Denominazione assunta dalla Chiesa greca, che afferma di essere la custode della fede espressa dai sette concili ecumenici, per caratterizzarsi e contrapporsi alla Chiesa romana.
La nascitaStaccatesi dalla Chiesa bizantina le Chiese nestoriane e monofisite, caduti i patriarcati di Antiochia e Alessandria sotto la dominazione araba, dall’8° sec. il patriarca di Costantinopoli diventò l’autorità ecclesiastica più importante dell’Oriente, attirando nella sua orbita regioni prima rette dal papa di Roma, esercitando attività missionaria specialmente tra i popoli slavi e unificando le Chiese nei riti (liturgia bizantina, bizantino-slava), nella disciplina e nella fede. Sulla base del principio che a Costantinopoli competeva il primato per essere la Chiesa della capitale dell’Impero, il patriarca si pose in antagonismo con Roma e pretese giurisdizione unica su tutto l’Oriente. La rottura definitiva avvenne nel 1054, quando il papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario si scomunicarono a vicenda. Alla fine dell’Impero bizantino i sultani turchi riconobbero il patriarca di Costantinopoli anche capo civile dei cristiani ortodossi a loro soggetti.
In epoca contemporanea si può parlare di un’unica Chiesa ortodossa solo in senso improprio, perché nelle Chiese orientali non vi è un unico vicario, come il pontefice nella Chiesa cattolica: vicari delle singole Chiese sono i vescovi; inoltre, mentre il cattolicesimo distingue chiesa docente (vescovi e clero) e chiesa discente (fedeli), fra gli ortodossi predomina la dottrina teologica della «comunione»: la Chiesa viene considerata come un unico organismo che non ha bisogno di un’autorità infallibile – sia essa un papa o il concilio – in materia di fede, perché la Chiesa stessa (o chiunque dei suoi fedeli) è illuminata dallo Spirito Santo. Di fatto la Chiesa ortodossa si presenta come un insieme di Chiese legate da un vincolo di comunione che riconoscono nel patriarca di Costantinopoli la qualifica onorifica di primus inter pares. Tendenza dominante fra le Chiese ortodosse, specie in epoca moderna, è poi una sorta di nazionalismo religioso (filetismo), vale a dire l’indirizzo a prendere come base della giurisdizione ecclesiastica la nazionalità, indipendentemente dal fatto che essa costituisca un organismo statale.
Chiese ortodosse autocefale Si chiama autocefala ogni Chiesa che ha il diritto di organizzarsi autonomamente, scegliendo i propri vescovi, compreso il patriarca o il metropolita o l’arcivescovo che ne è a capo. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli rivendica il diritto esclusivo di concedere l’autocefalia, ma ciò ha creato motivi di contesa con il Patriarcato di Mosca, che talora l’ha concessa autonomamente. Il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, pur considerato il centro spirituale dell’ortodossia è in realtà una delle autocefalie più piccole: 3.500.000 fedeli sparsi in Turchia, Grecia, Europa occidentale, America e Australia.
Il Patriarcato di Mosca (Chiesa Russa) costituisce, invece, per numero di fedeli (ca. 80.000.000) e per il prestigio che gli deriva dal fatto di avere l’appoggio del più grande e potente Stato di stirpe slava, la comunità ortodossa più importante. Dal 1990 ha dovuto riconoscere un certo livello di autonomia alle Chiese di Bielorussia e di Ucraina (dapprima considerate suoi esarcati), concedendo loro la denominazione rispettivamente di Chiesa ortodossa di Bielorussia e Chiesa ortodossa di Ucraina. La Chiesa ortodossa di Moldavia ha avuto riconosciuta l’autonomia dal patriarcato di Mosca nel 1991, ma nel 1992 il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Romania decise di ricostituire in quei territori la metropolia di Bessarabia, per cui gli ortodossi di quello Stato si trovano ora divisi tra due giurisdizioni. In Estonia, dopo la riacquisizione dell’indipendenza nazionale nel 1991, la locale Chiesa ortodossa cercò di recuperare l’autonomia perduta nel 1945, quando era stata assorbita dal Patriarcato di Mosca, ma quest’ultimo ha rivendicato la legittimità della propria diocesi in Estonia. La Chiesa armena è retta da un katholikòs con sede a Ečmiadzin. La Chiesa georgiana è retta da un katholikòs con sede a Tbilisi.
La Chiesa ortodossa albanese ebbe riconosciuta l’autocefalia nel 1937; dopo le durissime persecuzioni del regime comunista, ora le confessioni religiose del paese sono in ripresa.
La Chiesa ortodossa greca, staccatasi dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1833, è diretta da un santo sinodo e ha giurisdizione su tutti i territori greci. La Chiesa di Cipro è retta da un santo sinodo e ha per capo un arcivescovo; questi, prima che Cipro ottenesse l’indipendenza, aveva anche il titolo e le funzioni di etnarca, cioè di capo civile dei cristiani ortodossi con poteri di rappresentanza prima nei confronti del sultano, poi verso l’autorità britannica.
Le Chiese melkite comprendono il Patriarcato di Antiochia, con sede principale a Damasco, che conta una quindicina di eparchie e altre due eparchie all’estero, il Patriarcato di Gerusalemme, retto da un sinodo, di cui il patriarca è il presidente, e il Patriarcato di Alessandria, retto da un sinodo presieduto dal patriarca (che come dignità viene subito dopo quello di Costantinopoli), con giurisdizione sul continente africano e sull’isola di Malta.
La Chiesa nazionale bulgara fu la prima a sottrarsi alla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli nel 1870, creandosi una gerarchia e un clero esclusivamente bulgari, quando in precedenza essi erano quasi esclusivamente greci. Retta in origine da un esarca (cui la scomunica del patriarca di Costantinopoli fu tolta solo nel 1945), dal 1948 è retta da un patriarca.
La Chiesa nazionale romena è retta da un patriarca istituito nel 1925, con sede a Bucarest. Dal 1993 il patriarcato ha ristabilito la sua giurisdizione in zone che tra le due guerre mondiali erano parte del territorio romeno, il Nord della Bucovina (ora in Ucraina) e la Bessarabia (nell’attuale Repubblica di Moldavia).
La Chiesa nazionale serba divenne autocefala e indipendente dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1878; è retta dal patriarca, che ha il titolo di «arcivescovo di Peć, metropolita di Belgrado e Karlovci, patriarca serbo» e presiede il santo sinodo.
La Chiesa ortodossa di Polonia fu riconosciuta autocefala nel 1924 dal patriarca ecumenico di Costantinopoli e nel 1948 dal patriarca di Mosca.
La Chiesa ortodossa della Repubblica Ceca e della Slovacchia deriva dalla Chiesa ortodossa di Cecoslovacchia, riconosciuta come autocefala nel 1951 dal patriarcato di Mosca ma non da quello di Costantinopoli; dopo la divisione dello Stato in due distinte repubbliche, si è suddivisa in due province metropolitane, con un Santo Sinodo che si riunisce in sedute unificate.
Chiese ortodosse autonome Rispetto a una Chiesa autocefala, una Chiesa autonoma si distingue per il fatto che, pur funzionando come Chiesa indipendente, mantiene la dipendenza da un’altra Chiesa, in quanto il proprio capo deve essere confermato nel suo ufficio dal capo o dal sinodo di una Chiesa autocefala. Sotto la giurisdizione del patriarca di Mosca sono autonome la Chiesa ortodossa di Cina e la Chiesa ortodossa del Giappone; l’autonomia della Chiesa ortodossa di Finlandia fu riconosciuta nel 1921 dal patriarca di Mosca, ma nel 1923 essa fu posta sotto la protezione del patriarca di Costantinopoli. La Chiesa ortodossa del Monte Sinai dipende dal patriarcato di Costantinopoli e comprende meno di un migliaio di fedeli retti dall’igumeno o superiore del monastero di S. Caterina.
Chiese ortodosse irregolari Sono comunità ortodosse di stato irregolare quelle dei cosiddetti vecchi credenti (raskol´), seguaci dello scisma verificatosi nella Chiesa ortodossa russa nel 17° sec., la Chiesa ortodossa russa fuori della Russia (piccola formazione che dopo la rivoluzione bolscevica non volle accettare il modus vivendi instaurato dal patriarca di Mosca con il governo sovietico), il patriarcato di Kiev separatosi nel 1993 dalla Chiesa ortodossa di Ucraina, la Chiesa ortodossa di Bielorussia, la Chiesa ortodossa di Macedonia, autoproclamatasi autocefala nel 1967. In Grecia e in Romania esistono comunità separate dalle Chiese ortodosse nazionali a causa dell’introduzione del calendario gregoriano in sostituzione di quello giuliano.
Il corpo di dottrine teologiche condivise da tutte le Chiese ortodosse, che ne definiscono la sostanziale unità anche rispetto alla Chiesa cattolica, si è venuto chiarendo nel corso dei secoli e affonda le radici nel diverso atteggiarsi, sin dalle origini del cristianesimo, della Chiesa orientale greca occidentale rispetto a quella romana: se per il cristianesimo occidentale ciò che viene messo in primo piano è il mistero del Cristo in croce per la redenzione dell’umanità, la teologia orientale greca, direttamente influenzata dalla filosofia platonica, è dominata da una concezione essenzialmente teandrica. Il mistero dell’incarnazione è interpretato come l’unione e la reciproca azione, in Cristo, Uomo-Dio, delle due nature divina e umana: questa unione è attuata nell’uomo e nella società e la natura umana è consustanziale della natura umana del Cristo stesso. Per questo la natura umana, anzi tutta l’umanità, è stata in un certo modo divinizzata, si è unita attraverso l’incarnazione a Dio e in questa unione essa è rimasta grazie al mistero della risurrezione. Questo aspetto tipicamente mistico, di slancio e unione con Dio e in Dio attraverso l’incarnazione del Cristo e la sua risurrezione, è l’elemento fondamentale della concezione teologica ortodossa.
Elemento di controversia teologica, ma in gran parte superato, è la cosiddetta «questione del Filioque». A differenza della Chiesa cattolica e degli stessi protestanti, la Chiesa ortodossa afferma nel Credo che, in ordine al mistero della Ss. Trinità, la terza persona, cioè lo Spirito Santo, procede solo dal Padre e non dal Padre e dal Figlio. Ma questa appare in fondo una cristallizzazione polemica antiromana, ricercante motivi di dissenso a ogni costo, rimasta in vita dall’epoca di Fozio e, più, di Michele Cerulario. In realtà l’antica formula dogmatica orientale, che sottolinea che lo Spirito Santo procede «dal Padre mediante il Figlio», non è in contrasto con quella della Chiesa latina.
Una sostanziale concordanza si ha nella dottrina della creazione, della caduta dell’uomo per il peccato e della redenzione, salvo sfumature, che non intaccano il dogma. Il culto della Vergine è in tutta la Chiesa ortodossa, seguito e conservato in modo altissimo, e suo fondamento è la maternità divina di Maria. Di essa sono affermate la verginità e l’assenza di ogni peccato, ma non l’Immacolata Concezione, cioè l’esenzione dal peccato originale. Vi è pure concordanza nel credere all’assunzione corporea, detta dagli ortodossi dormizione. Circa la sorte dell’anima dopo la morte, la dottrina ortodossa esclude l’idea di un purgatorio, come situazione provvisoria, e non pochi hanno difficoltà ad ammettere che vi possano essere anime dannate in eterno. Una sostanziale concordanza fra le due Chiese si ha in ordine alla dottrina della grazia e della giustificazione.
Identico è il numero dei sacramenti: il battesimo viene amministrato per triplice immersione, eccezionalmente per aspersione e può essere sostituito dal battesimo di sangue, non da quello di desiderio; la cresima non è amministrata dal vescovo ma dal sacerdote; per l’eucaristia è affermata chiaramente, come per i cattolici, la dottrina della presenza reale e della transustanziazione e la comunione avviene sotto le due specie del pane (fermentato) e del vino; la penitenza è più superficiale e generica, meno riservata, e dunque priva di quella funzione d’indagine interiore, di approfondimento dei problemi di coscienza che ha nella Chiesa cattolica; l’ordine sacro, salvo le differenze rituali, assicura alla Chiesa ortodossa il carattere di apostolicità; è consentito ai sacerdoti che si siano sposati prima dell’ordinazione di continuare in questo stato; il matrimonio è considerato sacramento e solo nel 19° sec. si è affermata la dottrina che ministro ne fosse il sacerdote e non gli sposi; l’unzione dei malati può essere amministrata più volte, non solo in fin di vita, ma anche ai sani.
Al di là delle lievi divergenze dogmatiche o rituali, la nota fondamentale che segna il contatto fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse è rappresentata dal mantenimento della tradizione apostolica: «La Chiesa» dice il catechismo ortodosso «è detta apostolica perché deriva immutata e ininterrotta dagli Apostoli la dottrina e la successione come doni dallo Spirito Santo, concessi per mezzo degli ordini sacri». La levità delle differenze dottrinali e la consapevolezza, nell’una e nell’altra Chiesa, della loro sostanziale unità originaria hanno aperto la strada, a partire dalla metà del 19° sec., alla ricerca faticosa delle vie per giungere a un’unica Chiesa. Dopo il concilio Vaticano II il «dialogo» fra le Chiese ortodosse e quella cattolica, sviluppatosi su base dottrinale e controversistica, ha avuto un punto fermo (dopo la partecipazione anche di osservatori ortodossi al Concilio e dopo gli storici incontri di Paolo VI e del patriarca di Costantinopoli Atenagora I a Gerusalemme nel gennaio 1964 e poi a Roma nell’ottobre 1967) con una «dichiarazione comune» con cui le due Chiese erano concordi nel «deplorare» e «cancellare» dalla memoria e dal seno della Chiesa le sentenze di scomunica lanciate reciprocamente nel 1054, dopo la scisma di Michele Cerulario. Da allora i contatti fra Roma e le varie Chiese ortodosse si vanno sviluppando a vari livelli.