Il più importante fiume italiano, sia per lunghezza di corso (652 km) sia per ampiezza di bacino (74.970 km2). Il nome deriva dal lat. Padus (gr. Πάδος) che è attestato per la prima volta da Polibio ed è di etimo incerto; tarda e senza fondamento l’identificazione del Po con il mitico fiume Eridano.
Il Po nasce nel gruppo del Monviso (a Piano del Re, 2022 m), e attraversa tutta la Pianura Padana dalle Alpi Occidentali all’Adriatico: nel suo percorso segue un andamento molto vario, avvicinandosi sensibilmente, nella prima parte, al rilievo appenninico (che tocca in corrispondenza della stretta di Stradella). Data la configurazione del bacino, dalla forma a U aperto verso il mare a E e chiuso sugli altri lati da sistemi montuosi, con una doppia pendenza combinata verso l’Adriatico e l’asse seguito dal fiume, gli affluenti appaiono essenzialmente obliquati verso E, con una maggiore inclinazione (da NO a SE) di quelli alpini rispetto a quelli appenninici (da SO a NE). Ciò è dovuto alle differenti pendenze dei versanti settentrionale e meridionale, e soprattutto al carattere torrentizio dei fiumi appenninici, che apportano abbondante materiale alluvionale, rispetto agli affluenti di provenienza alpina, i quali sono più ricchi di acqua, ma hanno un minore apporto detritico.
La divisione asimmetrica del bacino e la presenza dei grandi laghi subalpini a N del collettore padano, con un’evidente funzione di decantazione e di raccoglimento, contribuiscono a dare al Po un regime peculiare, che appare come la risultante dei diversi regimi dei suoi affluenti: quello continentale (massimo estivo e minimo invernale) del settore alpino e prealpino, e quello sublitoraneo (massimi in primavera e autunno, minimi in estate e inverno) che è tipico della restante parte del bacino, pur con le notevoli varianti appenninica (massimo principale autunnale e minimo principale estivo) e piemontese (massimo principale primaverile e minimo principale invernale). La diversità di regime degli affluenti determina per il Po un regime composito, detto appunto padano, con due massimi, in primavera e in autunno, e due minimi, in inverno e in estate. In condizioni meteorologiche normali, la portata media alla foce, pari a 1560 m3/s, è quindi il risultato di un’alternanza di piene e di magre, che possono raggiungere rispettivamente massimi superiori ai 12.000 m3/s e minimi di 230 m3/s. Le piene rovinose, che nei secoli scorsi e con particolare intensità nella seconda metà del 20° sec. hanno rotto in più punti gli argini, allagando e devastando notevoli estensioni di terre abitate e accuratamente coltivate, si verificano solo in condizioni particolari, e sono legate soprattutto all’alimentazione pluviale. Esse si hanno specialmente quando le piogge cadono contemporaneamente su tutto il bacino con una certa intensità e durata, o anche progressivamente da monte a valle (cosicché a valle le varie piene vengono a sommarsi); in tali circostanze, esse sono favorite anche dalla poca permeabilità o addirittura dall’impermeabilità dei terreni che formano i settori montani del bacino, e dalla saturazione della spessa coltre alluvionale, che nei primi periodi delle piogge è fortemente assorbente. Le esondazioni colpiscono tutti i territori rivieraschi del P. e dei suoi affluenti, da monte a valle, anche se in modo più cospicuo e con ricorrenze più vicine si osservano nel basso corso, e in particolare nell’area terminale. Tra gli eventi catastrofici sono da ricordare quelli del 589, del 1438 e quello che nel novembre 1951 colpì l’Oltrepò Pavese e soprattutto il Polesine, provocando un centinaio di vittime.
Nel complesso il deflusso del Po è piuttosto lento e il trasporto è limitato sul fondo alle sabbie da medie a finissime e in sospensione al silt e all’argilla. La piana alluvionale è caratterizzata dalla presenza di meandri ben sviluppati dopo la confluenza del Ticino, di isole (confluenza con l’Adda), di aree con acque stagnanti e paludose e dal letto pensile del Po che si sviluppa negli ultimi 300 km. La pendenza media del corso del Po tra Torino e la foce è di circa lo 0,34%.
L’attuale delta del Po può essere considerato un delta cuspidato caratterizzato da un sistema distributivo di sei maggiori rami che si dipartono dal corso principale; da N a S si chiamano: Po di Levante, Po di Maistra, Po della Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di Goro. Il Po della Pila è il ramo più attivo del delta, che scarica da solo circa il 51% della portata totale del Po, mentre il Po di Maistra è il ramo che ha il più basso trasporto sia liquido, sia solido.
Il delta del Po ha subito diverse vicissitudini a seguito dell’azione dell’uomo fin dalla fine del Medioevo. Prima del 19° sec. i maggiori cambiamenti vennero eseguiti per impedire lo sviluppo del delta verso Venezia, costringendo così il fiume a sfociare verso la costa emiliana. Sempre nello stesso periodo furono eseguite diverse opere di arginatura dei rami deltizi ai fini di impedire gli allagamenti dovuti alle piene. È comunque nel 20° sec. che l’uomo esercita la sua maggiore pressione sul delta, sia attraverso le opere di bonifica e l’urbanizzazione di vaste aree, sia attraverso l’estrazione dal sottosuolo di acque metanifere e il prelievo di inerti dagli alvei del Po e dei suoi affluenti. Questi ultimi due processi sono di fondamentale importanza e hanno determinato un progressivo arretramento del delta; quest’ultimo infatti si è accresciuto, progradando verso il mare, dal 1811 fino agli anni 1940; dal dopoguerra agli anni 1960 il delta ha iniziato ad arretrare a seguito soprattutto della subsidenza dell’area, innescata dall’estrazione dal sottosuolo di acque metanifere. A partire dagli anni 1960 la subsidenza è andata attenuandosi, mentre ha acquistato sempre più importanza il prelievo di materiali dall’alveo del Po e dei suoi affluenti; questo ha contribuito all’abbassamento del letto del Po da una parte e all’erosione e all’arretramento dell’apparato deltizio dall’altra, a causa del diminuito apporto solido alla costa.
Unico fiume italiano largamente navigabile, il Po è stato piuttosto trascurato dalle politiche dei trasporti attuate dopo l’unità d’Italia. Con i tronchi inferiori di alcuni dei suoi affluenti di sinistra, con il sistema dei ‘navigli’ lombardi e con i canali che lo collegano con alcuni fiumi veneti, il Po forma una rete idroviaria di circa 700 km. Già a Chivasso, non lontano da Torino, è percorribile da piccoli natanti; a valle della confluenza con il Ticino la navigazione è possibile per navi fino a 1300 t di stazza. Nel tratto terminale, Pontelagoscuro-Porto Garibaldi, dal quale si dirama il canale (Canal Bianco) di collegamento con l’idrovia litoranea veneta, l’intenso traffico fluviale è stato un potente fattore di attrazione e localizzazione di industrie (metallurgiche, petrolchimiche, alimentari). Numerosi sono i progetti di ampliamento e di razionalizzazione della navigazione padana: il più notevole, in parte realizzato, è quello dell’idrovia Milano-Cremona, che dovrebbe permettere a grossi natanti di raggiungere da Cremona (il cui porto-canale è stato adeguatamente sistemato) il cuore dell’area metropolitana milanese. Attualmente è in funzione solo il tratto di canale che arriva a Pizzighettone (13,5 km).
Il bacino del Po interessa sette regioni (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana) e la Provincia Autonoma di Trento; vi sono compresi 3210 comuni e vi risiede il 27% della popolazione nazionale. All’interno del bacino sono ubicate le aree metropolitane milanese e torinese e molte altre città che, nel Piemonte orientale, in Lombardia e in qualche area emiliana, formano una sorta di continuum urbanizzato. L’area è di grande rilevanza economica e copre circa il 40% del PIL nazionale, in virtù della presenza di grandi industrie, di una quota considerevole di piccole e medie imprese, nonché di attività agricole e zootecniche. Esaminando nel dettaglio il quadro economico, risulta che nel bacino del Po si forma il 37% dell’industria nazionale, il 55% della zootecnia e il 35% della produzione agricola.
Al forte sviluppo della struttura produttiva si accompagna un elevato livello di infrastrutturazione del territorio (strade, ferrovie, linee elettriche, acquedotti, fognature ecc.), marcatamente superiore alla media nazionale. Il settore agricolo, caratterizzato da un impiego molto intenso di fertilizzanti e fitofarmaci, è molto sviluppato. Prevalgono le colture di cereali (43%), cui seguono quelle foraggere (27%) e quelle industriali (10%); minore peso hanno la viticoltura, la frutticoltura e le colture ortive. Le attività zootecniche concernono prevalentemente l’allevamento di bovini e suini.
L’elevata concentrazione di attività industriali e agro-zootecniche, combinata con la forte densità demografica (ca. 225 ab./km2) e, in molte aree, con una concentrazione insediativa marcatamente superiore alla media nazionale, ha determinato un’accentuata pressione antropica sul territorio, che è diventato pertanto estremamente vulnerabile al degrado ambientale, soprattutto per quanto riguarda la scarsa qualità dell’aria nelle agglomerazioni urbane, il dissesto idrogeologico del territorio e l’inquinamento delle acque interne e costiere (molto sensibili ai processi eutrofici). Quest’ultimo aspetto ha assunto a partire dagli anni 1980 una particolare rilevanza, in quanto l’eutrofizzazione dell’Adriatico nord-occidentale (e, in particolare, dell’area deltizia del Po) costituisce uno dei più gravi problemi di compromissione ambientale del Mediterraneo. I prelievi idrici totali nel bacino del Po si aggirano intorno ai 20,5 miliardi di m3 annui; di questi, 2,5 miliardi sono destinati a usi civili, 1,5 miliardi a usi industriali (escluso il settore di produzione di energia elettrica), e 16,5 miliardi a usi irrigui. Le acque impiegate per usi civili e industriali sono prelevate per circa l’80% da falde sotterranee; tale percentuale eccede ormai la disponibilità della risorsa, come è testimoniato dall’abbassamento del livello freatico in molte zone. La concentrazione di nitrati nelle acque sotterranee, inoltre, è in alcune zone a livelli critici a causa della percolazione attraverso i suoli delle acque di drenaggio agricolo; un altro aspetto preoccupante è rappresentato dall’emungimento eccessivo nelle zone di bassa pianura, che provoca un aumento della mineralizzazione delle acque a causa dell’intrusione salina. Le acque per uso agricolo utilizzano per lo più i corsi d’acqua superficiali, con problemi sempre crescenti dovuti ai livelli scadenti di qualità presentati dalle acque del Po e dei suoi affluenti, soprattutto a valle dei maggiori insediamenti urbani. Lo stato di compromissione delle acque superficiali, dovuto all’inquinamento di origine civile e industriale, è evidenziato dagli elevati valori di concentrazione assunti da azoto ammoniacale, fosforo totale, COD, tensioattivi, coliformi fecali.
Nel 1989, secondo quanto previsto dalla legge 183 dello stesso anno, è stata istituita l’Autorità di bacino del fiume Po, con sede a Parma, con il compito di indicare linee programmatiche e, in base a esse, predisporre ‘piani di bacino’ secondo una visione globale che, al tempo stesso, assicuri la tutela ambientale e l’utilizzazione delle risorse e tenga conto dei problemi della gestione delle acque e della difesa del suolo, superando interessi localistici e conflitti di competenza. Al Comitato istituzionale dell’Autorità di bacino del Po è affidato il risanamento idrico dell’area, che va attuato attraverso linee d’intervento che agiscano sui fattori di generazione, trasporto e diffusione delle sostanze nutrienti responsabili dell’eutrofizzazione e, più in generale, delle sostanze inquinanti. Una funzione molto importante per valutare sia lo stato di qualità delle acque sia l’efficacia delle azioni di risanamento è assolta anche dalla rete interregionale di monitoraggio delle acque, istituita dall’Autorità di bacino in collaborazione con altre istituzioni.
Po di Primaro In passato, il braccio meridionale del delta del Po, ormai senza più alcun rapporto con il fiume. In epoca romana era il braccio più attivo (donde il nome Primarius). Nel Medioevo fu largamente navigato; solo dopo il 15° sec. iniziò il suo declino.
Diverge dal corso odierno del fiume (che in realtà ha deviato dal vecchio Primaro nel 12° sec.) fra la Stellata e Ficarolo, e con direzione generale verso SE passa a mezzogiorno in Ferrara, dove se ne distaccava in origine il ramo di Volano, continuando poi per Gaibana, San Nicolò ecc. fino a Traghetto, dove incontra il fiume Reno. Quest’ultimo nel 18° sec. fu incanalato nel vecchio letto del Po di Primaro, e per esso mandato al mare; ma il Reno odierno non segue dovunque il suo solco originale, che era molto sinuoso, e ha lasciato delle pronunciate curve a S delle valli di Comacchio, presso Filo e Longastrino, e vicino a Sant’Alberto. Battaglia di Primaro Fu combattuta nel 1271 sul Po di Primaro tra la flotta fluviale bolognese, comandata da Lanfranco Malocello, e la flotta fluviale veneziana, comandata da Marco Contarini, e vinta dai Bolognesi. Con essa terminarono le operazioni belliche tra Bologna e Venezia e furono avviate le trattative, conclusesi poi con la pace del 15 agosto 1273. Po di Volano Antico ramo deltizio del Po, lungo in origine circa 60 km, che si diramava dal principale corso del Po a Ferrara (punta di San Giorgio) e con direzione E si dirigeva verso le valli a N di Comacchio (Bosco Giralda), dalle quali sfociava in mare. Forma due larghe curve presso Migliarino e presso Codigoro. Qua e là rettificato (per es., tra Ferrara e Contrapò, e a N di Lago Santo), il Volano serve da canale di bonifica e di scolo; in alcuni tratti le sue acque sono prelevate anche, ma in misura non rilevante, per irrigazione. Il suo corso non è più navigato da almeno tre secoli.