Ventitreesima lettera dell’alfabeto latino, usata in italiano in latinismi, grecismi e altri prestili non del tutto adattati.
La x corrisponde come forma alla lettera greca X (chi), che rappresentava nella pronuncia antica il suono kh. Negli alfabeti della Magna Grecia X era usata con il valore proprio della lettera Ξ (csi), indicando la sequenza di suoni ks, e con questo valore l’accolsero nel loro alfabeto i Romani. La forma della lettera si è conservata senza modificazioni negli alfabeti moderni; e anche il valore fonetico è rimasto generalmente quello di ks nelle lingue ad alfabeto latino. Accanto a questa pronuncia fondamentale, varie lingue conoscono tuttavia una pronuncia più o meno sonorizzata all’interno di parola tra vocali (sp. examen; fr. examen; ingl. examen) oppure, in quella o in altre posizioni, una pronuncia semplificata con perdita dell’elemento velare (sp. extraño; port. exame, con sonorizzazione e semplificazione insieme). Entrambi questi fenomeni riguardano il trattamento dei latinismi e grecismi, e sono comuni anche alla lingua italiana e alla lettura italiana del latino.
La lettera x ha normalmente in italiano il valore di ks, che si può alternare in determinati casi con ġʃ: rappresenta sempre, insomma, un gruppo di consonanti estraneo alla fonetica popolare italiana, che non solo non si incontra mai in parole di tradizione ininterrotta, ma nelle stesse parole dotte è sostituito il più delle volte, anche nella scrittura, da una semplice s, doppia o scempia secondo i casi. In parole popolari, l’x latino è continuato da s se preceduto o seguito da altra consonante (es., cinsi, lat. cinxi; giunsi, lat. iunxi), ora da ss ora da šš se intervocalico (es., sasso, lat. saxum; vissi, lat. vixi), da š se divenuto, da intervocalico, iniziale (es., sciame, lat. examen; sciagurato, lat. exauguratus). Anche nella lettura scolastica del latino durante il Medioevo dovette aver luogo di frequente un’assimilazione simile a quella che si era sviluppata nelle voci popolari; soltanto, il punto di partenza non fu sempre ks (da cui ss), ma in diversi casi fu ġʃ (da cui ʃ, non essendo possibile in italiano ʃʃ). Così, nei latinismi abbiamo s da x iniziale di parola, o preceduto o seguito da altra consonante (es., ansia, dal lat. anxia; esprimere, dal lat. exprimere), ss da x intervocalico nella maggior parte delle voci (es., Alessandro, dal lat. Alexander; frassino, dal lat. fraxinus), ma ʃ nelle numerose voci con ex- (o anche hex-, exh-, exs-) prevocalico e in poche altre (es., ausilio, dal lat. auxilium; esame, dal lat. examen; esilio, dal lat. exilium).
Con il simbolo X si indica uno dei cromosomi sessuali; l’altro, presente nel sesso eterozigote, si indica con Y. Sindrome da X fragile Malattia ereditaria monogenica determinata da mutazione del cromosoma X e caratterizzata da ritardo mentale; colpisce approssimativamente un individuo su 4000 in tutti i gruppi etnici ed è quindi la forma ereditaria di ritardo mentale più comune nella specie umana. A livello citogenetico, la malattia è caratterizzata dalla presenza di un sito fragile (FRAXA, fragile site, X-chromosome, site A) localizzato sul braccio lungo del cromosoma X (Xq27.3). L’analisi del cariotipo, che permette di evidenziare il sito fragile, si effettua a partire da metafasi ottenute da colture di linfociti dei soggetti affetti, allestite in terreni privati dell’acido folico.
Il 20% dei maschi portatori obbligati ha un cariotipo normale e non presenta ritardo mentale; tali individui sono pertanto definiti maschi trasmettitori sani; circa il 30% delle femmine portatrici obbligate è lievemente o moderatamente ritardato, ma il ritardo mentale è presente solo quando la mutazione è ereditata dalla madre e non quando è ereditata da un padre trasmettitore sano. Il rischio di ritardo mentale è molto più alto nei nipoti (figli di figlie) di un maschio trasmettitore sano che non nei suoi fratelli e sorelle. Quindi la penetranza della mutazione responsabile della malattia è correlata alla posizione del soggetto nell’albero genealogico e il suo valore sembra aumentare nelle generazioni successive, mostrando perciò il fenomeno dell’anticipazione (➔). Le caratteristiche peculiari dell’eredità della sindrome sono state delucidate dopo la clonazione e la caratterizzazione del gene coinvolto, designato FMR1 (fragile X mental retardation 1), avvenuta nel 1991. Il difetto genico identificato nella sindrome ha costituito, infatti, la prima dimostrazione di mutazione dinamica dovuta all’espansione di ripetizione di trinucleotidi. Il gene FMR1 ha una grandezza di 38 kb, contiene 17 esoni e una ripetizione polimorfica di triplette CGG nella sequenza non tradotta del primo esone. Nella popolazione normale questa ripetizione CGG varia da 6 a circa 50 unità, con un numero medio di 30 unità, mentre negli individui affetti queste ripetizioni sono fortemente espanse, essendo presenti in numero da 230 fino a centinaia o migliaia. Quando il numero delle triplette è superiore a 230 unità, l’estremità 59 del gene subisce un eccesso di metilazione che determina l’arresto della trascrizione del gene stesso. Si ipotizza che l’assenza dell’RNAm e quindi della proteina (FMRP) sia responsabile delle manifestazioni cliniche della sindrome. Nelle femmine portatrici obbligate e nei maschi trasmettitori sani è presente un numero di ripetizioni CGG compreso tra circa 50 e 230; in questa condizione, definita premutazione, non si verifica la metilazione della regione 59 del gene FMR1 e quindi la proteina FMRP viene normalmente espressa. Questo spiega l’apparente assenza di effetti clinici della premutazione nei soggetti portatori. La premutazione diventa instabile quando viene trasmessa da una generazione all’altra e, in particolare, solo le donne portatrici della premutazione hanno un rischio di avere prole (maschi e femmine) con mutazione completa e quindi affetta dalla sindrome. Il rischio di espansione da premutazione a mutazione completa è proporzionale al numero di ripetizioni: è inferiore al 20% quando il numero di triplette è inferiore a 70, mentre è superiore all’80% quando il numero di triplette è superiore a 80. L’espansione di triplette, che comporta un aumento della penetranza della sindrome nelle generazioni successive, si verifica anche durante la mitosi e questo evento determina una diversità nel numero delle triplette nei diversi tessuti degli individui affetti (mosaicismo). Tutti i maschi che hanno la mutazione piena sono clinicamente affetti, mentre le femmine eterozigoti hanno fenotipo eterogeneo, probabilmente in relazione alle modalità di inattivazione del cromosoma X. La proteina FMRP, che è normalmente espressa nel citoplasma dei neuroni e degli spermatogoni, presenta i domini caratteristici delle proteine capaci di legarsi all’RNA e interagisce con la subunità 60S dei ribosomi. Sulla base di queste caratteristiche, si ritiene che la proteina FMRP sia coinvolta nel trasporto di molecole di RNAm dal nucleo al citoplasma e nella traduzione di specifiche proteine.
Dal 1995 è disponibile un saggio, basato sull’uso di anticorpi contro la proteina FMRP, che si è rivelato molto affidabile per rilevare la presenza o l’assenza della proteina stessa nei linfociti degli individui con sospetto diagnostico di sindrome FRAXA. La conferma della diagnosi, la diagnosi prenatale e l’individuazione delle donne portatrici sono comunque basate su analisi del DNA eseguite con i metodi di Southern blotting (➔ blotting) e PCR (➔).
fisica
Raggi X Particolari radiazioni elettromagnetiche (➔ raggio).
In elettrotecnica, X è simbolo della reattanza.