Organo a titolarità politica, chiamato a rispondere in Parlamento dell’andamento complessivo della propria organizzazione ministeriale e dei singoli atti che da essa promanano (art. 95, co. 2, Cost.). I ministri costituiscono una componente essenziale del governo, in quanto concorrono, insieme al presidente del Consiglio, a formarne l’organo di vertice, il Consiglio dei ministri (su tali profili v. Ministri. Diritto costituzionale). Una importante distinzione è quella tra ministro con portafoglio e ministro senza portafoglio: i primi sono a capo di un dicastero, e cioè di un apparato amministrativo gerarchicamente ordinato, corrispondente a un determinato settore della pubblica amministrazione, mentre i secondi, pur essendo parte del governo e del Consiglio dei ministri, esercitano soltanto le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio, o attribuite loro per legge.
I singoli ministri (e il presidente del Consiglio) sono coadiuvati dai sottosegretari, i quali sono nominati con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, di concerto con il ministro interessato e sentito il Consiglio dei ministri. Previsti per la prima volta nell’Italia crispina (l. n. 5195/1888; R.D. n. 5247/1888), i sottosegretari non fanno parte del Consiglio dei ministri né possono parteciparvi (fa eccezione il sottosegretario alla presidenza del Consiglio), ma possono comunque intervenire nei lavori parlamentari in rappresentanza del governo. In virtù della l. n. 81/2001, inoltre, è previsto che a non più di 10 sottosegretari può essere conferito il titolo viceministro. Per la nomina a viceministro è necessario che le deleghe conferite siano relative all’intera area di competenza di uno o più dipartimenti o di più direzioni generali, e che siano approvate dal Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio. A differenza dei sottosegretari, i viceministri possono partecipare al Consiglio dei ministri, anche se non hanno diritto di voto nelle deliberazioni.
I ministeri, organi amministrativi dello Stato distinti da specifiche competenze, costituiscono articolazioni fondamentali dello Stato e si compongono di strutture amministrative complesse, formate da un insieme di uffici dotati di personale e mezzi propri, operanti in settori di intervento omogenei. Pur godendo, secondo il dettato costituzionale, di pari dignità in seno al Consiglio dei ministri, i ministeri si differenziano tuttavia in ordine alle loro funzioni e dimensioni, e alle loro soluzioni strutturali interne e periferiche.
Con la l. n. 59/1997 (art. 11) il Parlamento ha delegato al governo l’adozione dei provvedimenti diretti alla razionalizzazione delle competenze dei ministeri. Alle deleghe è stata data attuazione (in ossequio all’art. 95, co. 3, Cost., che demanda alla legge di determinare «il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri») con i d.lgs. nn. 300 e 303 del 1999 e, in seguito, con il d.l. n. 181/2006, convertito in l. 233/2006; all’interno della l. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) è stato poi ripristinato lo spirito della riforma varata nel 1999, cosiddetta riforma Bassanini, che ha ristabilito in 12 il numero massimo dei ministeri e fissato a 60 unità la quota massima di ministri senza portafoglio, viceministri e sottosegretari.
In base a tali interventi legislativi – fermo restando il principio secondo cui spettano specificamente al ministro poteri di definizione e verifica degli obiettivi e dei programmi da attuare, mentre sono invece propri dei dirigenti i poteri di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa (d.lgs. n. 165/2001) – i ministeri possono conformarsi secondo due differenti modelli organizzativi: da un lato, un’articolazione in dipartimenti (v. Dipartimento) che gestiscono grandi aree di materie omogenee, ciascuno guidato dal relativo capo del dipartimento (da cui dipendono gli uffici dirigenziali generali), nominato con decreto del presidente della Repubblica e sottoposto a conferma o revoca da parte di un eventuale nuovo governo (incarico, quindi, sottoposto al cosiddetto spoil system, prassi formalmente riconosciuta di distribuzione, da parte delle forze politiche al governo, di cariche istituzionali, uffici pubblici e posizioni di potere ai propri simpatizzanti e affiliati); dall’altro, un modello a direzione generale, nel quale le singole direzioni generali sono a loro volta coordinate dal segretario generale del ministero (nominato con decreto del presidente della Repubblica, e destinato a decadere a ogni nuovo governo, salvo conferma), il quale opera alle dirette dipendenze del ministro, con compiti di coordinamento e vigilanza sull’azione amministrativa. Se il modello dipartimentale risulta particolarmente efficace nei ministeri caratterizzati da settori di amministrazione fortemente differenziati, seppur omogenei al loro interno (per es., quello dell’Economia e delle finanze), il modello a direzione generale appare invece più idoneo per i ministeri di carattere più settoriale, seppure articolati in una pluralità di specializzazioni (come il ministero degli Affari esteri).
Sotto il profilo funzionale, i ministeri sembrano oggi presentare un ordinamento più compatto rispetto al passato, con una migliore distribuzione delle competenze, suddivise per aree organiche piuttosto che per interessi settoriali. Nella nuova cornice legislativa, vi sono oggi alcuni ministeri che esercitano compiti di ordine e indirizzo (come quelli degli Affari esteri, dell’Interno, della Giustizia, della Difesa). Ad altri sono affidate funzioni di natura economico-finanziaria (Economia e finanze; Sviluppo economico; Politiche agricole, alimentari e forestali). Un altro gruppo opera nel campo sociale e culturale (Istruzione, università e ricerca; Beni e attività culturali; Lavoro, salute e politiche sociali), mentre altri hanno compiti relativi al settore delle infrastrutture e dei servizi (Infrastrutture e trasporti; Ambiente, tutela del territorio e del mare). Si aggiungono i ministeri privi di autonomia di bilancio, e per questo definiti senza portafoglio, che svolgono funzioni politiche delegate dal presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri (per es., Pari opportunità, Riforme per il federalismo, Politiche europee). L’ampliamento delle competenze regionali, conseguente alla riforma del titolo V della Costituzione, ha inoltre portato alla creazione del Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie locali della presidenza del Consiglio. Anche l’articolazione periferica dei ministeri è stata oggetto di specifiche previsioni: ai fini del decentramento delle funzioni statali (v. Decentramento amministrativo), e per effetto dell’affermazione del principio di sussidiarietà, è stata attribuita agli enti regionali e locali una competenza amministrativa generale. La presidenza del Consiglio, invece, non pare assimilabile al modello ministeriale, in particolare dopo la riforma attuata dal d.lgs. n. 303/1999 e dal d.l. n. 181/2006. La particolare flessibilità della sua organizzazione prevede, infatti, un assetto variabile delle sue strutture e una più snella procedura per l’adozione dei regolamenti amministrativi, con la possibilità, per il presidente del Consiglio, di istituire con proprio decreto altre unità organizzative per l’esercizio dei compiti dalla legge espressamente previsti.
Ministeri. Diritto costituzionale
Organo. Diritto amministrativo