, quella dovuta a quei sali che non si eliminano con l’ebollizione (solfati, cloruri ecc.). L’insieme delle due d., permanente e temporanea, costituisce la d. totale.
Il grado di d. di un’acqua è la massa, in grammi, di sali di calcio e di magnesio presenti in 100 litri d’acqua. Il modo attualmente più utilizzato per esprimere la d. è in mg/l di CaCO3 (che è equivalente alle parti per milione) o in millimol/l. La d. di un’acqua si determina o con il metodo di Boutron-Boudet o per via complessonometrica (➔ idrotimetria). È alla d. che si attribuisce la proprietà di un’acqua di formare incrostazioni, di impedire al sapone di lavare e fare schiuma, di impedire ai legumi di ‘cuocersi’ completamente ecc., per cui in molte industrie si è costretti a eliminare la d. (trattamento di dolcificazione o di addolcimento); si usano per ciò vari metodi (alla calce e soda, al fosfato trisodico, alle zeoliti, per ebollizione ecc.).
In mineralogia, la d. riguarda la resistenza all’incisione o alla scalfittura superficiale; una classificazione empirica e grossolana fu proposta da A.G. Werner distinguendo i corpi in teneri se si lasciano rigare dall’unghia, semiduri se si lasciano rigare da una punta d’acciaio, e duri tutti gli altri. Successivamente F. Mohs propose la seguente scala di d., tuttora in uso: 1, talco; 2, gesso; 3, calcite; 4, fluorite; 5, apatite; 6, ortose; 7, quarzo; 8, topazio; 9, corindone; 10, diamante. Una sostanza si dice che ha d., per es., 3,5 se scalfisce la calcite ed è scalfita dalla fluorite ecc. Va però rilevato che la differenza di d. tra una sostanza della scala e la successiva non è costante: per es. è piccola la differenza fra la d. della calcite e quella della fluorite, mentre la d. del diamante è circa 150 volte quella del corindone. Nei minerali la d. dipende dalla composizione chimica, dalla struttura del reticolo cristallino e dai tipi di legami che in esso sono presenti.
Per d. di un materiale si intende la sua resistenza alla penetrazione di altri corpi con i quali esso sia a contatto, cioè la sua attitudine a resistere alle deformazioni locali superficiali per pressione. La d. alla penetrazione si misura premendo un penetratore di varia forma sulla superficie da provare e misurando poi l’area o la profondità dell’impronta; i durometri e i duroscopi sono gli apparecchi con cui si eseguono le prove.
Per la prova di d. Brinell si usa un penetratore sferico (fig. A) di diametro D, costituito di materiale molto duro (acciaio temprato), premuto da un carico P contro la superficie del materiale da saggiare, sulla quale lascia un’impronta a forma di calotta sferica di diametro d e profondità p. Il numero HB, che esprime la d. Brinell, è il rapporto tra il carico P (in N) che grava sul penetratore e l’area S (in mm2) della superficie dell’impronta. Esprimendo S in funzione del diametro d dell’impronta (misurato con adatti microscopi) si ha:
HB = 2∙0,102 P/[πD (D − √‾‾‾‾‾‾D2 −‾‾‾ d2)]
Per la prova di d. Vickers si usa un penetratore a forma di piramide quadrangolare regolare (fig. B), con angolo di 136° fra le facce opposte; l’area della superficie dell’impronta, in funzione della diagonale di base d (misurata con microscopi speciali) vale d2/1,8544 e quindi il numero che esprime la d. Vickers è HV = 189,14‧103P/d2, dove d è espresso in μm e il carico premente P viene scelto tra una serie di valori che vanno da 9,81 a 1471,5 N, per ognuno dei quali è stabilito un minimo spessore del materiale da saggiare, onde evitare deformazioni sulla faccia opposta del provino. Nella prova di d. Rockwell il numero che esprime la d. viene ricavato in funzione della profondità h dell’impronta lasciata dal penetratore usato (fig. C); la misura di h viene letta direttamente, con un minimetro collegato alla macchina di prova, in unità convenzionali, pari ciascuna a 0,002 mm. Possono essere usati due tipi diversi di penetratore: una sferetta di acciaio temprato oppure un cono circolare retto di diamante. Si applica dapprima un carico fisso di 98,1 N onde permettere un regolare assestamento sul materiale del penetratore (posizione a in fig. C); quindi si aumenta gradatamente il carico fino a raggiungere quello stabilito (882 N per penetratore a sfera, 1372 N per penetratore a cono); il carico viene fatto agire per un tempo compreso fra 3 e 6 secondi. La profondità h di penetrazione risulta dalla differenza fra le due letture fatte in corrispondenza dell’azione del carico totale e di quello iniziale di 98,1 N; la d. Rockwell vale HRB = 130 – h, nel caso del penetratore sferico (cosiddetta scala B, da ball), e HRC = 100 – h, nel caso del penetratore conico (scala C, da cone). Nella prova di d. Knoop, adottata, oltre che per metalli, per materiali fragili e duri come vetro ecc., viene usato un penetratore di diamante, a forma di piramide retta avente per base un rombo (fig. D); se P è il carico premente e l la lunghezza, letta al microscopio, della diagonale maggiore dell’impronta, la d. Knoop è data dalla relazione: HK = 145,05‧103P/l2, con P espresso in N e l in μm. Il carico P viene scelto in base al tipo di prova (microdurezza, d. superficiale ecc.). Per la gomma e materiali affini si esegue la prova di d. Shore, deformando la superficie con un apposito penetratore normalizzato e caricato opportunamente.
In marina, reazione violenta che le navi possono presentare alle azioni inclinanti: è conseguenza di determinate caratteristiche della carena (per es., larghezza eccessiva) e di determinate disposizioni di pesi (per es., baricentro troppo basso), che importano una altezza metacentrica troppo grande, con conseguente periodo di rollio troppo breve.