Disciplina storica che studia le testimonianze scritte del passato, di qualsiasi tipo ed epoca, e i contesti socioculturali del loro uso, ricostruisce la storia delle forme grafiche, le decodifica, le data e le localizza mediante lo studio delle tecniche esecutive e il confronto fra diversi esempi. Oggetto dell’indagine paleografica sono anche alcuni aspetti extragrafici delle testimonianze studiate: i sistemi abbreviativi, interpuntivi, i modi di impaginazione dei testi, la diffusione sociale dell’uso della scrittura ecc. Può esistere una p. per ogni scrittura usata nel passato con tecniche esecutive manuali, ma gli studi storici si sono sviluppati in modo approfondito nel campo della p. greca e di quella latina, e più di recente, nel campo di quella ebraica. Lo studio delle notazioni musicali è oggetto della p. musicale, che si occupa soprattutto dei sistemi di notazione medievali.
Come disciplina autonoma e come definizione, la p. nasce greca nel 1709 con la Palaeographia graeca del benedettino francese B. de Montfaucon. Lo aveva comunque preceduto il confratello J. Mabillon, con la composizione, nel 1681, del primo trattato di p. latina medievale, De re diplomatica. La disciplina paleografica trovò poi una sistematizzazione erudita nel Nouveau traité de diplomatique di R.-P. Tassin e C.-F. Toustain (1750-65), mentre in Italia il veronese S. Maffei (1727) avanzava l’ipotesi che il frammentato particolarismo grafico altomedievale discendesse organicamente dall’unità scrittoria romana. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, L.-V. Delisle a Parigi e L. Traube a Monaco di Baviera gettarono le basi dei moderni studi paleografici, ponendosi i problemi non solo della classificazione delle scritture, ma anche della datazione e localizzazione dei libri manoscritti e perciò dell’esistenza dei centri scrittori altomedievali: la p. si staccava dalla diplomatica e diventava scienza ausiliaria della filologia; analogo sviluppo aveva nello stesso periodo la p. greca.
In Italia un interprete dei nuovi orientamenti fu L. Schiaparelli, mentre un allievo di L. Traube, E.A. Lowe, coadiuvato da B. Bischoff, raccoglieva in un repertorio le notizie dei più antichi libri in scrittura latina fino all’anno 800 (Codices latini antiquiores, 12 vol., 1934-72). Nuove prospettive si aprirono fra il 1939 e i primi anni 1950 con le ricerche dei francesi J. Mallon, R. Marichal e C. Perrat, che indirizzarono l’attenzione sulle tecniche esecutive e sulla ricostruzione del tratteggio delle forme grafiche. Contemporaneamente in Italia G. Cencetti forniva per la prima volta una visione compiutamente storicistica della storia della scrittura latina, cui si sono ispirati A. Pratesi, E. Casamassima, J.O. Tjäder, A. Petrucci, G. Cavallo. A Pratesi e a Cavallo si devono impulsi decisivi per il rinnovamento degli studi di p. greca, troppo a lungo rimasti legati a una metodologia descrittiva e classificatoria, ma ormai in pieno movimento per merito anche delle scuole austriaca, tedesca e vaticana. In Francia e Italia, nuove metodologie di ricerca codicologica e paleografica si sono fondate su indagini materiali e quantitative.
La p. ebraica ha avuto importanti sviluppi in Italia nella prima metà del 20° sec. grazie a C. Bernheimer e U. Cassuto; decisivi negli ultimi decenni del Novecento i contributi di S.A. Birnbaum, C. Sirat e M. Beit-Arié.
La scrittura greca di età classica, testimoniata da epigrafi e papiri librari e documentari di origine prevalentemente egiziana (➔ papiro), è di struttura maiuscola, con forme geometrizzate. Mentre con i sec. 3°-1° a.C. le scritture documentarie, in ambito burocratico e cancelleresco, cominciano a modificarsi per effetto di un processo di corsivizzazione dove anche l’uso di legature di lettere fra loro genera modifiche grafiche strutturali importanti, quelle librarie assumono forme rotondeggianti, spesso di aspetto monumentale, che si tipizzano dando vita, fra il 1° sec. a.C. e il 3° d.C., a stili diversi. Con i sec. 3°-4° d.C. il processo di corsivizzazione, che trova particolare incremento in ambito burocratico, provoca la formazione di tipologie grafiche usuali ormai minuscolizzate. In campo librario si formano tipologie grafiche destinate a durare a lungo nel tempo, come la maiuscola biblica o le maiuscole ogivali nelle varietà diritta e inclinata. Soltanto nella seconda metà dell’8° sec. la minuscola, ormai da tempo in uso in ambito documentario, comincia a essere adottata anche in ambito librario, e tra 9° e 12° sec. diviene la scrittura normale del libro della cultura bizantina in tutto il territorio dell’impero (Italia meridionale, Grecia, Creta, Bisanzio, Oriente), con formazione anche di tipologie particolari (stile ‘asso di picche’, stile di Reggio ecc.).
La crisi dell’impero bizantino successiva alla conquista di Bisanzio da parte dei Crociati (1204) influì negativamente sulla produzione manoscritta: a tipologie grafiche di centri di forte tradizione e alto prestigio si vennero sostituendo corsive di tipo personale, molte delle quali proprie dei dotti di età preumanistica e umanistica, fino ai prodotti grafici del secondo Quattrocento, che fornirono gli esempi per i caratteri greci a stampa di tipo corsivo, usati da A. Manuzio a partire dal 1494 e imposti poi come modello in tutto l’Occidente europeo.
Analogamente a quella greca (e alle altre scritture italiche, come quella etrusca, da cui deriva direttamente) la scrittura latina si sviluppa per un lungo periodo (7° sec. a.C. - 3° d.C.) unicamente in forme di tipo maiuscolo. Le testimonianze possedute sono epigrafiche fino al 1° sec. a.C., poi anche librarie e documentarie su papiro. Nell’uso documentario si sviluppa presto una corsiva fortemente dissociata nell’esecuzione a sgraffio e progressivamente sempre più corrente nell’esecuzione a inchiostro su papiro, legno, òstrakon; ve ne sono esempi nei graffiti murali pompeiani, nelle tavolette cerate, nei papiri documentari. Nell’uso librario si impongono tipizzazioni, più o meno formali, di una capitale detta rustica, adoperata fino alla prima metà del 6° sec. e caratterizzata da forme allungate delle lettere, separate rigidamente tra loro, chiaroscuro accentuato, presenza di tratti di complemento alla fine delle aste discendenti. La forte diffusione sociale della scrittura e l’estesa produzione documentaria privata e pubblica concorrono a produrre fra 2° e 3° sec. la formazione, nell’Africa settentrionale occidentale, di tipizzazioni minuscole sia corsive sia posate, che a poco a poco si diffondono largamente nell’uso e sostituiscono le tipologie capitali, rimaste relegate ai livelli più formali: documenti della cancelleria imperiale e codici di lusso destinati all’aristocrazia paganeggiante.
Fra 4° e 5° sec., sempre in Africa (grande laboratorio grafico del mondo mediterraneo prima della conquista araba), nasce un’altra tipologia scrittoria, adottata soprattutto nella produzione libraria cristiana, l’onciale, caratterizzata da forme tondeggianti imitanti quelle della maiuscola biblica greca. Onciale, minuscola (col nome di semionciale) e corsiva nuova (cioè minuscola corsiva, dove le numerose legature determinano rilevanti mutamenti nella morfologia delle lettere) passano dalla tarda antichità all’Alto Medioevo, periodo in cui le diverse regioni europee, dove la diffusione dello scritto si era enormente ridotta, danno vita a tipizzazioni grafiche locali: le insulari in Irlanda e in Inghilterra, la merovingica in Francia, la visigotica in Spagna, la beneventana nell’Italia meridionale longobarda, prevalentemente basate su processi di trasformazione in senso formale della corsiva nuova.
Con l’età carolingia, tra la fine dell’8° sec. e gli inizi del 9°, si elabora in Francia una nuova tipizzazione minuscola basata sulla semionciale, che, anche per lo scarso numero di abbreviazioni, ha i pregi della semplicità e della chiarezza del disegno delle lettere e perciò della leggibilità: è la minuscola carolina, corrispondente ai nostri caratteri a stampa, che si diffonde rapidamente nel corso del 9° sec. a tutti i territori appartenenti al Sacro romano impero e poi anche all’Inghilterra (10°-11° sec.), alla Spagna della riconquista cristiana e all’Italia meridionale longobarda invasa dai Normanni (11° sec.); a Roma e nell’Italia centrale se ne conosce fra 10° e 12° sec. una particolare tipizzazione detta romanesca o minuscola romanesca, caratterizzata dal modulo relativamente grande delle lettere, schiacciate e inclinate a destra.
Fra 11° e 12° sec. lo stile della minuscola carolina viene modificato da tecniche esecutive nuove, che ne accentuano il contrasto di tratteggio, la compattezza di esecuzione sul rigo, la fittezza delle righe nella pagina: nasce così la minuscola gotica (o littera textualis), sentita dai contemporanei come littera moderna, che nel 13° sec. diventa in tutta Europa la scrittura dei libri della cultura universitario-scolastica, attraverso differenti tipizzazioni locali, tra le quali in Italia la littera bononiensis, bolognese. La sempre maggiore diffusione dell’uso dello scrivere, anche fra i laici e nelle lingue volgari, e la crescita della produzione documentaria, provocano contemporaneamente anche la formazione di nuove corsive che sostituiscono dappertutto l’arcaica corsiva nuova; in Italia si affermano la minuscola cancelleresca o notarile e la mercantesca, adoperate anche in ambito librario.
Fra 14° e 15° sec. le critiche rivolte dai protoumanisti italiani alla cultura scritta di età gotica provocarono con F. Petrarca e C. Salutati il ritorno a forme grafiche sempre più simili alla minuscola carolina, che sfociò, fra gli ultimi anni del 14° sec. e i primi anni del 15°, nella formazione di una nuova minuscola di uso librario, fedele imitazione della antica carolina e denominata umanistica o antiqua; come il suo modello, è anch’essa posata, tondeggiante, diritta, praticamente priva di legamenti fra lettere e di abbreviazioni; nella seconda metà del 15° sec. se ne diffonde una tipizzazione più grande, più tonda, pesante e rigida (antiqua tonda). Accanto alla umanistica posata si affermano in ambito documentario tipi di corsive influenzati dall’antiqua, che si definiscono genericamente umanistiche corsive. Adottate anche in altri paesi europei, accanto alle gotiche e alle corsive ‘bastarde’ tradizionali, le tipologie grafiche umanistiche costituirono nella seconda metà del 15° sec. i modelli dei caratteri romano tondo e corsivo italico della stampa, rimanendo in uso anche nella produzione tipografica successiva.
Dell’originaria scrittura ebraica, di tipo fenicio, rimangono testimonianze lapidarie, su òstraka e, più tardi, su monete. A partire dal 5° sec. a.C. fu affiancata dai caratteri in uso per l’aramaico, detti quadrati o assiri (introdotti secondo la tradizione dai reduci della cattività babilonese), che la sostituirono progressivamente fino a soppiantarla nel 2° sec. d.C. La documentazione più rilevante di epoca antica sulla scrittura quadrata è data dai rotoli del Mar Morto (3° sec. a.C. - 70 d.C.); molto più raro e di diversa natura il materiale disponibile fino al 9° secolo. Da questa epoca in avanti il materiale documentario è in prevalenza costituito da manoscritti cartacei e pergamenacei.
In epoca medievale la dispersione degli Ebrei nel mondo ha dato origine a diverse tradizioni locali, riconducibili, secondo classificazioni schematiche, a gruppi principali come il sefardita (di area originariamente spagnola), l’italiano, il provenzale, l’ashkenazita (originariamente tedesco, quindi dell’Europa Orientale), il greco, l’orientale (o di area islamica), lo yemenita, il persiano. In ogni gruppo geografico si distinguono tre tipi di scrittura: quadrata, corsiva e semicorsiva (o intermedia); sono inoltre riconoscibili evoluzioni stilistiche temporali, divisioni in sottogruppi e commistioni di stili. L’introduzione della stampa (che usò inizialmente vari modelli, con la prevalenza dei tipi quadrato e semicorsivo spagnolo) comportò il progressivo abbandono del semicorsivo. Il tipo quadrato permane tra l’altro in tradizioni specializzate e ritualizzate di copia di rotoli biblici pergamenacei.
La scienza relativa alla scrittura musicale antica si è sviluppata a partire dal 19° sec., epoca in cui l’indagine musicale assumeva coerenza e sicurezza di metodo nella interpretazione filologica dei testi. In questo periodo ha inizio, preceduta dai tentativi di F. Commer e K. Proske, la pubblicazione dei ‘monumenti musicali’, cui si affiancano importanti lavori interpretativi. Promotori della restaurazione del canto liturgico medievale furono i benedettini di Solesmes, con gli studi avviati da J. Pothier e proseguiti sotto la guida di A. Mocquerau e con la pubblicazione in fascicoli, dal 1889, della collezione Paléographie musicale, comprendente le copie fotografiche dei principali manoscritti del canto gregoriano, ambrosiano, mozarabico e gallicano, accompagnata da scritti introduttivi, teorici e filologici, base dei successivi studi paleografici. Dal 1952 è attiva a Cremona una scuola di p. e filologia musicale dipendente dall’università di Pavia.