Parte dell’astronomia che studia l’emissione di radioonde da parte dei corpi celesti, allo scopo di definirne la posizione e le caratteristiche fisiche. L’intervallo di lunghezze d’onda è limitato, a grandi lunghezze d’onda, a circa 10-20 metri (frequenze di 30-15 MHz); a lunghezze d’onda maggiori infatti l’atmosfera terrestre non è trasparente, a causa dell’assorbimento dovuto agli elettroni liberi nella ionosfera. A lunghezze d’onda brevi il limite di separazione dall’astronomia infrarossa è convenzionalmente fissato a 1 mm (frequenza di 300 GHz).
Le osservazioni radioastronomiche, che fanno uso di radiotelescopi e radiointerferometri accoppiati a sensibili radioricevitori, hanno permesso di svolgere indagini raffinate su un grande numero di fenomeni celesti, evidenziando la presenza di intere classi di nuove sorgenti astronomiche, quali le radiogalassie, le pulsar, le nubi molecolari, la radiazione di fondo cosmico.
Le osservazioni di brillanza proveniente da sorgenti radioastronomiche alla frequenza ν vengono espresse di solito attraverso la temperatura di brillanza Tb, che è legata alla brillanza (per intervallo unitario di frequenza) B dalla relazione Tb=(c2/2kν2)B, e al flusso (per intervallo unitario di frequenza) S da Tb=(c2/2kν2)S/Ω, con k costante di Boltzmann, c, velocità della luce nel vuoto e Ω angolo di dispersione della radiazione in studio.
I principali meccanismi di emissione radio di interesse astrofisico di tipo continuo sono l’emissione di corpo nero e quella di corpo grigio (corpo nero con emissività minore di 1): si tratta della radiazione termica prodotta da corpi in equilibrio termodinamico, il massimo di emissione si trova a una lunghezza d’onda λ=a/T, con a=0,29 cm K; a frequenze inferiori a quella del massimo (regione di Rayleigh-Jeans) la brillanza di corpo nero decresce come il quadrato della frequenza. La Luna, per es., emette uno spettro di Rayleigh-Jeans con una temperatura di circa 200 K, dipendente dalla fase e dalla frequenza (v. fig.). Il fatto che lo spettro di emissione termica sia di corpo nero o di corpo grigio dipende dallo spessore ottico della sorgente, cioè dal numero di particelle emittenti o diffondenti e dalla loro efficienza di interazione con le onde radio: lo spessore ottico lungo il percorso dell’onda elettromagnetica vale infatti τ(ν)=n∙σ(ν) ∙L, dove n è la densità delle particelle, σ(ν) è la loro sezione d’urto alla frequenza ν, e L è la lunghezza del percorso dell’onda attraverso le particelle. La brillanza della radiazione emessa da tale sistema di particelle, nel caso si trovino tutte alla stessa temperatura T, vale I(ν)=B(T,ν) [1–exp(-τ(ν))]. Si passa quindi dal caso otticamente spesso τ(ν)>1, in cui la brillanza coincide con quella di corpo nero B(T,ν), al caso sottile τ(ν) <1, in cui la brillanza è sicuramente inferiore a quella di corpo nero e lo spettro dipende dall’andamento dettagliato di τ(ν). Un esempio di questo secondo caso è l’emissione radio della nebulosa di Orione (v. fig.). In generale però sono altri i più efficienti processi di produzione di onde radio nei corpi celesti. È noto dall’elettromagnetismo che cariche accelerate producono onde elettromagnetiche; gli elettroni sono particolarmente efficienti in questo processo a causa della loro piccola massa. In sorgenti astrofisiche con temperatura molto alta, il gas si trova nello stato ionizzato (plasma) in cui elettroni e ioni sono liberi. Gli elettroni del plasma possono essere allora accelerati in due modi: quando, animati dal moto di agitazione termica, subiscono collisioni con ioni o altri elettroni, e quando è presente un campo magnetico, per cui si muovono su traiettorie a spirale. Nel primo caso si ha radiazione di frenamento (bremsstrahlung termica), detta anche di free-free; nel secondo si ha radiazione di sincrotrone (bremsstrahlung magnetica). Le lunghezze d’onda emesse dipendono dalle energie degli elettroni. Sia lo spettro di sincrotrone sia quello di free-free hanno andamenti decrescenti all’aumentare della frequenza (spettri di Cassiopea A, 3C273; v. fig.).
La presenza di righe (➔ riga) negli spettri di radioonde emesse dai corpi celesti è di fondamentale importanza nella radioastronomia. Secondo la fisica quantistica le molecole e gli atomi possono avere solo un insieme di energie ben determinate (livelli energetici). La transizione da uno stato a un altro comporta l’emissione o l’assorbimento di un quanto di radiazione elettromagnetica (fotone) di frequenza ν=ΔE/h, dove ΔE è la differenza di energia tra i due stati e h è la costante di Planck. La transizione può avvenire spontaneamente (diseccitazione radiativa), a causa di collisioni (eccitazione collisionale, eccitazione termica), o a causa di interazione con un fotone della giusta frequenza (emissione stimolata). Le frequenze radio corrispondono a piccole differenze di energia tra i livelli (inferiori a 10–3 eV), caratteristiche dei livelli energetici rotazionali delle molecole e dei livelli iperfini degli atomi semplici. L’intensità delle righe prodotte in questo modo dipende dalla quantità di atomi o molecole presenti, dai loro coefficienti di Einstein (che caratterizzano la capacità di interagire con la radiazione elettromagnetica) e dalle popolazioni dei livelli energetici in questione. Le molecole con grande momento di dipolo elettrico (esempio importante in r. è l’ossido di carbonio CO) hanno grandi coefficienti di Einstein, cioè producono o assorbono efficientemente righe (dette transizioni permesse); al contrario, le molecole omopolari (importante l’H2) hanno momento di dipolo nullo e la loro interazione con le onde elettromagnetiche è estremamente più debole, potendo avvenire solo attraverso il momento di quadrupolo elettrico o attraverso il dipolo magnetico (transizioni proibite). La rivelazione al radiotelescopio di emissioni di riga a ben determinate frequenze permette quindi di evidenziare la presenza di particolari sostanze nel mezzo interstellare, di stabilirne l’abbondanza e di studiare le condizioni fisiche (temperatura, densità, campo di radiazione, velocità) del mezzo in cui le righe sono prodotte. L’effetto Doppler sposta la frequenza di osservazione della riga a seconda della velocità relativa v tra emettitore e osservatore: lo spostamento della frequenza osservata rispetto a ν0, quella della stessa sostanza in laboratorio, vale Δν=ν0∙v/c.
Si distinguono due regimi solari: Sole quieto e Sole perturbato. Nel primo caso, l’emissione di onde radio, osservata per la prima volta da G.C. Southworth nel 1942, è dovuta a radiazione termica dalla corona solare. La temperatura del gas aumenta dai 6000 gradi della fotosfera a qualche milione di gradi nella corona, in cui d’altra parte la densità è molto ridotta. Il gas della corona è quasi completamente ionizzato a causa dell’alta temperatura. L’emissione termica è di tipo free-free, con correzioni dovute all’indice di rifrazione del plasma. A causa di questi effetti il Sole appare nelle onde decimetriche come un disco circondato da un anello brillante. L’emissione di Sole quieto è in generale trascurabile rispetto a una componente lentamente variabile e all’emissione del Sole perturbato, in occasione di tempeste solari e brillamenti. La problematica è altamente complessa in questo secondo caso e si distinguono fenomeni di emissione impulsiva, detti burst, di cinque tipi diversi, oltre all’emissione caratteristica delle tempeste e a quella dei brillamenti. L’emissione è ancora di tipo continuo, ma di tipo non termico per la presenza di intensi campi magnetici coronali (sono importanti l’emissione di sincrotrone, l’emissione alla frequenza di plasma e alle sue armoniche, e anche l’emissione maser di ciclotrone).
Sorgenti discrete. I pianeti del Sistema solare sono tutti sorgenti di radioonde, sia a causa dell’emissione termica della superficie e dell’atmosfera, sia a causa delle fasce di particelle intrappolate nel loro campo magnetico (analoghe alle fasce di Van Allen). È stata osservata l’emissione radio di un gran numero di stelle, causata sia dagli stessi meccanismi di emissione descritti per il Sole sia da altri presenti per stelle di tipo spettrale diverso. Per es., per le stelle nane di tipo M sono molto comuni brillamenti con energie alcuni ordini di grandezza superiori a quelle dei brillamenti solari.
Sorgenti diffuse. Il mezzo interstellare, e in esso l’idrogeno che ne è il principale costituente, pervade tutta la Galassia, con una distribuzione irregolare: da grandi regioni con densità del gas estremamente ridotta a complessi di nubi molecolari dense. La presenza di idrogeno neutro (denominato HI) è facilmente evidenziabile grazie alla radioastronomia. Infatti il livello energetico fondamentale dell’atomo di idrogeno è costituito da due livelli con energia leggermente diversa, a causa della interazione tra gli spin del nucleo e dell’elettrone. La transizione tra questi due livelli è detta transizione iperfina, e la frequenza dei fotoni emessi è molto ben conosciuta, e pari a νi=1,420405751786 GHz (lunghezza d’onda di circa 21 cm). Le osservazioni radioastronomiche misurano la temperatura di brillanza Tb(ν) in funzione della frequenza in un intervallo ristretto intorno alla frequenza νi. Le osservazioni mostrano temperature di brillanza che in nessun caso sono inferiori a 0,5 K e arrivano a 175 K nel piano della Galassia: la riga a 21 cm è sicuramente la più intensa riga termica osservabile in radioastronomia. Le stelle più giovani emettono grandi quantità di radiazione con lunghezza d’onda inferiore a 912 Å; questi fotoni possono ionizzare gli atomi d’idrogeno: si formano quindi regioni di idrogeno ionizzato, dette regioni HII (un esempio notevole è la nebulosa di Orione) o nebulose planetarie nel caso di stelle in stato evolutivo avanzato.