(it. Portorico) Isola delle Grandi Antille che, insieme ad altre isole minori (9104 km2, con 3.971.020 ab. nel 2009), forma il Commonwealth of P., liberamente associato agli USA (dei quali adotta anche la moneta). A N è bagnata dall’Oceano Atlantico e a S dal Mar Caribico; si trova 1600 km a SE di Miami e 550 km a N della costa venezuelana. L’isola, che costituisce un elemento di raccordo tra le terre emerse delle Grandi Antille e l’esteso arco vulcanico insulare delle Piccole Antille, è caratterizzata dalla presenza di una catena montuosa disposta in senso E-O, detta Cordigliera Centrale (altezza massima Cerro de Punta, 1338 m), che continua verso E nella Sierra de Luquillo (altezza massima Monte el Yunque, 1066 m); nel settore nord-occidentale dell’isola è invece presente un rilievo collinare, detto Cordigliera di Jaycoa. Il clima è di tipo subequatoriale con modestissima escursione termica annua (24-27 °C) e piovosità abbondante. I corsi d’acqua più sviluppati e con portate maggiori scorrono da sud verso nord e sfociano nell’Atlantico, mentre quelli minori sfociano nel Mar Caribico.
La popolazione è di origine ispanica o africana (retaggio, quest’ultima, del periodo schiavista), urbanizzata per circa il 75%, di religione in maggioranza cattolica. Le aree metropolitane più importanti sono, oltre alla capitale San Juan, Ponce, Caguas, Mayagüez. Assai consistente è stato, a partire dal 1940, il flusso migratorio verso gli USA. Lingue ufficiali sono lo spagnolo e l’inglese.
Priva di materie prime, P. ha registrato una forte espansione del settore secondario (45% del PIL nel 2009): particolare sviluppo ha avuto il comparto chimico-farmaceutico, cui seguono l’elettromeccanico e il tradizionale ramo alimentare (con la grande diffusione delle distillerie). Lo sviluppo è stato favorito da incentivi fiscali e facilitazioni doganali di cui godono le imprese statunitensi e le merci portoricane. Il settore agricolo, un tempo preminente nell’economia portoricana, ha ormai un ruolo marginale (fornisce appena l’1% del PIL: fra le colture prevalgono canna da zucchero, caffè, banano). In forte crescita le attività legate al turismo. Nel commercio estero, le maggiori esportazioni riguardano i prodotti chimici, i macchinari elettrici e gli apparecchi elettronici, i prodotti farmaceutici e dell’industria agroalimentare. Gli USA sono di gran lunga il più importante partner commerciale.
L’isola, chiamata Boriquen dagli Indios Aruachi che la popolavano alla fine del 15° sec., fu scoperta da C. Colombo (1493) e ribattezzata San Juan Bautista. Chiamata P. per volontà di Ferdinando il Cattolico, fu colonizzata a partire dal 1508 dagli Spagnoli i quali dovettero presto ricorrere a schiavi africani per sostituire la popolazione indigena, decimata dalle epidemie e dallo sfruttamento imposto con il sistema dell’encomienda (➔). Attaccata dagli Inglesi (1595, 1598), dagli Olandesi (1625) e dagli Inglesi (1797), solo nel 19° sec. conobbe un parziale sviluppo economico; intanto, mentre gli alti gradi dell’esercito, i vertici della burocrazia e il commercio internazionale continuavano a essere riservati agli Spagnoli, a P. cresceva la richiesta di riforme politiche e sociali.
Dopo il fallimento di un moto indipendentista (1868) e l’abolizione della schiavitù (1873), l’isola ottenne l’autogoverno nel 1897. L’anno seguente divenne possedimento statunitense in virtù del trattato di Parigi del 10 dicembre 1898, che pose fine alla guerra ispano-americana. Dopo un periodo di occupazione e governo militare, nel 1900 P. ricevette un’amministrazione civile e limitate misure di autogoverno. La possibilità di piazzare sul mercato statunitense la produzione di zucchero incise profondamente sull’economia dell’isola e rese di fatto la popolazione locale dipendente in via quasi esclusiva dall’industria saccarifera. Nel corso degli anni 1930 prese forza un movimento che rivendicava la completa indipendenza e nel 1946 il presidente statunitense H.S. Truman nominò governatore un portoricano. Capo dell’esecutivo locale, il governatore è dal 1948 eletto a suffragio universale ogni 4 anni, in concomitanza con le elezioni della Camera dei rappresentanti e del Senato locali.
Nel 1952 entrò in vigore una Costituzione: P., che rimaneva soggetta alla sovranità e all’amministrazione di Washington e alle leggi federali, acquisì la qualifica di Estado Libre Asociado (o Commonwealth) e un’effettiva autonomia interna, paragonabile a quella di uno Stato dell’Unione, ma non il diritto per i suoi abitanti, pur cittadini degli USA, di partecipare alle elezioni del presidente e del Congresso. Le istanze indipendentiste, dapprima sostenute dal Partido nacionalista (responsabile nel 1950 di una rivolta armata e di un fallito attentato a Truman), trovarono poi espressione nel socialdemocratico Partido Independentista Puertorriqueño (PIP) e, parzialmente, nel marxista Partido Socialista Puertorriqueño (PSP). La richiesta di piena integrazione con gli USA in qualità di 51° Stato fu fatta propria dal Partido Nuevo Progresista (PNP), mentre un rafforzamento dell’autonomia dell’isola nel quadro del rapporto associativo con gli Stati Uniti è invece sostenuto dal 1938 dal Partido Popular Democrático (PPD).
Del tutto dipendente dagli USA sotto il profilo economico e sotto l’aspetto delle relazioni internazionali, P. è rimasta però fortemente legata al mondo latinoamericano. Un referendum nel 1998 confermò nella sostanza i dati delle precedenti consultazioni del 1991 e 1993, con il 46,5% degli elettori schierato in favore della piena integrazione dell’isola nell’unione federale degli Stati Uniti, il 50,2% favorevole al mantenimento dello status di Stato libero associato, e poco più del 2% in favore della piena indipendenza.
Il primo cronista di carattere nazionale può essere considerato M.A. Alonso (19° sec.), il quale è contemporaneamente l’iniziatore del costumbrismo e del criollismo nel paese. El Jíbaro (1849) è infatti una raccolta di quadri di costume indigeni cui danno carattere di documento linguistico i tentativi di tradurre in ortografia fonetica il linguaggio dei contadini meticci, detti appunto jíbaros. A. de Tapia y Rivera nello stesso periodo si fece portavoce di idee nuove ed eretiche, come quelle espresse ne La Sataniada (1878), e raccolse leggende (El bardo de Guamaní, 1862) e storie di pirati (Cofresí, 1876). Il Romanticismo in poesia ricalca i temi di quello spagnolo; G. A. Bécquer in particolare esercita notevole influsso su J.G. Padilla, S. Vidarte, J. Gautier Benítez, mentre la saggistica trova il suo più illustre rappresentante in E.M. de Hostos. Il modernismo ebbe vari rappresentanti: per la prosa N. Canales e per la lirica L. Lloréns Torres, J. Lago e J. de Diego, che annunciarono nuove tendenze d’avanguardia.
Molteplici movimenti d’avanguardia (Diapalismo, Euforismo, Atalogismo ecc.) tentarono negli anni 1920 una trasformazione del panorama lirico, senza tuttavia riuscire a esercitare un’influenza durevole. Negli anni successivi la poesia è percorsa da impulsi di rinnovamento formale, come nei Poemas de Vanguardia di J. Rivera Chevremont, o mira a un’indagine sull’uomo come nel grupo trascendentalista cui fanno capo F. Lluch Mora e F.F. Oppenheimer. Massimo esponente della poesia afro-antillana è L. Palés Matos, mentre l’influsso di P. Neruda è palese in A. Ramos Llompart. Nella narrativa M. Fernández Juncos, M. González García, E. Laguerre e E. J. Fonfrías assumono come protagonista il contadino con i suoi problemi sociali e politici. Negli anni 1950 e 1960 la narrativa è caratterizzata dall’introspezione e dall’analisi delle problematiche politiche e sociali, come testimoniano le opere di J.L. González, A. Díaz Alfaro, R. Marqués e E. Figueroa.
Già dalla fine degli anni 1960, accanto alla narrativa di impianto realista, s’impone il romanzo sperimentale; alla sua diffusione contribuiscono L.R. Sánchez, che crea un linguaggio neobarocco con radici nella lingua colloquiale e popolare, ed E. Rodríguez Juliá, che rilegge la storia del paese da un punto di vista caribico. Queste due tendenze (critica del colonialismo nordamericano, con la conseguente rivisitazione della propria storia da un’ottica non più statunitense, e invenzione di una lingua neobarocca che riscopre le origini popolari) hanno attraversato la narrativa degli anni 1970 e 1980 e sono presenti, in maggior o minor misura, nei romanzi e nei racconti di C. Rodríguez Torres, T. López Ramírez, A.L. Vega e M. Ramos Otero. Accanto a chi privilegia la riscoperta della storia, non mancano autori che prediligono personaggi minori, storie marginali, aneddoti quotidiani, e che pongono spesso la figura femminile al centro della narrazione; si pensi a R. Ferré, M. García Ramis, L. López Nieves (Seva, 1984; La verdadera muerte de Juan Ponce de León, 2000), E. Sanabria Santaliz (Cierta inevitable muerte, 1988; Peso pluma, 1996). Quasi tutti questi scrittori, inoltre, hanno coltivato il genere del racconto, che ha vissuto negli ultimi trenta anni del 20° sec. una stagione particolarmente fortunata. La poesia, abbandonati i toni di denuncia e i temi dell’indipendenza e dell’identità nazionale, si è indirizzata verso un maggiore intimismo e una più raffinata ricerca formale. A tale rinnovamento hanno contribuito in particolare l’opera della citata Ferré e la rivista da lei diretta, Zona, carga y descarga (1971-76). Ma con propri accenti personali si sono distinti anche altri poeti: O. Nolla (El caballero del yip colorado, 2000), E. Reyes, I. Silén, J.L. Vega, J.A. Morales, Á.M. Sotomayor.