Nome generico di veicoli forniti di motore.
Il Codice della strada definisce m. veicoli a motore a 2, 3 o 4 ruote, e li distingue in: motocicli, veicoli a 2 ruote destinati al trasporto di persone, in numero non superiore a 2 compreso il conducente (fig.); motocarrozzette, veicoli a 3 ruote destinati al trasporto di persone, capaci di contenere al massimo 4 posti compreso quello del conducente ed equipaggiati di idonea carrozzeria; m. per trasporto promiscuo, veicoli a 3 ruote destinati al trasporto di persone e cose, capaci di contenere al massimo 4 posti compreso quello del conducente; motocarri, veicoli a 3 ruote destinati al trasporto di cose; mototrattori, m. a 3 ruote destinati al traino di semirimorchi; m. per trasporti specifici, veicoli a 3 ruote destinati al trasporto di determinate cose o di persone in particolari condizioni e caratterizzati dall’essere muniti permanentemente di speciali attrezzature relative a tale scopo; m. per uso speciale, veicoli a 3 ruote caratterizzati da particolari attrezzature installate permanentemente sugli stessi; su tali veicoli è consentito il trasporto del personale e dei materiali connessi con il ciclo operativo delle attrezzature; quadricicli a motore, veicoli a 4 ruote destinati al trasporto di cose con al massimo una persona oltre al conducente nella cabina di guida, ai trasporti specifici e per uso speciale, la cui massa a vuoto non superi le 0,55 t, con esclusione della massa delle batterie se a trazione elettrica, capaci di sviluppare su strada orizzontale una velocità massima fino a 80 km/h. Sono altresì considerati m. i motoarticolati, complessi di veicoli, costituiti da un mototrattore e da un semirimorchio. I m. non possono superare 1,60 m di larghezza, 4,00 m di lunghezza e 2,50 m di altezza. La massa complessiva a pieno carico di un m. non può eccedere 2,5 t.
Nei m. vengono impiegati motori ad accensione comandata a 2 o 4 tempi con raffreddamento ad aria o a liquido; il secondo tipo di raffreddamento si è diffuso soprattutto in conseguenza delle positive esperienze fatte con i mezzi da competizione. I motori a 2 tempi sono apprezzati per la loro semplicità costruttiva e, quindi, di manutenzione, per la leggerezza e le elevate potenze specifiche, ma pongono maggiori problemi di inquinamento da fumi di scarico e hanno consumi/kilometro superiori fino al 30% rispetto a motori a 4 tempi dalle analoghe caratteristiche. I motori a 2 tempi sono usati generalmente su motociclette di piccola cilindrata (fino a 250 cm3) e su ciclomotori. Nei motori a 4 tempi la distribuzione ad albero a camme in testa ha pressoché totalmente soppiantato quella ad aste e bilancieri. Esiste un altro tipo di distribuzione per motori a 4 tempi, quella desmodromica, che determina meccanicamente, oltre all’apertura, anche la chiusura delle valvole. Il numero dei cilindri nei m. di piccola cilindrata è generalmente uno, anche se non mancano motociclette da 125 cm3 bicilindriche. Per le cilindrate maggiori il frazionamento del motore in 2, 3, 4, 6 cilindri è diffusissimo nelle motociclette di impiego stradale, mentre rimangono prevalentemente monocilindrici i modelli fuoristrada. Nei motori a 2 cilindri, questi ultimi possono essere affiancati ‘fronte marcia’, cioè disposti simmetricamente rispetto al piano di simmetria longitudinale del veicolo; oppure possono essere disposti a V, a L o contrapposti, cioè con gli assi perpendicolari rispetto al piano suddetto. Il motore a cilindri contrapposti viene adottato anche in motori a 3 e 4 cilindri. L’accensione avviene generalmente mediante batteria. È frequentemente adottato il sistema di accensione elettronica (detto anche a scarica capacitiva) che è basato sulla corrente di scarica di un condensatore attraverso l’avvolgimento primario di un trasformatore il cui avvolgimento secondario trasmette l’alta tensione alla candela. L’avviamento classico con leva a pedale ha lasciato il passo a quello elettrico, dapprima adottato solo per le elevate cilindrate pluricilindriche, e ora fornito anche su motoleggere monocilindriche e su ciclomotori.
Il primo esemplare di m. si ritiene sia stato costruito in Germania da G. Daimler nel 1886: impiegava un motore a benzina brevettato dallo stesso Daimler, era munito di due ruote in legno tra le quali era montato verticalmente il motore ed era attrezzato con due piccoli rulli laterali, in vicinanza della ruota posteriore motrice, che potevano essere abbassati in funzione dell’equilibrio. Nel 1893 i tedeschi H. e W. Hildebrand e A. Wolfmüller costruirono una bicicletta con motore a benzina, a 4 tempi: le ruote avevano pneumatici, e quella posteriore, motrice, era piena e fungeva anche da volano. Il brevetto fu poi acquistato in Francia dove furono costruiti modelli perfezionati rispetto alla versione tedesca. Sempre nel 1893 nacque il primo m. italiano realizzato da E. Bernardi di Padova. Nel 1895 la società De Dion-Buton applicò un motore a benzina su un triciclo a pedale con trasmissione a ingranaggi a trazione nell’assale posteriore (la produzione, con modelli sempre più perfezionati, durò fino al 1901). Nel 1897 i fratelli M. ed E. Werner costruirono una bicicletta con motore a benzina disposto nella ruota anteriore, e trasmissione a cinghia. Nel 1899 furono costruiti il triciclo a motore Adler, la bicicletta a motore dell’inglese Rosselli e il triciclo a motore della ditta Edoardo Bianchi. Nel 1900, ancora i fratelli Werner realizzarono una motocicletta che, con il motore disposto nella parte inferiore del telaio a metà distanza fra le ruote, può essere considerata la diretta antenata delle attuali.
Nel 1909 in Italia vi erano 8 marche di motocicli, 17 nel 1910. Subito dopo la Prima guerra mondiale, nel 1920, le marche divennero 28 per salire a 95 nel 1927. Il numero prese poi a discendere tanto che all’inizio della Seconda guerra mondiale restavano soltanto 26 marche. Le più note erano la Edoardo Bianchi, la Benelli, la Gilera, la Moto Guzzi e la Mas. Dopo la Seconda guerra mondiale alcune imprese di costruzioni aeronautiche, come la Piaggio e l’Aermacchi, si sono dedicate alla fabbricazione di m.; l’industria ebbe poi un impulso notevole con il lancio delle moto leggere e dei ciclomotori.
Per molti anni la motocicletta ha rappresentato un mezzo di trasporto economico, rivolto a chi non poteva accedere all’automobile; la produzione era concentrata sui veicoli di media e piccola cilindrata. A partire dagli anni 1960, la produzione di motociclette ha subito un periodo di crisi per poi riprendere sostenuta alla metà degli anni 1970, ma con connotazioni diverse: la motocicletta, da veicolo utilitaristico, diviene uno strumento per il godimento del tempo libero, apprezzato soprattutto dai giovani. Da allora l’utilizzo di motociclette_ ha subito un incremento significativo, nonostante diversi provvedimenti restrittivi dovuti a normative di contenimento delle specie inquinanti e all’adozione obbligatoria di sistemi di sicurezza come il casco. Il fortissimo incremento registrato è da ascriversi sostanzialmente alla categoria dei m. di piccola cilindrata. A livello mondiale il mercato delle motociclette è caratterizzato dalla presenza preponderante dei produttori asiatici, i quali coprono circa il 90% della domanda mondiale. Tra questi, i costruttori giapponesi (in particolare Honda, seguito da Yamaha e Suzuki) sono attivi praticamente in tutte le aree del pianeta, con una presenza capillare sia nei mercati asiatici, in tumultuosa crescita, sia in quelli occidentali, più maturi e sofisticati (Europa e Stati Uniti), mentre nessuno degli operatori europei dispone di una gamma completa di modelli, né può contare su volumi di vendite importanti. I costruttori europei sono essenzialmente operatori di nicchia, specializzati generalmente su un segmento di mercato (per es., Piaggio tradizionalmente focalizzato sui ciclomotori). Nell’Unione Europea si segnala anche la costante crescita delle vendite realizzate dalle case del Sud-Est asiatico (soprattutto Taiwan e Corea).