Situazione nella quale, per cause espressamente previste dalla legge, i coniugi possono venirsi a trovare in forza di provvedimento del giudice o per loro volontà, e a seguito della quale cessa l’obbligo della coabitazione derivante dal matrimonio, pur restando inalterato il vincolo matrimoniale.
Separazione giudiziale. - La legge prevede una separazione giudiziale, che può essere chiesta quando si verifichino, anche indipendentemente dalla volontà di uno o entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole. In ossequio a un principio di favore per il vincolo matrimoniale, la riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione già proposta (art. 154 c.c.). Il giudice nel pronunciare la separazione dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151 c.c.). La competenza sulla domanda di separazione, che si propone con ricorso, è attribuita al tribunale. Il procedimento è regolato specificamente dal codice di procedura civile (art. 706-711), ma la relativa disciplina deve essere integrata da quella prevista per l’analogo procedimento di scioglimento del matrimonio dall’art. 4, l. n. 898/1970; infatti, fino all’entrata in vigore del nuovo testo del codice, tali regole si applicano, in quanto compatibili, anche ai giudizi di separazione personale (art. 23, l. n. 74/1987). È prevista una prima fase davanti al presidente del tribunale: questi fissa con decreto la comparizione personale dei coniugi e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto; sente i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente tentando di conciliarli (in caso positivo redige processo verbale della conciliazione); dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti ritenuti opportuni nell’interesse dei coniugi e dei figli; nomina il giudice istruttore davanti al quale il giudizio sarà trattato fino alla decisione da parte del tribunale. Nella sentenza il giudice, che deve tener conto dell’eventuale accordo delle parti, dichiara a quale dei coniugi sono affidati i figli e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, stabilendo in particolare la misura e il modo in cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli. Con l’entrata in vigore della l. n. 54/2006 il giudice, per realizzare i primari interessi della prole, valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori siano affidati a entrambi i genitori (cosiddetto affidamento condiviso) oppure stabilisce a quale di essi sono affidati. Può disporre l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori, qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore (art. 155 bis c.c.). Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità. I coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e le disposizioni relative alle misure e alle modalità del contributo. Quanto agli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i due coniugi, il nuovo testo dell’art. 156 c.c. è sensibilmente innovativo rispetto al precedente, la cui disciplina era regolata soprattutto in riferimento al coniuge colpevole, che perdeva ogni diritto patrimoniale derivante dal matrimonio, salvo il diritto agli alimenti. Secondo la nuova disciplina, invece, che prescinde dal concetto di colpa, il giudice stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri, determinando l’entità della somministrazione in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato e fermo in ogni caso l’obbligo di prestare gli alimenti. I provvedimenti del giudice sono revocabili o modificabili, su istanza di parte, quando sopraggiungono giustificati motivi. Il tribunale, secondo le circostanze, può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e può autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall’uso possa derivarle grave pregiudizio (art. 156 bis c.c.). I coniugi possono però di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice (art. 157 c.c.).
Separazione consensuale. - In caso di separazione consensuale il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione da parte del tribunale (art. 158 c.c.). Il ricorso può essere proposto congiuntamente da entrambi i coniugi; se è presentato da uno solo dei due il presidente dispone la loro comparizione personale secondo le norme previste per la separazione giudiziale. Se la conciliazione riesce, si dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole. Il giudice può rifiutare l’omologazione quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli sia in contrasto con l’interesse di questi e i coniugi non provvedano a idonee modificazioni. Le condizioni della separazione consensuale possono sempre essere modificate nelle forme e con i limiti stabiliti per la separazione giudiziale. Il decreto di omologazione costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (cfr. sent. n. 186/1988 Corte cost., in relazione all’art. 158 c.c.).
Separazione di fatto. - La separazione di fatto (che sussegue, per esempio, a un accordo tra i coniugi non omologato), non produce gli stessi effetti della separazione legale, ma non è irrilevante per il diritto: l’adozione di minori, per esempio, è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni e che non siano separati neppure di fatto (art. 6 l. n. 184/1983).