metallografìa Scienza che studia la struttura dei materiali metallici in relazione alle loro proprietà, sia chimico-fisiche sia meccaniche. Comprende in primo luogo le tecniche di osservazione e di studio della struttura e le tecniche di preparazione dei campioni per l’osservazione.
Appartiene al campo della macrografia qualsiasi osservazione metallografica effettuata o a occhio nudo, o con mezzi di osservazione (lenti o microscopi binoculari stereoscopici) con ingrandimento ottico non superiore a 20; con le tecniche macrografiche è possibile avere informazioni sulla struttura granulare dei metalli, sulla segregazione, su alcuni difetti. A seconda del tipo di campione e di ciò che si vuole osservare, può essere richiesta, o no, una preventiva preparazione superficiale e un susseguente attacco chimico selettivo. Per es., l’esame di fratture o di superfici corrose e ossidate ad alta temperatura non richiede preparazione. Quando invece questa è richiesta, si comincia col tagliare l’oggetto mediante macchine ad azione meccanica ovvero ad attacco elettrolitico, utilizzando in casi eccezionali anche il cannello ossidrico. La superficie per l’esame è successivamente levigata con mole abrasive e carte smeriglio; in queste condizioni si possono vedere difetti vari come cricche, porosità, cavità di ritiro ecc. Se, poi, la superficie viene attaccata con reattivi, si può vedere la struttura cristallina (se grossolana) e si possono osservare cricche molto fini, inclusioni non metalliche, segregazioni, zone fortemente incrudite ecc.
La macrografia, attraverso opportuni attacchi chimici, permette anche di mettere in evidenza le direzioni secondo le quali ha fluito il metallo sotto gli sforzi meccanici di una lavorazione plastica a caldo o a freddo. Uno degli esami macrografici più interessanti è la tiografia, o impronta Baumann, che serve a rilevare la distribuzione dei solfuri in una sezione di un campione di acciaio.
Micrografia ottica. - Si parla di micrografia quando l’osservazione del campione è effettuata al microscopio metallografico, sotto ingrandimenti ottici fino a qualche migliaio di volte; per le osservazioni micrografiche ottiche è tassativa la preparazione dei campioni, per avere una superficie molto piana e ben levigata, per tenere conto della bassa profondità di campo del microscopio, e rappresentativa della microstruttura del metallo, senza alterazioni dovute al metodo di preparazione. La prima fase della preparazione consiste nel prelievo del campione e nel taglio di esso secondo la sezione prescelta, la seconda fase nella levigatura su carte smeriglio di finezza crescente, la terza (pulimentazione) viene effettuata con panni rotanti di feltro o velluto di fibra di nailon, imbevuti di una sospensione di abrasivo, con dimensioni delle particelle usualmente comprese tra 1 e 0,1 μm. Questa operazione è molto delicata, soprattutto per il pericolo di introdurre alterazioni nella struttura. Una parte della seconda fase e tutta la terza possono essere sostituite dalla pulimentazione elettrolitica, consistente nell’usare il campione come anodo in una cella elettrolitica con speciali elettroliti. Di solito, alla pulimentazione segue un lieve attacco chimico selettivo in grado di evidenziare alcuni costituenti strutturali; soltanto quando si desiderano osservare le inclusioni non metalliche il campione non viene attaccato.
Un opportuno accessorio del microscopio metallografico (piatto riscaldante) permette di effettuare osservazioni ad alta temperatura (fino a oltre 1000 °C). Altri apparati permettono l’osservazione in luce monocromatica con dispositivi ottici in grado di fare interferire la luce proveniente dal campione con quella proveniente da una superficie di riferimento (microscopio interferenziale).
Micrografia a contrasto di fase. - Nel microscopio ottico l’immagine nasce come conseguenza del fatto che i vari costituenti del campione hanno diverso potere riflettente o colore diverso o diverso potere diffondente. I costituenti hanno in genere durezza diversa, per cui alla pulimentazione può avvenire che i più duri risultino in leggero rilievo; queste differenze di livello non vengono generalmente rilevate dal microscopio ordinario. Nella micrografia a contrasto di fase si fa in modo che, trasformando le differenze di fase in differenze di intensità, le zone in rilievo appaiano più chiare (contrasto positivo) di quelle depresse. In tal modo possono essere apprezzate differenze di livello fino a circa 10 nm. Ciò è possibile perché il microscopio ordinario è, in questo caso, corredato di opportuni accessori ottici, il principale dei quali è una lamina birifrangente.
Micrografia elettronica. - Particolarmente utile per la m. si rivela il microscopio elettronico. Tale strumento, a differenza di quello ottico, non può essere usato per l’osservazione diretta di superfici opache: le osservazioni vengono fatte attraverso le cosiddette repliche, che sono sottili pellicole di collodio, silice, carbonio ecc., sulle quali sono impressi, con tutta finezza, i dettagli strutturali del metallo in esame. Spesso le repliche vengono ombreggiate con metalli pesanti (cromo, oro, palladio ecc.), per evaporazione di sorgenti puntiformi nel vuoto, allo scopo di aumentare il contrasto e la risoluzione. Se il campione metallico è sufficientemente sottile (10 nm ca.), gli elettroni possono attraversarlo e quindi è possibile l’osservazione diretta, senza passare attraverso le repliche. La natura ondulatoria degli elettroni dà al microscopio elettronico la possibilità di esami diffrattometrici, con riferimento ad aree su campioni estremamente localizzate (0,5 μm2), ciò che permette di analizzare la struttura cristallina e, quindi, di individuare e interpretare fasi, anche se pochissimo estese.
Nella microscopia elettronica a scansione il campione è esplorato da un pennello elettronico molto fine e gli elettroni diffusi punto per punto sono raccolti da un contatore a scintillazione la cui corrente di uscita va a modulare in intensità il fascio elettronico di un tubo a raggi catodici il cui schermo è esplorato in sincronismo con il campione. Il contrasto dell’immagine che si forma sullo schermo del tubo dipende dalla topografia superficiale del campione, dal numero atomico degli atomi che punto per punto lo compongono e dai coefficienti di diffusione degli elettroni che, a loro volta, dipendono dalla natura del punto colpito. Il potere risolutivo dipende essenzialmente dal diametro del fascio elettronico esplorante, che è dell’ordine di 10-20 nm; la profondità di campo è grandissima (0,1-1 mm ca.), ed è la più alta fra tutti gli strumenti di osservazione micrografica. Uno dei maggiori vantaggi della microscopia elettronica a scansione è che il campione non necessita di preparazione e la planarità non è necessaria, per cui si possono esaminare direttamente, per es., superfici di frattura, molto rugose e frastagliate, senza difficoltà e con immagini ottime sotto tutti i punti di vista.
Tecnica usata per identificare e analizzare quantitativamente zone di un campione aventi dimensioni di circa 1 μm2. In quella normalmente usata in m., il campione micrografico è irraggiato nel vuoto (pressione di 10–8 bar) con un sottile fascio elettronico fortemente focalizzato e i raggi X emessi dagli atomi del campione sono analizzati con uno spettrometro a cristallo. Dallo spettrometro possono essere fatti uscire, a volontà, solo i raggi X caratteristici di un dato elemento chimico prescelto. L’intensità di questi raggi, tramite un contatore tipo Geiger e un sistema amplificatore, modula in intensità il pennello elettronico di un tubo a raggi catodici sincronizzato con il moto di scansione con cui il fascio elettronico dell’apparecchio esplora il campione metallografico: sul tubo a raggi catodici si ha un’immagine (ingrandita) del campione, relativa alla distribuzione del solo elemento chimico prescelto nello spettrometro. Successivamente, possono aversi immagini per tutti gli elementi del sistema periodico, con alcune limitazioni soltanto per gli elementi a bassissimo numero atomico (<4). L’analisi con microsonda elettronica è il mezzo più efficace per studiare fenomeni di segregazione e diffusione, inclusioni non metalliche, scaglie di ossidazioni, inquinamenti ecc.
I metodi diffrattometrici possono dare informazioni sulla natura e sulle dimensioni del reticolo cristallino, sulle dimensioni dei grani, sugli orientamenti cristallografici e sui difetti reticolari. La tecnica è basata sul fenomeno della diffrazione di raggi X, operata dal reticolo cristallino del campione in esame. Poiché quando un metallo subisce una trasformazione allotropica variano i parametri reticolari e quando è incrudito, o comunque sottoposto a tensioni interne, i piani reticolari si deformano, con una tale tecnica si possono avere informazioni sullo stato del metallo in esame.
Molto spesso in m. vi è necessità di effettuare misurazioni di estensione superficiale di fasi, di contare grani o noduli di grafite, di misurare la lunghezza di inclusioni ecc. Poiché tutte le quantità da misurare, o da contare, hanno una più o meno forte dispersione statistica, è necessario operare su moltissimi campi del campione, o di campioni diversi, per avere risultati significativi e utili. Allo scopo, l’immagine proveniente da microscopio ottico ordinario viene ripresa per mezzo di una telecamera e acquisita da un sistema di elaborazione dati. In questo modo si viene a disporre di un insieme di dati bidimensionali contenenti l’informazione relativa alle caratteristiche locali del campione ed è perciò possibile effettuare analisi quantitative relative alle percentuali di variabilità dell’immagine e mettere in relazione tali dati con le caratteristiche fisiche e cristallografiche della struttura esaminata.