Nel diritto civile, l’errore costituisce una ipotesi di anormalità nella esplicazione dell’autonomia privata e nei relativi regolamenti d’interessi, i quali conseguentemente si presentano viziati o da una deficiente consapevolezza dell’oggettivo significato del negozio posto in essere o da una inconsapevolmente falsa rappresentazione della realtà reagente sul processo di formazione della volontà. Nel primo caso l’errore è detto ostativo o nella dichiarazione (art. 1433 c.c.), e consiste nel fatto del verificarsi di una differenziazione tra il significato che la parte attribuisce alla propria manifestazione di volontà (dichiarazione o comportamento) e il significato oggettivo della medesima, con il risultato di produrre un difetto di consapevolezza e di volontà in ordine alla manifestazione effettuata dal suo autore. L’errore ostativo può dipendere da cause interne al dichiarante (distrazione, ignoranza del vero significato delle espressioni adottate) o esterne al medesimo quando il dichiarante si avvalga dell’opera di terzi nell’esprimere o recapitare la dichiarazione e questi terzi alterino il significato della volontà del dichiarante. Le conseguenze giuridiche dell’errore ostativo sono quelle stesse che si producono a seguito dell’errrore vizio. Si ha errore vizio quando l’autore di un negozio si determina al medesimo sulla base di un erroneo giudizio circa la concreta situazione di fatto; così la volontà si forma e si manifesta in una direzione diversa da quella che sarebbe stata seguita se l’interessato avesse avuto una cognizione corretta della realtà e una previsione adeguata dei fini da perseguire in quella situazione (artt. 1428-1429, 1431 c.c.). Si distingue normalmente l’errore di fatto da quello di diritto, vertendo il primo sopra un elemento della situazione di fatto, oggetto di rappresentazione e valutazione da parte dell’interessato, e comprendente il contenuto, i presupposti e le condizioni del previsto regolamento d’interessi, e il secondo sopra un elemento normativo influente sulla fattispecie considerata; l’errore di diritto è espressamente considerato dall’art. 1429 n. 4 c.c. nel senso di una limitazione della sua rilevanza alla sola ipotesi in cui sia stato ragione unica o principale del negozio. La transazione non può essere invece annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti (art. 1969 c.c.). Una specie particolare di errore, quello di calcolo, non ha di regola rilevanza ai fini di una valutazione critica del negozio; ma dà luogo a semplice rettificazione, a meno che non si concreti in un errore di quantità e sia stato determinante l’intento dell’autore dell’atto (art. 1430 c.c.). Il trattamento normativo degli effetti dell’errore è diverso secondo i tipi di negozio viziato. Nel matrimonio l’errore può provocare l’annullamento del vincolo se sia tale da escludere il consenso, ipotesi questa che si verifica soltanto quando l’errore cada sull’identità fisica dell’altra persona (art. 122 c.c.) o trattasi di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge. L’errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l’errore riguardi: 1) l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; 2) l’esistenza di una condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio o sempre che l’azione di annullamento sia proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; 4) la circostanza che l’altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni; 5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché ci sia stato disconoscimento ai sensi dell’art. 233 c.c., se la gravidanza è stata portata a termine. Nelle successioni mortis causa l’errore non ha effetto in tema di accettazione dell’eredità (art. 483 c.c.), mentre può determinare l’annullamento dell’atto in tema di testamento: a quest’ultimo proposito l’art. 624 c.c., oltre a prevedere l’impugnabilità del testamento quando sia effetto di errore, estende l’invalidazione alla disposizione testamentaria viziata da errore sul motivo (di fatto e di diritto) in quanto risultante dal testamento e purché unica ragione della disposizione di ultima volontà. In tema di contratto l’errore è causa di annullamento quando cada su elementi essenziali del negozio e sia riconoscibile da parte dell’altro contraente (art. 1428 c.c.): l’errore è pertanto essenziale se abbia determinato una falsa rappresentazione circa la natura o l’oggetto del contratto, circa l’identità dell’oggetto della prestazione ovvero una qualità che debba ritenersi determinante il consenso secondo il comune apprezzamento e le circostanze, circa l’identità o le qualità dell’altro contraente purché determinante il consenso (art. 1429 c.c.); l’errore è poi riconoscibile quando una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarne la presenza nel corso della conclusione del contratto, avendo riguardo al contenuto, alle circostanze e alla qualità dei contraenti (art. 1431 c.c). Il contratto viziato può essere annullato (v. Annullabilità e annullamento. Diritto civile) a domanda della parte incorsa in errore, entro cinque anni dal momento in cui l’errore sia stato scoperto (art. 1442, 2° co., c.c.) e purché l’altra parte, prima che dall’atto possa derivare un pregiudizio, non offra di darvi esecuzione in modo conforme a quella che sarebbe stata la volontà contrattuale senza l’influenza causale dell’errore (art. 1432 c.c.).
Annullabilità e annullamento. Diritto civile