Per magistratura si intende generalmente un corpo di giuristi a cui spetta l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, cioè la risoluzione delle controversie nell’applicazione concreta delle norme giuridiche. In virtù del legame tra magistratura e giurisdizione, si parla di diversi tipi di magistratura, a seconda dei diversi tipi di giurisdizione: si distingue, dunque, la magistratura ordinaria dalla magistratura amministrativa, contabile, militare, tributaria ecc. Negli Stati costituzionali, la magistratura è incardinata nell’ambito dell’apparato statale e costituisce quello che viene chiamato il potere giudiziario (Separazione dei poteri). Questo incardinamento, finalizzato a garantire il maggior distacco possibile dalle parti in causa, è la risultante di un lungo processo storico e si è accompagnato a una sempre più estesa burocratizzazione dell’intero corpo dei magistrati (basti pensare, in tal senso, a quel che hanno significato le riforme napoleoniche). D’altra parte, l’inserimento della magistratura nell’apparato statale ha comportato una serie di problemi, in primo luogo quello del condizionamento da parte degli organi politici e, in particolare, da parte del Ministro della giustizia, facente parte del Governo.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, fin dai primi anni di vigenza dello Statuto albertino, sulla scia di una legge francese del 1810, è stato configurato un sistema burocratico e piramidale della magistratura, con il Ministro della giustizia che finiva per avere tutta una serie di poteri di controllo e di condizionamento, in particolare nei riguardi del pubblico ministero, qualificato come «rappresentante del potere esecutivo presso l’Autorità giudiziaria» (R.d. n. 3781/1859; R.d. n. 2626/1865). Questa concezione del pubblico ministero, gerarchicamente subordinato al Ministro della giustizia, ha iniziato ad essere messa in dubbio soltanto verso la fine del XIX secolo, grazie all’opera, tra gi altri, di Mortara. Con i primi anni del nuovo secolo, il condizionamento da parte del Ministro della giustizia è risultato attenuato, anche grazie alle riforme introdotte da Orlando e, in particolare, all’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura, ma l’avvento del fascismo ha ripristinato la situazione precedente, accentuando ancora di più l’ingerenza governativa (cfr., R.d. n. 2786/1923; R.d. n. 12/1941).
La magistratura nell’esperienza repubblicana. - La Costituzione repubblicana ha inteso rafforzare le garanzie di autonomia e di indipendenza della magistratura, affermando anche che essa è un ordine autonomo da ogni altro potere (art. 104, co. 1, Cost.), che il giudice è soggetto soltanto alla legge (art. 101, co. 2, Cost.), ma soprattutto prevedendo un Consiglio superiore della magistratura autonomo dal potere politico, a cui riservare tutte le decisioni più significative sulla carriera e lo status professionale dei magistrati (art. 105 Cost.).
Ulteriori aspetti dell’indipendenza sono poi l’inamovibilità (art. 107 Cost.) e la nomina per concorso (art. 106, co. 1, Cost.). Per quanto riguarda quest’ultima, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che, sebbene non sia di per sé una garanzia di indipendenza del titolare di un ufficio, essa concorre a rafforzare e integrare l’indipendenza dei magistrati. È stata poi definitivamente abbandonata la visione (retaggio dell’età napoleonica) della gerarchia nell’ambito della magistratura, attraverso la disposizione che sancisce la distinzione tra magistrati solo per diversità di funzioni (art. 107, co. 3, Cost.). In questo modo, quindi, si può dire che la Costituzione vigente abbia configurato la magistratura come un potere diffuso, cioè come un potere in cui non vi è alcuna soggezione di tipo gerarchico tra gli stessi magistrati, ma soltanto differenziazioni derivanti dalla diversità dei compiti loro assegnati. Diretta conseguenza di questa configurazione è la circostanza che qualunque magistrato possa sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (Conflitti di attribuzione. Diritto costituzionale) innanzi alla Corte costituzionale.
Nell’ambito della magistratura rientra a pieno titolo non soltanto il giudice, ma anche il pubblico ministero, non solo perché le disposizioni costituzionali di riferimento (artt. 107, co. 4, 108, co. 2, e 112 Cost.) sono collocate nel tit. IV della parte II della Costituzione, ma soprattutto perché anche quest’organo, come rimarcato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell’interesse generale all’osservanza della legge.