Astronomo e cosmologo polacco (Thorn, od. Toruń, 1473 - Frauenburg, Prussia Orientale, od. Frombork, voivodato di Olsztyn, 1543). Di famiglia slesiana di lingua tedesca, ma avversa all'Ordine Teutonico, alla morte del padre (1483) C. fu aiutato dallo zio materno, Luca Watzelrode, dal 1489 vescovo di Warmja. Iscrittosi nel 1491 all'università di Cracovia, passò nell'autunno del 1496 a Bologna, ove lo zio desiderava si addottorasse in diritto. C. continuò però anche lo studio, iniziato a Cracovia, di matematica e astronomia, collaborando con l'astronomo Domenico M. Novara, e approfondì pure la sua cultura umanistica e la conoscenza dei classici. Nominato canonico del Capitolo di Warmja (aveva ricevuto gli ordini minori), dal 1501 studiò medicina a Padova e si addottorò a Ferrara in diritto canonico nel 1503. Tornato in Polonia, fu segretario e medico dello zio sino alla morte di questo, e nel 1512 si trasferì a Frauenburg ove proseguì le ricerche astronomiche e si distinse come amministratore dei beni del Capitolo, specie durante la guerra di re Sigismondo contro i Cavalieri Teutonici. La fama di C. - richiama il suo nome la "rivoluzione" da cui si fa iniziare la scienza moderna, e "copernicani" si dichiararono Keplero e Galileo - si deve all'elaborazione del sistema eliocentrico o eliostatico (il Sole fermo al [quasi]-centro dell'universo limitato dal cielo delle stelle fisse) in contrapposizione al sistema geocentrico e geostatico dell'astronomia greca, da Eudosso ed Aristotele a Tolomeo, cui si era ispirata anche la concezione cristiana, araba e medioevale del mondo fisico (v. solare: Sistema solare). Un primo abbozzo del suo sistema C. lo delineò intorno al primo decennio del sec. 16°, in un'operetta dal titolo Nic. Copernici de hypothesibus motuum caelestium a se constitutis commentariolus, che circolò manoscritta tra i contemporanei (e forse Lutero ne ebbe notizia, se nel 1539 parlò di un "nuovo astronomo" come di "un pazzo"), ma che poi andò smarrita e fu ritrovata solo nel 1877. Nel Commentariolus egli espone in forma di postulati i principî del suo sistema mostrando, senza darne per il momento prova matematica, come sia più semplice la spiegazione dei fenomeni celesti mediante l'ipotesi eliostatica, poiché essa richiede un minor numero di sfere per rendere conto dei moti osservabili dei pianeti e dell'alternarsi di giorno e notte e delle stagioni, con l'ammissione della rotazione diurna e della rivoluzione annua della Terra, e la "declinazione" (inclinazione) del suo asse rispetto all'orbita. Il volume più ampio, con le dimostrazioni e la modifica tecnica dell'uso di un epiciclo su un eccentrico anziché di due epicicli, fu il De revolutionibus orbium caelestium, a cui C. lavorò per il resto della vita. I sei libri dell'opera erano già completi quando nella primavera del 1539 Gioacchino Retico, professore a Wittenberg, si recò da C. per conoscerne la dottrina, e già il cardinale Schönberg e l'amico vescovo Tiedemann Giese avevano esortato C. a pubblicare l'opera. Così egli concesse prima al Retico di far uscire a Danzica, nel 1540, un'esposizione del suo sistema, De libris revolutionum Narratio prima (subito ristampata nel 1541, l'anno in cui Melantone parlò della stravaganza di un "astronomo sarmatico che muove la Terra e immobilizza il Sole"), affidandogli poi copia del manoscritto del De revolutionibus, per farlo stampare a Norimberga presso il Petreio, quando Retico nel 1541 tornò in Germania. Ma Retico, trasferitosi a Lipsia nel 1542, affidò la revisione della stampa all'amico teologo Andrea Osiander. C. era ormai malato: fece ancora in tempo a far inserire la sua dedica al papa Paolo III, ma non poté impedire a Osiander di far stampare, anonima, una sua premessa "Ad lectorem". Se, come dice la leggenda, C. ebbe sul letto di morte la prima copia a stampa del suo capolavoro, quella copia già conteneva così gli equivoci che per oltre un secolo segnarono il "copernicanesimo". La premessa di Osiander, infatti, presentava l'ipotesi eliocentrica come semplice accorgimento matematico, senza valore fisico, mentre nella dedica al papa C. insisteva sul significato cosmologico della sua teoria. A Osiander si rifarà il card. Bellarmino, nel vano tentativo di venir incontro al Foscarini e a Galileo, durante il processo del 1615-1616, che finì con la condanna del copernicanesimo da parte della Chiesa cattolica. A C. cosmologo, oltre che matematico, guardavano invece sia Keplero che Galileo. Ed è su questo punto che polemizzeranno copernicani e anticopernicani, anche quando questi ultimi (tra cui il Reinhold, autore delle Tabulae Prutenicae, e Tycho Brahe) si servirono dell'ipotesi copernicana per i calcoli. Ciò è decisivo per valutare il contributo di C. all'astronomia e alla scienza moderna, sebbene già ai tempi dell'Astronomia nova (1609) di Keplero ben poco restasse dei risultati tecnici di C., ancora legati all'uniformità e circolarità dei moti celesti. Del resto, la tesi eliostatica, già presente nei Pitagorici e in Aristarco di Samo, non era una novità assoluta. E l'"umanista" C. ne era certo al corrente, così com'era informato delle riprese ermetiche e degli "entusiasmi" per il Sole del neoplatonismo rinascimentale (fu famoso il De Sole di Marsilio Ficino), e forse già a Cracovia era giunta a C. notizia della tesi di Nicola Oresme sulla rotazione terrestre. Ma questi pur importanti sfondi culturali non bastano per rendere conto della specificità dell'opera di C.; come del resto non è sufficiente, sebbene sia stata forse decisiva nell'indurlo a cercare nuove vie, nemmeno la convinzione neoplatonica, da lui condivisa, circa la semplicità matematica dell'universo, la quale comporta l'armonia e la simmetria delle parti. Era tale convinzione a fargli apparire i tolemaici come degli artisti che, prendendo a modello membra per sé bellissime ma di corpi diversi, ritraessero "un mostro anziché un uomo". Questi sfondi metafisici sono certo operanti in C., perché una metafisica è sempre all'opera nella ricerca scientifica: ma la sua opera nasce anche da un impegno più tecnico, da un confronto della sua ipotesi con le questioni astronomiche e cosmologiche che la sua epoca aveva ereditato dal passato. Il sistema tolemaico aveva difetti tecnici già rilevati anche prima di C.; ed egli, nel 1497 a Bologna, aveva per es. avuto modo di constatare che l'osservazione smentisce la teoria lunare di Tolomeo. E per tutta la vita C. farà osservazioni non numerose ma sempre orientate a mostrare il miglior accordo dell'esperienza con l'ipotesi eliostatica, perché una teoria astronomica deve "salvare i fenomeni" senza rinunciare a quei princìpî che C. condivide con gli antichi: circolarità e uniformità dei moti celesti. Erano invece proprio tali princìpî ad essere per lui violati dall'introduzione tolemaica dei "cerchi equanti". In tutto ciò c'erano motivi tecnici decisivi o per complicare ancor più la spiegazione tradizionale dei moti celesti o per tentare una spiegazione radicalmente innovativa di essi, passando dal geocentrismo all'eliocentrismo. L'originalità di C. fu di affrontare la nuova strada, avendo il coraggio di andare contro corrente e cancellare la distinzione tipica dell'insegnamento del suo tempo, e frutto di una tradizione antica, tra la dottrina dei naturales e quella dei mathematici. Essi avevano in comune solo il geocentrismo e l'uniformità dei moti: ma mentre i secondi si rifacevano all'Almagesto e al suo sistema di epicicli e cerchi deferenti, per calcolare le posizioni degli astri e controllarle poi con l'osservazione, i primi guardavano invece al sistema delle sfere omocentriche di Eudosso e di Aristotele. Questo era un sistema cosmologico, che dava un'immagine fisica del mondo (la stessa immagine che si trova, per es., nella Divina Commedia), ma che non poteva spiegare astronomicamente la diversa distanza, in tempi diversi, dei pianeti dalla Terra. Il sistema dell'Almagesto, al contrario, pur "salvando" meglio i fenomeni, non poteva dare affatto un'immagine reale dell'universo, perché deferenti (concentrici o eccentrici) ed epicicli non erano fisicizzabili in sfere solide e impenetrabili. Così cosmologia e astronomia, nell'antichità e nel medioevo, erano paradossalmente separate e ciò che era vero per l'una non era vero per l'altra. La genialità di C. sta nell'aver realizzato la sintesi di astronomia e cosmologia attraverso l'eliocentrismo, dando inizio a quel cambiamento di prospettiva che portò poi all'unificazione di fisica celeste e fisica terrestre. Una prospettiva non solo metafisica (come fu quella del copernicano Giordano Bruno), ma con l'esigenza tipica della scienza moderna: il controllo rigoroso delle teorie con l'esperienza. C. diede un contributo apprezzabile anche all'economia. Nel De monetae cudendae ratione (trad. it. in Opere di C., 1979), frutto della sua esperienza di amministratore, è per es. formulato chiaramente il principio (detto poi "legge di Gresham") che la moneta cattiva caccia quella buona. ▭ Dei varî ritratti che si hanno di C., quello cosiddetto "del mughetto", conservato a Varsavia (una copia secentesca è posseduta dall'Osservatorio di Monte Mario a Roma), sembra sia stato ricavato da un autoritratto andato perduto. È stata avanzata la suggestiva ipotesi che ritratto giovanile di C. sia la figura del giovane che si trova al centro del quadro I tre filosofi del Giorgione.