Denominazione complessiva della produzione letteraria degli Stati dell’America Centrale e Meridionale di lingua e cultura spagnola. Nonostante le numerose e grandi differenze di stratificazione etnica e di evoluzione politica e sociale tra i vari paesi dell’America Latina, è infatti prevalso l’uso di considerare le vicende di quel continente sotto un profilo unitario e organico e sempre meno in base alle nazionalità che lo compongono. Per quanto poi si riferisce alle espressioni culturali e letterarie, il processo unificatore trova la sua prima origine nella lingua comune della maggioranza di quei paesi, lo spagnolo, e nel conseguente comune patrimonio di forme e modelli letterari: sembra così legittimo parlare di letteratura ispano-americana. Dalla metà circa degli anni 1950 il processo di unificazione è stato ulteriormente favorito dalla concentrazione editoriale, che vede ai primi posti i paesi più ricchi, Messico e Venezuela (e in secondo piano l’Argentina), mentre l’editoria spagnola funziona da coagulo della produzione letteraria d’oltreoceano. Inoltre, l’immagine della letteratura i. ha ricevuto un’autorevole conferma dal successo mondiale del romanzo e dai premi Nobel ottenuti da autori quali il guatemalteco M.A. Asturias (1967), il cileno P. Neruda (1971), il colombiano G. García Márquez (1982), il messicano O. Paz (1990), nonché dalla solida fama internazionale dell’argentino J.L. Borges. È utile, tuttavia, ricordare che, accanto alla letteratura dominante in lingua spagnola e a quella in lingua portoghese (➔ Brasile), esistono anche, nell’America centro-meridionale, letterature in lingua francese, in lingua inglese e in lingue indoamericane, quali il nahuatl e il quechua.
Una generazione di poeti innovatori, nati tra il 1890 e il 1904, segna l’inizio della poesia contemporanea. Tra il 1915-16 e il 1935 il panorama lirico i. è dominato dal cileno V. Huidobro (El espejo de agua, 1916; Poemas árticos, 1918; Altazor, 1931), dal peruviano C. Vallejo (Los heraldos negros, 1918; Trilce, 1922), dal Borges del periodo ultraista (Fervor de Buenos Aires, 1923; Cuaderno San Martín, 1929), da P. Neruda (Veinte poemas de amor y una canción desperada, 1924; Residencia en la tierra, 3 vol., 1933-35) e dall’argentino O. Girondo (Veinte poemas para ser leídos en el tranvía, 1922; Calcomanías, 1925; Espantapájaros, 1932). In questa fase è ancora forte l’influsso del modernismo di R. Darío e dei postmodernisti L. Lugones e J. Herrera y Reissig, che si fonde con il mundonovismo di R. López Velarde e J.H. Eguren, ma anche con la poesia simbolista e con le avanguardie europee da cui nascono esperienze come quelle del creacionismo huidobriano, dell’ultraismo delle riviste Proa (1922-23; 1924-26) e Martín Fierro (1924-49), dell’estridentismo del messicano M. Maples Arce.
Accanto alle tendenze avanguardiste si afferma, specie con Neruda e Vallejo, una poesia d’ispirazione sociale e impegnata. Nella linea segnata da Borges, di una lirica fondata sul culto dell’intelligenza e della memoria, e su un rigore formale che tende a una dimensione classica, si muovono altri poeti argentini come E. Banchs, J.L. Ortiz, R.E. Molinari, L. Marechal e F.L. Bernárdez; ricordiamo anche l’ecuadoriano J. Carrera Andrade, il colombiano L. de Greiff e i messicani J. Gorostiza, C. Pellicer, X. Villaurrutia, S. Novo.
Negli stessi anni, prende avvio la poesia nera afroamericana, in cui si coniugano i modi della musica e del canto rituale africano con quelli delle nuove avanguardie per esprimere le voci di risentimento e di rivolta che salivano dagli strati più emarginati e poveri della popolazione nera. Tale corrente ha il suo massimo esponente nel cubano N. Guillén, seguito da L. Palés Matos e da E. Ballagas, e si diffonde anche fuori dai Caraibi, in Colombia con J. Artel e J. Zapata Olivella, in Ecuador con N. Estupiñán e A. Ortiz, e infine in Uruguay con P. Barrios e V. Brindis de Salas.
A partire dal 1935 circa, si configura una nuova linea di tendenza che si distingue in particolare per una maggiore adesione al surrealismo e la cui manifestazione più importante è quella del gruppo Mandrágora in Cile, con E. Gómez Correa, B. Arenas, J. Cáceres, T. Cid, G. Rozas. In Messico l’affermazione del surrealismo è legata ai nomi di O. Paz e A. Chumacero, e alle riviste Taller poético (1939-41) e Estaciones (1956-60), mentre in Argentina i suoi massimi rappresentanti sono E. Molina e A. Pellegrini con le riviste Qué (1928-30) e A partir de 0 (1952-56). Importanti anche i contributi del venezuelano J. Sánchez Peláez e dei peruviani C. Moro e E. West;phalen.
Derivati dallo spirito della prima avanguardia, altri movimenti giovanili si sviluppano a partire dagli anni 1930: il runrunismo (movimento che con spirito ludico e burlesco sfidava le tendenze letterarie in voga) e il decorativismo cileni, il gruppo Piedra y cielo in Colombia che si ispira alla lirica di J. R. Jiménez, ma soprattutto l’antipoesia del cileno N. Parra, con la sua tendenza a evitare le alchimie verbali e ad assimilare il linguaggio poetico alla lingua usuale. A Cuba, attorno alla rivista Orígenes e al magistero poetico barocco di J. Lezama Lima, troviamo E. Diego e C. Vitier. Questi poeti, in principio riuniti attorno a riviste dalla vita intensa ma breve, iniziano attorno agli anni 1950 a sviluppare una lirica più personale, dando vita alla parte maggiormente significativa della loro produzione: Paz pubblica Libertad bajo palabra (1949), ¿Águila o Sol? (1951), Piedra de sol (1957); Lezama Lima, La fijeza (1949) e Dador (1960); Parra con Poemas y antipoemas (1954) e Versos de salón (1962) modifica l’espressione poetica dell’avanguardia; l’argentino A. Girri con El tiempo que destruye (1951) e Escándalos y soledades (1952) apporta un nuovo tono e una componente etica alla poesia; il nicaraguense A. Cuadra e il peruviano M. Adán rappresentano infine altre due voci di rilievo della poesia degli anni 1950 e 1960.
Alla fine degli anni 1960 e durante il decennio successivo, si afferma una tendenza alla distruzione della lirica attraverso l’introduzione di forme popolari accanto a quelle colte (classicistiche e barocche) e tradizionali, e di elementi della vita quotidiana. Si ricordano tra i poeti più rappresentativi di questa generazione: i messicani B. Nuño, R. Castellanos, J. Sabines, M.A. Montes de Oca; i colombiani A. Mutis e E. Cote Lemus; i venezuelani J. Sánchez Peláez e G. Sucre; i cubani J. Fernández Retamar e H. Padilla; i peruviani J. Sologuren e C.G. Belli; i cileni E. Lihn e A. Uribe Arce; le uruguaiane I. Vitale e I. Vilariño; gli argentini R. Juarroz, F. Madariaga, J. Gelman. Altrettanto vitale in questi anni è la poesia marcatamente di protesta, i cui massimi esponenti sono il nicaraguense E. Cardenal, l’uruguaiano M. Benedetti e il paraguaiano E. Romero. Dagli anni 1980 in poi la poesia ripropone queste tendenze accentuando l’aspetto aggressivo e la ribellione alla norma. Segnaliamo Mal de amor (1981) e Flor de enamorados (1987) del cileno O. Hahn; Tarde o temprano (1980) e Los trabajos del mar (1984) del messicano J. E. Pacheco; Crónica del niño Jesús de Chilca (1981) del peruviano A. Cisneros e Roncando al sol como una foca en los Galápagos (1982) di J. G. Cobo Borda.
È alla narrativa e in particolare al romanzo che si deve il successo mondiale della letteratura ispano-americana. A partire dagli anni 1930, il romanzo rompe con il realismo dell’epoca precedente; i modi e le strutture narrative tradizionali si dissolvono, scompare il narratore onnisciente lasciando spazio al monologo interiore, alla descrizione onirica, al pastiche. Gli antecedenti di questa tendenza sono da ricercarsi nell’opera di M. Azuela, M. Díaz Rodríguez e L. Lugones. La critica i. ha tentato una interpretazione del momento iniziale del romanzo contemporaneo ricorrendo alla nozione di realismo magico; in particolare il cubano A. Carpentier ha elaborato il concetto di ‘real meraviglioso americano’, postulato nell’introduzione a El reino de este mundo (1949) e posteriormente ampliato. Sono definizioni ancor oggi valide per alcuni romanzi (per es. quelli di J. Rulfo e G. García Márquez), ma certamente inadeguate a connotare l’esperienza narrativa i. nella sua totalità. Le figure che hanno influito in modo decisivo sugli scrittori contemporanei sono quelle di Borges (Ficciones, 1944) e di Lezama Lima (Paradiso, 1966); entrambi tendono alla dissoluzione del romanzo, il primo nella sintesi quasi parodica della ‘finzione’ e il secondo nella ricchezza e nella sovrabbondanza che giungono a cancellare la struttura. A essi si riallaccia l’argentino J. Cortázar, uno degli scrittori più sperimentali del nuovo corso narrativo, come dimostrano il romanzo Rayuela (1963) e le raccolte di racconti Bestiario (1951) e Octaedro (1974).
La traiettoria che compie il romanzo tra gli anni 1950 e 1960 è contrassegnata da un ritorno alle origini epiche e mitiche del genere, con un recupero delle tradizioni orali, della dimensione favolosa, ovvero dei suoi moduli più radicati in ambito ispanico, come il romanzo cavalleresco o la narrativa picaresca. Alla prima generazione di romanzieri, avviati già su questo percorso, appartengono il già citato Asturias, con El Señor Presidente (1946) e Hombres de maíz (1949); gli argentini E. Mallea, R. Arlt e L. Marechal (Adán Buenosayres, 1948); il messicano A. Yáñez; l’uruguaiano F. Hernández; A. Carpentier (El reino de este mundo, 1949; Los pasos perdidos, 1953; El siglo de las luces, 1963); il messicano J. Rulfo (Pedro Páramo, 1955); il peruviano J.M. Arguedas (Los ríos profundos, 1958, e altri romanzi d’ambiente indio); o alcuni scrittori di disincantata civiltà urbana, come l’uruguaiano J.C. Onetti o l’argentino E. Sábato. Il momento più ispirato e più felice di questa ampia tendenza narrativa non è solo in Cien años de soledad (1967) di García Márquez, perché gli stanno degnamente accanto La ciudad y los perros (1963) e La casa verde (1966) del peruviano M. Vargas Llosa; La muerte de Artemio Cruz (1962) e Aura (1962) del messicano C. Fuentes; El lugar sin límites (1967) del cileno J. Donoso; il ciclo andino (da Redoble por Rancas, 1970, a El cantar de Agapito Robles, 1977) di un altro peruviano, M. Scorza; Hijo de hombre (1960) del paraguaiano A. Roa Bastos; e Zama (1956) dell’argentino A. Di Benedetto. A registri diversi sono invece da ricondurre altri scrittori i., con opere più legate ad avventure e storie cittadine e a miti più raffinati e complessi; siano essi di vena fantastica come l’argentino A. Bioy Casares, seguace e collaboratore di Borges, o abili manipolatori di miti cinematografici come gli argentini, più giovani di Bioy, M. Puig, con le sue storie di frustrazione e d’ironico patetismo, e O. Soriano, o scrittori di spericolato sperimentalismo come il cubano G. Cabrera Infante, autore di Tres tristes tigres (1967), romanzo di costruzione complessa, con evidenti ricordi di L. Sterne e J. Joyce. La lezione neobarocca ed ermetica di Lezama Lima si avverte in un altro cubano, S. Sarduy, autore di Cobra (1971), che porta alle estreme conseguenze la modalità stilistica della distorsione dell’eccesso, nonché una visione del mondo che privilegia l’illusione e l’apparenza.
Un filone parallelo e costante della narrativa i. è quello del realismo sociale. Negli anni 1930 si sviluppa il romanzo della rivoluzione messicana, di cui è iniziatore e massimo rappresentante M. Azuela, praticato anche da M.L. Guzmán, J.R. Romero, G. López y Fuentes, R.F. Muñoz. Negli anni 1930-1940 si afferma una narrativa di stampo neorealista in cui si rappresentano le opposizioni socio-economiche del mondo latino-americano e le situazioni di vita estreme che conducono alla ribellione e al massacro. Questo tipo di romanzo non è insensibile alle innovazioni formali coeve. Appartenenti a questa corrente sono J. Icaza, i romanzieri ecuadoriani del gruppo Guayaquil, C. Alegría (El mundo es ancho y ajeno, 1941) e successivamente M. Scorza. Nel contempo l’indigenismo ha ricevuto nel pensiero di J.C. Mariátegui una nuova formulazione che avrà importanti ripercussioni nell’opera di Icaza (Huasipungo, 1934) e soprattutto di Arguedas (Yawar fiesta, 1941; Todas las sangres, 1964). Difficile separare in precise correnti e tendenze il resto dell’abbondante produzione di romanzi e racconti. In Messico, per es., oltre a quelli già qui accennati, coesistono vari altri moduli narrativi: da un lato quello favolistico e umoristico di J.J. Arreola (Confabulario total, 1962), di J. Ibargüengoitia (Los relámpagos de agosto, 1965) e del guatemalteco-messicano A. Monterroso; e dall’altro quello sperimentale, con toni allucinati, di S. Elizondo (Farabeuf, 1965). Comunque, vanno ancora ricordati: per il Messico, G. Sainz e J.E. Pacheco; per il Perù, J. R. Ribeyro e A. Bryce Echenique; per il Venezuela, S. Garmendia e A. González León; per il Cile, A. Skármeta e L. Sepúlveda; per l’Uruguay, M. Benedetti, E. Galeano e C. Peri Rossi; per l’Argentina, R. Walsh, D. Viñas, N. Sánchez, E. Gudiño Kieffer, J. J. Saer ecc.