La Carta costitutiva dell’Organizzazione delle Nazioni Unite fu firmata a San Francisco il 26 giugno del 1945. Scopo della nuova organizzazione sovranazionale, come recitava il preambolo della Carta, era quello di «salvare le nuove generazioni dal flagello della guerra» predisponendo le misure e gli strumenti idonei per prevenire i conflitti e riportare la pace nelle zone di guerra. Con queste finalità, appena tre anni più tardi, nel maggio del 1948, il Consiglio di sicurezza delle NU autorizzava la prima missione di pace nella storia dell’organizzazione dispiegando i propri osservatori militari e civili in Medio Oriente per monitorare l’attuazione e il rispetto degli accordi firmati tra Israele e i paesi arabi alla fine del primo conflitto arabo-israeliano. La missione prese il nome di United Nations truce supervision organization (UNTSO). I fondamenti legali di tale decisione – e conseguentemente di tutte le operazioni di pace delle NU – risiedevano nei capitoli VI, VII e VIII della Carta, dove si affrontano le questioni relative alla risoluzione pacifica delle dispute (cap. VI), agli atti di aggressione compiuti in violazione della pace internazione (cap. VII) e infine alla necessità di coinvolgere le agenzie regionali nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali (cap. VIII).
Dal 1948 sono state create oltre 60 missioni di pace in tutto il Pianeta, 51 delle quali a partire dal 1988. Personale civile e militare proveniente da oltre 120 paesi ha partecipato alle operazioni e oltre 2.900 operatori al servizio delle NU sono morti. Molti fattori hanno contribuito a conferire forza e autorevolezza alle missioni, in primo luogo il rispetto di alcuni principi basilari: l’imparzialità degli operatori, la rinuncia all’uso della forza ad eccezione che per autodifesa personale o in difesa del mandato stesso, il consenso e l’impegno delle parti coinvolte nel conflitto a rispettare le regole sancite in accordo con le NU. Per l’impegno e i successi ottenuti in situazioni estremamente difficili e complesse le Forze di pace delle Nazioni Unite, universalmente note anche come blue helmets (caschi blu, dal colore del loro elmetto), hanno ricevuto nel 1988 il premio Nobel per la Pace. All’inizio degli anni Novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino, si è verificato un aumento considerevole nel numero delle missioni e nella quantità di forze umane impegnate sul campo, ma la scelta di inviare i contingenti di pace in paesi dove erano ancora in corso i conflitti ha esposto l’operato stesso delle missioni a numerose critiche da parte della comunità internazionale. Particolarmente drammatici si rivelarono gli esiti della missione UNPROFOR (United Nations protection force) nei territori della ex Iugoslavia. Istituita nel febbraio 1992 e inizialmente dislocata in Croazia con l’obiettivo di creare le condizioni di pace necessarie per aprire i negoziati tra le parti in conflitto, la missione fu successivamente inviata in Bosnia (giugno-luglio 1993) per garantire la sicurezza di Sarajevo e di altre cinque città musulmane (Bihać, Goražde, Srebrenica, Tuzla, Žepa). Nonostante la protezione dell’UNPROFOR, le città, assediate dai Serbo-Bosniaci, furono teatro di numerosi massacri della popolazione civile. L'attacco più drammatico venne sferrato a Srebrenica, che fu presa l'11 luglio 1995, e dove la strage pianificata dal generale R. Mladić, capo militare dei Serbo-Bosniaci, fece circa 7000-8000 vittime nei giorni subito successivi: uomini e ragazzi musulmani, infatti, furono rastrellati tra la popolazione e sterminati. Su richiesta dell’Assemblea generale delle NU l’operato dei battaglioni olandesi dei contingenti di pace, di stanza in quella zona all’epoca dei fatti e rimasti sostanzialmente inermi di fronte alle stragi, fu oggetto di una dettagliata valutazione che individuava l’errore più grave nella decisione di inviare una missione di pace in un contesto di aperto conflitto. Inoltre, nel merito dei fatti, il fallimento della missione fu imputato all’armamento leggero e inadeguato dei battaglioni, al mancato intervento aereo a sostegno della missione (imputabile però a disguidi e non a dolo), e soprattutto a una poco chiara consapevolezza politica e militare di chi aveva predisposto l’invio della missione. Alle soglie del nuovo millennio i fatti di Srebrenica, assurti a simbolo del fallimento della politica di pace delle NU e dei paesi occidentali in Iugoslavia, furono al centro di un dibattimento processuale presso la corte civile dell’Aia intentato dai familiari di tre vittime di Srebrenica contro i Paesi Bassi e i suoi comandi militari, ritenuti colpevoli di non avere protetto e difeso la popolazione musulmana bosniaca nel luglio 1995 come esplicitamente stabiliva il mandato della missione delle NU. Nel luglio 2011, in sede di appello, la corte dell’Aia si pronunciava sulla questione e condannava i soldati e lo Stato olandese per aver consegnato alle truppe serbo-bosniache i tre civili, all’epoca dei fatti al servizio delle forze di pace, e che, in cerca di salvezza, si erano rifugiati insieme a diverse migliaia di persone all’interno della base delle NU a Potocari. Sempre negli anni Novanta l’azione dell’Onu fu duramente messa alla prova anche in Ruanda (UNAMIR) e in Somalia (UNOSOM II) dove in entrambe le occasioni si manifestò l’inadeguatezza delle forze di pace rispetto alla violenza del conflitto. Travolte dalla violenza degli Hutu in Ruanda, le forze dell’UNAMIR rimasero nel paese dall’ottobre 1993 al marzo 1996. L'intervento delle NU in Somalia, invece, fu caratterizzato da un alto numero di morti (oltre 150), ma non valse a pacificare il paese, dove era in corso una sanguinosa guerra civile. Nella consapevolezza dei limiti imposti alle missioni delle NU dal dettato della Carta e dalle difficoltà intrinseche a conflitti che sempre più drammaticamente investono la popolazione civile, dopo i contraccolpi degli anni Novanta si è provveduto a una più marcata diversificazione e specializzazione delle funzioni delle operazioni di pace. A seconda delle condizioni sul campo le missioni hanno acquisito sempre maggiore esperienza nel prevenire lo scoppio di tensioni o i pericoli connessi alla conflittualità strisciante alle frontiere e nel creare le condizioni per l’implementazione degli accordi di pace. Inoltre le NU intervengono con personale qualificato nel sostenere il ripristino dell’autorità dello Stato e la capillarità della sua azione, nell’addestrare le forze di polizia locali e il personale amministrativo, nel disinnescare le mine antiuomo, nel fornire collaborazione nei processi elettorali, nella protezione della popolazione, nella tutela dell’infanzia e nell’assistenza alimentare agli sfollati e ai profughi, nel disarmo delle fazioni ribelli e nel reintegro nella società civile degli ex combattenti. Tra il 2010 e il 2011 erano 15 le operazioni di pace autorizzate dalle NU e di queste solo una, la missione in Afghanistan denominata United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA), aveva una funzione prettamente politica, istituita nel 2002 su richiesta del governo afghano per assisterlo nel difficile compito di creare le condizioni per la riconciliazione nazionale e porre le basi politiche, istituzionali e sociali per una pace durevole. In Africa erano sei le missioni attive, tutte in paesi e regioni del continente duramente colpiti dai conflitti interstatali, dalla guerra civile e dalla repressione dei regimi: nella Repubblica democratica del Congo (sigla della missione: MONUSCO), in Darfur (UNAMID), nel Sudan (UNMIS), in Costa d’Avorio (UNOCI), in Liberia (UNMIL) e infine in Marocco dove la missione delle NU per il referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO) era stata istituita nel 1991 con il compito di sorvegliare il cessate il fuoco tra il Marocco e il movimento indipendentista Frente Polisario. Due le missioni in Europa, una a Cipro (UNFICYP) e l’altra nel Kosovo (UNMIK), una nelle Americhe, ad Haiti (MINUSTAH), e tre in Asia: a Timor- Leste (UNMIT), in Afghanistan (UNAMA) e nello Stato di Jammu e Kashmir sulla linea del cessate il fuoco siglato tra India e Pakistan nel 1948 (UNMOGIP). Tre missioni erano dislocate, infine, in una delle aree più calde del Pianeta, in Medio Oriente: oltre all’UMSO mai sospesa dal 1948, nel 1974 è stata istituita nelle alture del Golan l’UNDOF le cui forze vigilano nella fascia di sicurezza creata per impedire lo scoppio di nuovi conflitti tra Israele e la Siria. Infine l’UNIFIL creata originariamente nel marzo 1978 per vigilare sul ritiro delle truppe israeliane dal Libano e assistere il governo libanese nel ripristinare la sua autorità nel paese. La missione, in concomitanza con i drammatici avvenimenti della regione (nuova invasione israeliana del Libano nel 1982 e ritiro di tutte le truppe israeliane nel 2000) ha dovuto modificare in entrambe le occasioni il suo ruolo e le sue funzioni. In occasione del nuovo drammatico conflitto scoppiato nell’estate 2006, quando le provocazioni di Hezbollah, responsabile del ripetuto lancio di missili verso Israele, scatenavano l’offensiva aerea israeliana nel sud del Libano, fu deciso di potenziare la missione già presente nel paese. Infatti, nel mese di agosto 2006, pochi giorni prima del cessate il fuoco congiunto, il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione 1701, sanciva l'invio in Libano di nuove forze. L'Italia partecipò alla missione con un numeroso contingente militare (circa 2500 effettivi).