sviluppo econòmico Fenomeno durevole nel tempo consistente nella crescita di alcune variabili reali del sistema: produzione, consumi, investimenti, occupazione. In politica economica, per politica dello sviluppo economico si intende la creazione delle condizioni favorevoli allo sviluppo economico e anche l'elaborazione e l'attuazione di piani organici di investimenti pubblici e la coordinazione di investimenti privati.
Con specifico riferimento all'ambito macroeconomico, come indice del grado di sviluppo economico raggiunto da un paese si utilizza in genere la variabile del reddito reale per abitante o il prodotto interno lordo pro capite. Questo indice sintetico, tuttavia, è stato sottoposto a forti critiche, in quanto dalla sua evoluzione nel tempo non possono essere tratte valutazioni né sul livello di benessere raggiunto da un paese né, tanto meno, sulla distribuzione del reddito al suo interno. Per questo motivo si ricorre ad altri parametri, quali la struttura per età della popolazione (che nei paesi in via di sviluppo è caratterizzata da alti tassi di natalità) o l'indice della qualità fisica della vita (che tiene conto della speranza di vita, la quale si riduce in proporzione all'aumento della povertà, della mortalità infantile ecc.).
Sin dalla fine della Seconda guerra mondiale numerosi paesi in via di sviluppo (→ PVS) hanno fatto ricorso al prestito estero, concesso da privati, governi od organismi internazionali quali il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, per finanziare gli investimenti interni a causa del loro basso livello del risparmio. Nel corso del 20° sec., l'eccessivo ricorso al finanziamento proveniente dall'estero e condizioni avverse sui mercati interni e internazionali (quali fluttuazioni dei cambi, recessioni economiche ecc.) hanno portato gli organismi internazionali a rinegoziare il debito estero e, in alcuni casi, a cancellare parte dei finanziamenti stessi.
approfondimento di Fabio Massimo Parenti
Lo sviluppo economico rappresenta un tema centrale dell'economia e delle scienze sociali in genere. Tuttavia troppo spesso viene confuso o fatto coincidere tout court con la crescita economica. In realtà si tratta di questioni diverse: la crescita dell'economia è necessaria ma non sufficiente allo sviluppo economico, che, a differenza del primo concetto, è etimologicamente connotato da una maggiore attenzione verso la qualità, ossia verso ciò che non è sempre calcolabile (come il benessere, l'utilità e l'equità sociale). Lo sviluppo economico, infatti, non è solo materiale ma corrisponde anche a una condizione di progresso sociale (sviluppo sociale) e, in tempi più recenti, anche di compatibilità ambientale (sviluppo sostenibile).
Una interpretazione dello sviluppo economico fa diretto riferimento al processo di modernizzazione. In questo caso si adotta un approccio unilineare per il quale lo sviluppo economico è il punto di arrivo di un processo storico, che, da una condizione di economia tradizionale e di arretratezza, si muove in qualsiasi parte del mondo lungo la stessa traiettoria e con fasi di sviluppo simili. Semplificando: da una società prevalentemente agricola, poco specializzata e dotata di uno scarso livello di sviluppo tecnico, si passa progressivamente a fasi di industrializzazione e inurbamento diffuso della popolazione. Un processo in cui cambia pertanto l'organizzazione e la composizione settoriale della produzione (e, di conseguenza, della natura e della dimensione delle imprese) e dell'occupazione, in un primo momento a favore dell'industria e, più tardi, dei servizi, mentre nel contempo aumenta la disponibilità di capitale, si articola maggiormente la divisione del lavoro e si hanno significative innovazioni tecnologiche. Gli effetti di questi sviluppi coinvolgono numerosi aspetti economici come le propensioni al consumo e al risparmio, e l'aumento della domanda di servizi avanzati, a loro volta condizionati da nuove condizioni sociali che implicano la diffusione e il miglioramento dei sistemi d'istruzione e una crescente circolazione di informazione. Questa interpretazione, che si basa sul dualismo tradizione/modernità di T. Parsons, e sulla teoria degli stadi di sviluppo dello storico dell'economia W.W. Rostow (1916-2003; società tradizionale, condizioni preliminari per il decollo, decollo, maturità di sviluppo, grande sviluppo di massa), è un modo utile per vedere e sintetizzare i fattori comuni ai vari processi di sviluppo, ma risulta nel contempo limitata nel cogliere le specificità storiche e soprattutto il rapporto complicato fra fattori endogeni ed esogeni che intervengono nello sviluppo di una data area geografica. Sia il mondo capitalistico sia quello socialista sono stati influenzati da questo approccio unilineare: il primo vedeva nel consolidamento del capitalismo la fase più alta di sviluppo delle società umane, mentre il secondo individuava il comunismo come il punto di arrivo di un lungo processo evolutivo, che però doveva passare da un'esperienza capitalistica per la sua realizzazione.
L'evoluzione delle scienze sociali ha tuttavia elaborato, nel corso degli anni, altri approcci: in partic. l'approccio storico-multifattoriale di A. Gerschenkron (1904-1979) e di B. Moore junior (1913-2005) ha mostrato l'esistenza di più vie allo sviluppo, coerentemente a ciò che si registra empiricamente: infatti i sistemi capitalistici risultano storicamente differenziati, per quanto riguarda il ruolo dello Stato e per la diversità di condizioni storico-culturali dei paesi poveri. Una interpretazione multilineare è suggerita in partic. dai numerosi studi sul rapporto sviluppo/sottosviluppo.
L'approccio multilineare si compone di due filoni. L'interpretazione neomarxista allo sviluppo economico intende superare la dicotomia tradizione/modernità, facendo riferimento al rapporto fra sviluppo e sottosviluppo. In questo caso il sottosviluppo di molti paesi era letto anche in base all'azione dei fattori globali esogeni (per es., colonialismo e neocolonialismo) che intervenivano ad alimentare certe condizioni di arretratezza o di ammodernamento. Non è un caso che G. Frank, uno dei più importanti esponenti di questa tradizione, abbia parlato di "sviluppo del sottosviluppo", intendendo quel processo internazionale attraverso il quale i paesi sviluppati del centro si avvantaggiavano di risorse e manodopera a basso prezzo dei paesi della periferia. Questa condizione di dipendenza, subita dalla periferia e gestita dal centro, ha permesso di inserire il tema complesso dello sviluppo economico in un quadro più ampio, capace di contemplare l'azione degli organismi finanziari internazionali e delle imprese multinazionali, nonché la forma e le ragioni dello scambio internazionale. Nel contempo si sviluppava un intenso dibattito sul ruolo dello Stato nell'economia (sempre in relazione allo sviluppo economico) che, alla luce di diverse e complesse esperienze storiche, ha portato a un indebolimento della tradizione statalista novecentesca di stampo keynesiano e al rafforzamento della cd. dottrina neoliberale, la quale abbina a un rifiuto dell'economia dello sviluppo (vista come disciplina statalista) la fusione fra alcune idee tratte dall'economia neoclassica e una politica antistatalista e mercantilista. Abbraccia ambedue i filoni un approccio 'istituzionalista' allo sviluppo economico. La celebre opera di A. Smith, La ricchezza delle nazioni, intendeva spiegare le origini e le cause di questa ricchezza. Ma a distanza di due secoli e mezzo gli economisti ancora non sono riusciti a darne una spiegazione compiuta. Tuttavia, come detto, un ruolo cruciale sembra essere giocato dalle istituzioni nel garantire un equilibrato rapporto fra i poteri fondamentali (legislativo, esecutivo, giudiziario), un quadro normativo di certezza dei contratti, un ambiente sociale orientato alla ricerca del consenso, una burocrazia efficiente, una tensione verso l'eguaglianza nella dignità e nel censo.