Complesso delle regole e delle usanze relative all’arte culinaria, che nella preparazione dei cibi privilegia l’aspetto del godimento dei sensi rispetto ai bisogni meramente nutrizionali. La g. ha per oggetto la preparazione dei cibi, la loro successione e il loro accostamento durante il pranzo o la cena, la scelta delle bevande adeguate (sempre vini nelle grandi occasioni), il rituale del servizio e della distribuzione delle parti tra i commensali, nonché le differenze qualitative e quantitative tra i vari pasti della giornata, della settimana e del calendario annuale, la funzione distintiva di un pranzo di nozze o di gala, le modificazioni del gusto. Il termine viene usato, in senso traslato, per indicare esercizi pubblici forniti di specialità culinarie.
La g., intesa come arte che prescinde dalla pura e semplice preparazione del cibo, comincia a formarsi con il raffinarsi del gusto avvenuto a partire dal Rinascimento. Compaiono allora i primi grandi trattati, come La fleur de toute cuisine di P. Pidoux (1540) o Banchetti, composizioni di vivande et ;apparecchio generale di Cristoforo di Messi Sbugo (1549). La cucina italiana, esportata alla corte di Parigi da Caterina de’ Medici, diventa famosa in tutta Europa. Si diffondono, così, le paste all’italiana, ottenute dalla sfoglia casalinga, di cui Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio V, fornisce un elenco completo, dagli ‘annolini’ alle tagliatelle.
Nel Seicento la corte di Luigi XIV impone nuove regole del gusto, per cui nella preparazione dei cibi viene privilegiata la qualità rispetto alla quantità. La preparazione diventa raffinata, ricercata e leggera. La g. acquista rilevanza sociale quando non viene più unicamente coltivata in piccoli gruppi esclusivi, ma diventa accessibile a una cerchia più ampia. Questo processo di istituzionalizzazione può essere esemplarmente documentato dalla grande cuisine francese, nella quale il gusto sensoriale-estetico è il principio ispiratore dell’arte culinaria.
Premessa fondamentale per lo sviluppo della grande cuisine è stata, all’epoca della Rivoluzione francese, la fondazione di ristoranti pubblici, aperti a chiunque disponesse di sufficienti mezzi finanziari; in tal modo l’arte culinaria non fu più prerogativa esclusiva del ceto aristocratico e non fu più influenzata dal gusto specifico di questo. In conseguenza di ciò, i cuochi si sono trasformati in ristoratori di professione, desiderosi di essere riconosciuti come veri e propri artisti, sottoponendo l’attività culinaria a continui cambiamenti estetici, peraltro necessari per poter sopravvivere economicamente. In secondo luogo, si è andata affermando la figura del buongustaio, in possesso di un raffinato gusto sensoriale-estetico, frutto di educazione. Per la propria formazione i buongustai si sono serviti della nascente letteratura gastronomica e ‘gastrosofica’ in cui si dibatteva e si cercava di definire l’aspirazione estetica nell’arte culinaria. Opere importanti sono state l’Almanach des gourmands e Le manuel des amphitryons di B. Grimod de la Reynière (1803 e 1808) e La physiologie du goût di A. Brillat-Savarin (1833). Quest’ultima costituisce una sorta di statuto scientifico della g., intesa come ‘conoscenza ragionata’ di tutto ciò che ha rapporto con l’alimentazione dell’uomo. In terzo luogo, si sono formati alcuni professionisti del settore, cioè degustatori enogastronomici, la cui principale attività consiste nel valutare i ristoranti e nel pubblicare guide gastronomiche. Tali elementi sono ancora oggi alla base della g. istituzionalizzata.
Negli ultimi decenni del 20° sec., l’accresciuto benessere nelle società industrializzate ha fatto sì che la g. abbia acquistato una sempre maggiore importanza sociale e si sia sviluppata a rilevante settore economico, grazie anche alla diffusione dei fast food, per il consumo di pasti veloci e a costo contenuto, e del catering, per l’organizzazione di banchetti. Deve essere segnalata, alla metà degli anni 1970, l’affermazione a livello internazionale della nouvelle cuisine, raffinata ed elegante, che si propone di saziare senza appesantire e di rendere il cibo gradevole anche alla vista. Successivamente, si è prodotta una rivalutazione della grande cucina, legata alle tradizioni, e delle cucine regionali, in particolare di quella mediterranea, ricca di fibre, nella quale prevalgono le paste a base cereale, i legumi e l’olio d’oliva. Sempre in questi anni si diffonde, pur adeguandosi ai gusti occidentali, la cucina cinese. I piatti, molto vari, che le numerose ricette propongono, sono dominati da vegetali e legumi; i cibi sono cotti a vapore o soffritti ad alta temperatura in olio di soia. Non va infine dimenticata la grande diffusione della pizza, nata come cibo povero e facilmente approntabile (una schiacciata di pane cotta al forno con pomodoro, mozzarella e aromi), che è ormai diffusa in tutto il mondo in una infinità di varianti.
Nel concetto di g. il mangiare e il bere non vengono considerati come necessità corporee, bensì come fonti di piacere e a tal fine è esplicitamente indirizzata l’attività culinaria. Lo scopo naturale dell’alimentazione, vale a dire quello di fornire all’organismo l’energia e i nutrienti necessari per il suo mantenimento e il suo sviluppo, appare secondario, mentre passa in primo piano l’idea culturale del cibo come godimento. Il mangiare e il bere si conformano quindi al metro del gusto e del piacere estetico, attribuendo ad aspetti corporei come la fame e la sazietà soltanto un’importanza relativa. Per altro verso, la g. si contrappone anche alla golosità, cioè alla smodata e istintuale soddisfazione dei bisogni alimentari. La sociologia tende a spiegare la ricerca del piacere nel mangiare con la natura peculiarmente sensoriale di tale attività. Con questa impostazione contrasta, tuttavia, la tendenza degli intenditori, riscontrabile a ogni latitudine e in ogni periodo storico, a elaborare teorie su come potenziare i piaceri del palato, in un’ottica secondo la quale l’odorato e il gusto sono sensi suscettibili di educazione e di intellettualizzazione allo stesso modo della vista e dell’udito: ne sarebbe prova l’esistenza di culture e linguaggi enologici differenziati. La storia dell’alimentazione diventa, da questo punto di vista, anche storia del gusto e del piacere. È evidente, comunque, che solo di rado l’attività culinaria si propone il fine esclusivo del piacere, trascurando gli aspetti della commestibilità e delle facoltà nutritive. C’è invero un’ampia scala di gradazioni che va dal desiderio che i prodotti preparati abbiano un sapore particolarmente buono a un’accentuata ricerca estetica. Occorre notare che i concetti di g. e di gusto sono socialmente determinati. Soltanto quei ceti che dispongono di sufficienti mezzi materiali sono in condizione di considerare il mangiare innanzi tutto come piacere, ponendo in secondo piano gli aspetti nutrizionali.