La libertà di esprimere le proprie convinzioni e le proprie idee è una delle libertà più antiche, essendo sorta come corollario della libertà di religione, rivendicata dai primi scrittori cristiani nel corso del II-III secolo e, successivamente, durante i conflitti tra cattolici e protestanti (XVI-XVII secolo). D’altra parte, essa è stata sollecitata anche dai grandi teorici della libertà di ricerca scientifica (basti pensare a Cartesio o a Galileo) e della libertà politica (ad esempio, Milton), nonché, successivamente, dagli stessi filosofi del XVIII e del XIX secolo (Voltaire, Fichte, Bentham, Stuart Mill). Va detto, comunque, che soltanto in alcuni documenti costituzionali si parla di libertà di manifestazione del pensiero (art. 8 Cost. Francia 1848; art. 21 Cost.), laddove in altri testi si preferisce utilizzare l’espressione libertà di opinione (art. 11 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese 1789; art. 8 Cost. Francia 1814; art. 7 Cost. Francia 1830; tit. VI, art. IV, par. 143, Cost. Francoforte 1849; art. 118 Cost. Germania 1919; art. 5 Legge fondamentale Germania 1949; art. 20 Cost. Spagna 1978; art. 16 Cost. Svizzera 1999), libertà di parola (I emendamento Cost. U.S.A. 1787) o libertà di stampa (art. 18 Cost. Belgio 1831; art. 28 Statuto albertino).
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, la libertà di manifestazione del pensiero si colloca quasi a metà tra le libertà individuali e le libertà collettive, nel senso che la ragione della sua tutela risiede sia nell’interesse individuale di testimoniare i propri convincimenti, sia nell’interesse generale al progresso in qualunque campo attraverso il libero confronto delle varie opinioni. Alcuni studiosi – ad esempio, C. Esposito – ne hanno sottolineato il carattere di diritto individuale, laddove altri – ad esempio, C. Mortati – ne hanno enfatizzato il carattere funzionale. Va sottolineato, però, che la seconda tesi è ormai minoritaria, sia in dottrina che nella giurisprudenza.
La libertà di manifestazione del pensiero è stata definita dalla giurisprudenza costituzionale come la «pietra angolare dell’ordine democratico», in quanto «condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale»: secondo la stessa Corte costituzionale, essa consisterebbe nella libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti. Di conseguenza, nella libertà di libertà di manifestazione del pensiero non rientra solo la c.d. libertà di opinione, ma anche la c.d. libertà di cronaca (Diritto all’informazione). La dottrina ha poi sostenuto che l’art. 21 Cost. protegge anche il c.d. diritto al silenzio, cioè il diritto di non manifestare opinioni o commenti su un fatto, sulla base della giurisprudenza costituzionale, che ha riconosciuto un diritto di non rivelare le proprie convinzioni. Non sono protette dall’art. 21 Cost., invece, le manifestazioni del pensiero altrui, né le manifestazioni del pensiero soggettivamente false (cioè, ritenute dallo stesso soggetto che le pone in essere non conformi a verità): da qui la legittimità costituzionale delle disposizioni che sanzionano il dolo, la menzogna, l’inganno, il raggiro, la frode, l’impostura, nonché quelle sulla c.d. proprietà letteraria. È stato, inoltre, escluso che l’art. 21 Cost. si riferisca alla pubblicità commerciale.
* I limiti della libertà di manifestazione del pensiero. - Per quanto riguarda i limiti della libertà di manifestazione del pensiero, è ormai pacificamente ammesso che essa incontri, oltre a quello del buon costume, inteso come rispetto del comune senso del pudore, anche quelli derivanti dalla necessità di proteggere altri beni di rilievo costituzionale. In particolare, vengono in evidenza i limiti derivanti dalla tutela dell’onore e della reputazione della persona, desumibili dalla pari dignità sociale di tutti i cittadini (art. 3, co. 1, Cost.), i quali legittimano la punizione dei reati di ingiuria e di diffamazione, previsti agli artt. 594 ss. c.p. Più problematica appare, invece, la repressione dei reati di vilipendio: la Corte costituzionale ha precisato che esso si configura non con la mera critica, ma con l’additare le istituzioni, i simboli o le persone al pubblico disprezzo, inducendo i cittadini a disobbedirvi. Un ulteriore limite alla libertà di manifestazione del pensiero è senz’altro la tutela della riservatezza della persona, che viene ad evidenza, in particolare, nel suo necessario bilanciamento (Bilanciamento costituzionale) con il diritto di cronaca.
Oggetto di forti discussioni in dottrina, invece, è l’esistenza del limite dell’ordine pubblico: alcuni studiosi – come C. Esposito – lo hanno negato recisamente, mentre altri (Paladin), sulla base della giurisprudenza costituzionale, lo hanno pacificamente ammesso, seppure circoscritto alla nozione di ordine pubblico materiale, assimilabile a quella di sicurezza pubblica.
Sebbene l’art. 21, co. 1, Cost. garantisca la libertà di manifestazione del pensiero con qualunque «mezzo di diffusione», i rimanenti commi dell’art. 21 Cost. disciplinano uno strumento in particolare, cioè la stampa. È stato giustamente notato che, su questo punto, la nostra Costituzione sconta un mancato aggiornamento, con particolare riferimento non solo alla radiotelevisione, ma anche alle più recenti forme di manifestazione del pensiero (ad esempio, internet).
L’art. 21, co. 2, Cost. detta il principio generale in base il quale non è ammessa alcuna autorizzazione preventiva o censura nei confronti della stampa, essendo consentito soltanto il (successivo) sequestro. Analogamente a quanto previsto in tema di libertà personale, anche i provvedimenti limitativi della stampa (sequestro) sono soggetti a una duplice garanzia: la riserva di legge e la riserva di giurisdizione. Il provvedimento di sequestro, infatti, necessita di un atto motivato dell’autorità giudiziaria (Magistratura. Diritto costituzionale) e può avvenire solo per quei casi che la legge sulla stampa autorizza espressamente o qualora vi sia una violazione delle disposizioni che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili (art. 21, co. 3, Cost.). Nei casi in cui sussista un’assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro può essere effettuato dagli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali dovranno entro ventiquattro ore farne denuncia all’autorità giudiziaria, la quale, a sua volta, dovrà convalidarlo entro le successive ventiquattro ore. In mancanza di convalida entro le ventiquattro ore, il sequestro si intende revocato.