Sigla di Fondo Monetario Internazionale (IMF, International Monetary Fund), istituto sorto, insieme con la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Banca Mondiale), dalla conferenza delle Nazioni Unite tenuta a Bretton Woods nel luglio 1944 ed entrato in funzione il 27 dicembre 1945. Ha sede a Washington – dato che gli USA hanno contribuito alla sua dotazione iniziale con la maggiore quota (2750 milioni di dollari, pari al 33,80% del totale) – ed è retto da un consiglio dei governatori (in cui tutti gli Stati membri sono rappresentati) e da un consiglio di direttori esecutivi o amministratori.
L’FMI è nato con l’intento di promuovere la cooperazione monetaria internazionale e la stabilizzazione dei cambi, facilitare l’espansione e la crescita equilibrata del commercio mondiale, aiutare gli Stati membri a correggere temporanei squilibri nelle bilance dei pagamenti. Il numero dei paesi membri, originariamente 44, è salito progressivamente fino a 187. Ciascun paese contribuisce alla dotazione dell’FMI tramite una quota (calcolata in base ai principali indicatori economici nazionali) che viene versata per il 75% in moneta nazionale e per il 25% in valuta di riserva e diritti speciali di prelievo.
L’insieme delle disposizioni originarie rappresentò un compromesso tra la tesi del ritorno puro e semplice al sistema aureo e la tesi, sostenuta soprattutto da J.M. Keynes, di una moneta manovrata, e rese flessibile il meccanismo di Bretton Woods, pur ponendo ancora l’oro alla base dei sistemi monetari degli Stati aderenti. Infatti nel gold exchange standard, sistema di tassi di cambio fissi ma aggiustabili, ciascun paese fissava una parità iniziale della propria unità monetaria con il dollaro o l’oro e si impegnava a mantenerla entro limiti di oscillazione dell’1% al di sopra e al di sotto. La parità iniziale poteva essere ufficialmente variata sino al 10%, mentre per mutamenti di entità superiore, motivati solo da uno squilibrio grave e permanente tra il corso dei cambi e i fattori economici da cui esso dipende, il paese doveva richiedere l’autorizzazione dell’FMI. Gli strumenti di finanziamento di breve periodo concessi dall’FMI per la difesa del tasso di cambio e la correzione degli squilibri nelle bilance dei pagamenti sono, a esclusione dei prelievi automatici concessi in misura limitata, crediti condizionati al perseguimento di determinate misure di politica economica e monetaria atte a riassorbire in breve tempo lo squilibrio originale. Diverse facilitazioni creditizie furono inoltre predisposte negli anni 1970 per fronteggiare le difficoltà causate dalla crisi petrolifera e dalla forte oscillazione nei prezzi delle materie prime. Ma gli squilibri delle varie bilance dei pagamenti si sono dimostrati ben più gravi e meno sanabili con prestiti a breve di quanto si era immaginato. Le risorse dell’FMI sono risultate spesso inadeguate, nonostante siano state più volte aumentate le quote di partecipazione e siano stati stipulati, a partire dal 1962, gli accordi generali di prestito, con i quali i paesi del Gruppo dei dieci (➔) si impegnano ad assicurare all’FMI risorse addizionali.
L’attività dell’FMI ha favorito senz’altro il raggiungimento di importanti obiettivi, quali il ‘multilateralismo degli scambi’ con il ripristino della convertibilità esterna delle monete (1958) e la progressiva abolizione delle discriminazioni e dei controlli di carattere valutario e degli ostacoli al commercio internazionale. Già dagli anni 1960 però incominciarono a verificarsi inconvenienti che incrinarono progressivamente il sistema monetario creato con gli accordi di Bretton Woods: intensificazione dei movimenti di capitale tra i vari paesi, movimenti che l’FMI ritenne di finanziare per difendere le monete che ne erano maggiormente colpite, quantunque ciò non rientrasse tra i suoi compiti statutari; difficoltà a imporre politiche di riequilibrio sia ai paesi persistentemente deficitari sia ai paesi largamente eccedentari; creazione sovrabbondante di dollari, che i paesi membri erano costretti ad accettare in base agli obblighi inerenti al mantenimento di cambi fissi. Tutto ciò, attraverso varie crisi, portò, nell’agosto 1971, alla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro e, nel dicembre dello stesso anno, all’ampliamento dei margini di oscillazione dei cambi (dall’1% al 2,25% al di sopra e al di sotto della parità). Nonostante i diversi riallineamenti operati tra le valute successivamente all’esplosione della crisi, alcuni paesi decisero di adottare la libera fluttuazione della propria moneta rispetto alle altre valute. Nel 1976 l’impossibilità del mantenimento di un sistema internazionale di tassi di cambio fissi fu definitivamente sancito attraverso il riconoscimento della libertà per ciascuno Stato di adottare il regime di cambio preferito.
Si fissa nuovi obiettivi alla luce delle mutate condizioni monetarie internazionali, tra cui la riduzione del ruolo dell’oro (abolizione del prezzo ufficiale dell’oro e dell’obbligo di versamento di parte della quota in oro) per incentivare invece l’uso dei Diritti speciali di prelievo (SDR, special drawing rights) come principale attività di riserva internazionale, e la predisposizione di ulteriori meccanismi di finanziamento soprattutto per le esigenze di liquidità dei paesi in via di sviluppo.
La creazione degli SDR, approvata nell’assemblea tenuta a Rio de Janeiro nel luglio 1967, rappresenta il tentativo di dar vita a una moneta fiduciaria internazionale, emessa da un organismo finanziario internazionale quale l’FMI, per venire incontro alle sempre maggiori esigenze di liquidità mondiale che né l’oro né il dollaro potevano soddisfare. Con la creazione degli SDR, l’FMI ha accentuato la sua funzione di banca internazionale rispetto a quella di organo di consultazione e di ispezione, ma i vincoli politici e di statuto cui è soggetto rimangono numerosi e ne condizionano la funzione di organismo monetario sovranazionale.
Le vicende economiche e finanziarie degli anni 1970 (crisi petrolifere), 1980 (crisi del debito), 1990 (transizione verso il mercato delle economie dei paesi dell’Europa centro-orientale, crisi finanziarie in Messico, in Asia, in Russia e il pericolo della loro estensione) hanno portato l’FMI a creare nuovi strumenti finanziari e linee di credito specifici per gestire le singole situazioni di crisi come la ESAF (Enhanced Structural Adjustment Facility), la STF (Systemic Transformation Facility), la EFF (Extended Fund Facility), la SRF (Supplemental Reserve Facility), la CCL (Contingent Credit Lines). L’FMI si è interessato anche degli aspetti distributivi dei programmi di aggiustamento, come pure degli effetti che tali programmi possono avere sull’ambiente. Di particolare importanza sono, inoltre, sia gli interventi diretti a fornire assistenza alle economie in transizione in difficoltà con la bilancia dei pagamenti, sia quelli tendenti a sostenere, nel medio termine, attraverso la PRGF (Poverty Reduction and Growth Facility), creata nel 1999 in sostituzione dell’ESAF, i programmi di riforma e di riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo.
Nel corso del dibattito sulle linee di riforma delle istituzioni di Bretton Woods, svoltosi all’interno e all’esterno delle istituzioni stesse, sono emersi alcuni principi che dovrebbero ispirare la riforma del FMI di cui si vorrebbe rafforzare il ruolo nella prevenzione delle crisi estendendo la funzione di sorveglianza, a esso tradizionalmente attribuita, agli aspetti rilevanti per la stabilità finanziaria dei singoli paesi. È stato anche posto l’accento sia sull’esigenza di accrescere le quote dei paesi aderenti per rafforzare la capacità dell’FMI di fronteggiare situazioni di crisi sia sui pericoli di propensioni al moral hazard che la presenza di un prestatore di ultima istanza, dotato di risorse maggiori, farebbe crescere ulteriormente. Il dibattito sulle modalità di intervento dell’FMI ha prodotto toni ancor più accesi e contrastati a proposito della crisi finanziaria iniziata nel 2008, date le sue pesanti ricadute soprattutto sui paesi poveri, dato il blocco dei crediti e il rallentamento del commercio internazionale.