signoria Nell’uso storiografico, sia l’insieme dei poteri (prima solo personali, poi anche territoriali) esercitati durante tutto il Medioevo (e oltre) dall’aristocrazia fondiaria laica ed ecclesiastica sui contadini, sia l’istituto in cui si risolve, dal 13° sec., la crisi di molti Comuni dell’Italia settentrionale e centrale, internamente discordi per le fazioni che si alternavano al potere
Fin dall’età romana, l’autorità dei proprietari sui loro contadini era anche di natura extraeconomica, ossia riguardava la possibilità di imporre una forma di disciplina, in misura differenziata rispetto alla condizione giuridica (di libertà o schiavitù) dei coltivatori. Soprattutto in età carolingia (dal 9° sec.), nelle regioni che entrarono a far parte dell’Impero franco tale autorità si concretizzò nel diritto di giudicare e punire; tale stadio viene definito s. fondiaria, esercitata solo sui contadini che lavoravano le terre del padrone-signore e che vivevano spesso in differenti villaggi, dato il frazionamento dell’unità agraria di base del tempo (curtis).
A partire dal 10° sec., durante il periodo dell’anarchia politica dell’Occidente medievale, si verificò la crisi dei poteri pubblici a tutti i livelli; i grandi proprietari fondiari (aristocrazia laica, chiese e monasteri) mirarono a unire ai loro precedenti poteri quelli di natura militare e giurisdizionale che i vari funzionari regi o imperiali non erano più in grado di esercitare. I signori laici ed ecclesiastici svilupparono così i poteri di banno (diritto di convocare e di punire, potere di comando degli ufficiali pubblici in campo militare, fiscale, giudiziario). In età postcarolingia tale potere passò soprattutto nelle mani di quei proprietari fondiari che riuscirono a incastellare, ossia erigere fortezze sulle loro terre. E poiché tali fortezze proteggevano sia i propri uomini sia i contadini dei villaggi più vicini al castello (data la natura dispersa del grande possesso fondiario), ecco che la nuova forma di s. di banno ebbe carattere territoriale, esercitandosi su un territorio compatto, sotto il raggio protettivo del castello; ed è chiamata dunque anche s. territoriale o di castello. I signori richiesero allora ai loro uomini una serie di dazi, pedaggi e corvées, come riconoscimento della loro funzione (mantenere la pace proteggendo dai nemici esterni e assicurare la giustizia all’interno). Inoltre, in una fase pienamente matura della s., i signori si arrogarono, nei confronti della popolazione loro soggetta, il godimento di alcuni diritti monopolistici (bannalità), quali quello di costringere tutti coloro che erano sottoposti alla s. a utilizzare il mulino o il frantoio signorile; diritti ulteriori (sull’eredità, sui matrimoni) si svilupparono poi in maniera differenziata da luogo a luogo e a seconda delle varie epoche, ed erano più pesanti nei confronti degli uomini di origine servile. Ma va detto anche che, all’interno dei quadri della s. territoriale, l’antica distinzione tra liberi e servi perse consistenza (10°-12° sec.) a vantaggio di una generale sottomissione al banno signorile, che divenne il marchio generalizzato della popolazione contadina.
Le s. di banno, di frequente nate da uno sviluppo di fatto, ebbero parziali riconoscimenti sovrani, per es., con la concessione del castello già costruito o ancora da costruire, talvolta a titolo beneficiario, talvolta in donazione piena. La struttura signorile va infatti distinta da quella feudovassallatica, anche se poteva darsi il caso frequente di un signore vassallo di un altro più potente, fosse il re o un altro grande; e questo fu poi il caso normale dal 12° sec. in poi. I signori difendevano il loro territorio con una forza militare di guerrieri, vassalli o servi armati; i signori ecclesiastici univano alla forza militare lo scudo rappresentato dall’immunità, ossia da una concessione da parte dell’autorità, che impediva agli ufficiali pubblici di entrare nelle terre ecclesiastiche per compiervi qualsiasi atto legato alla loro funzione. Sviluppatasi al massimo grado nei sec. 11° e 12°, la s. di banno vide limitate le proprie prerogative (13° sec.) dai nuovi poteri forti (monarchie, Stati regionali, comuni cittadini) che ovunque si formarono in Europa.
La forma di governo che pressoché ovunque, in Italia, successe al comune, dal tardo 13° sec. in poi, per porre fine alle lotte di fazione e affrontare in termini più efficaci i problemi creati dall’espansione nel contado e dalla rivalità dei comuni vicini, si determinò, in relazione a situazioni e avvenimenti particolari, in modi diversi: ora fu la magistratura unica e forestiera del podestà o il capitanato del popolo che si trasformò in titolo vitalizio; ora fu la magistratura eccezionale del capitanato di guerra che si impose stabilmente. A volte, conservandosi gli istituti comunali, si ebbe il caso di una velata s. di un cittadino, potente per clientela e prestigio e ricchezza. Poteva capitare ancora che il passaggio alla s. si avesse per improvvisa decisione del Comune che faceva dedizione o si vendeva a un signore, a un vicario imperiale, a un potente feudatario, a un sovrano, o al pontefice, per sfuggire a diversa minaccia, per acquistare privilegi economici.
Il signore, nel confronto della cittadinanza, tendeva ad annullare la propria subordinazione e la propria responsabilità verso statuti e deliberazioni consiliari, a riassumere nella sua persona la somma dei poteri; e in molti casi l’acquisto da parte del signore di altre s. creò una sempre più grande distinzione tra governanti e governo, che disponeva di una sua propria organizzazione burocratica, estranea agli interessi locali. Tuttavia sempre l’origine del potere, anche se era ammesso il suo carattere vitalizio e perfino ereditario per consanguineità, si basava, almeno di diritto, sulla volontà popolare che aveva concesso la balìa. Il compromesso trovò una soluzione tra il 14° e il 15° sec., quando i signori ottennero il titolo della loro legittimità dall’Impero o dalla Chiesa, trasformando così la s. in principato.