siderurgia L’insieme delle tecniche che hanno per scopo la produzione e la prima lavorazione del ferro, della ghisa, dell’acciaio e delle ferroleghe, fino alla produzione di semilavorati quali lingotti, billette, lamiere ecc. Comprende la s. estrattiva, che si occupa della produzione della ghisa di prima fusione dai minerali di ferro e la s. tecnologica, che si occupa della fabbricazione dei vari tipi di acciai e di ghisa.
Antichità e Medioevo. La ragione della ritardata comparsa del ferro rispetto al bronzo e al rame va ricercata nelle difficoltà che si incontrarono per ottenerlo, difficoltà connesse all’esigenza di raggiungere temperature elevate in un ambiente convenientemente riducente. Pertanto il primo ferro fu ottenuto allo stato pastoso in forma di blocchetti che dovevano poi essere faticosamente foggiati per battitura: esso era naturalmente ricco di scorie, in parte eliminate in seguito alla lavorazione meccanica. La tecnica seguita dagli antichi metallurgisti è stata chiarita principalmente dai ritrovamenti archeologici di residui di forni fusori. Tra i primi forni impiegati furono i cosiddetti ‘bassifuochi’, che ebbero probabilmente per progenitori i forni indiani: questi erano composti in sostanza di un letto di terra refrattaria sul quale si disponeva del minerale misto a carbone, la cui combustione si attivava con rudimentali mantici a mano. Il bassofuoco, o forno catalano, constava di una fossa scavata nel terreno, con le pareti rivestite di pietre e di argilla refrattaria, nella quale si caricavano carbone di legna e minerale ferroso. La combustione era attivata con mantici a mano e il ferro era di solito ottenuto allo stato di massello.
Successivamente si pensò di allestire i forni, invece che per escavazione nel terreno, sviluppandone le dimensioni verso l’alto, costruendoli cioè con una parte centrale in argilla refrattaria, sostenuta in un primo tempo a mezzo di terra e pietre e poi con opere murarie di sostegno vere e proprie. Si andavano così delineando i primi forni a tino (come i forni a osmund in Svezia e Finlandia, attivi in queste regioni fino al 1860; i famosi Stücköfen tedeschi; il forno a tino descritto da Vannoccio Biringuccio nella sua opera De la pyrotecnia, 1540 ecc.).
Mentre nei bassifuochi si otteneva un prodotto impuro a causa delle scorie, ma assai poco carburato (e quindi costituito essenzialmente da ferro), nei forni a tino si poteva realizzare, inizialmente in modesta misura e poi con l’affinarsi della tecnica in ragione crescente, una carburazione del prodotto di riduzione, conseguente a una più o meno apprezzabile concentrazione di carbonio nel ferro. Tale azione carburante dei forni a tino si intensificò bruscamente quando, alla fine del 13° sec., si introdusse in Germania l’uso della ruota idraulica per azionare i mantici dei forni fusori. Le conseguenze di questa modesta innovazione furono enormi: la combustione più attiva che ne derivava e il relativo raggiungimento di temperature più alte permise di ottenere un prodotto non più allo stato pastoso ma fluido.
Grande tuttavia fu la delusione dei metallurgisti quando si accorsero che tale prodotto, una volta fatto solidificare, non presentava più quelle spiccate caratteristiche di malleabilità e soprattutto di saldabilità che rendevano così pregiato il ferro ricavato in forma di masselli. Era in effetti nato un nuovo prodotto siderurgico, duro e fragile, non costituito in realtà da solo ferro ma da una lega del ferro con il carbonio, cioè la ghisa. Questo fu il motivo per cui gli antichi Stücköfen tedeschi assunsero poi il nome di Flossöfen, volendosi con ciò indicare che essi erano espressamente destinati alla produzione di un prodotto che veniva ottenuto allo stato liquido. Ciò avvenne verso il 1450, quando si erano già realizzati notevoli progressi nell’arte di gettare la ghisa e quando si comprese l’utilità di trasformare questa in ferro, cioè in un prodotto meno carburato, valendosi delle proprietà tipicamente affinanti del bassofuoco.
Età moderna. Furono così poste le basi della moderna tecnica siderurgica, con la fondamentale acquisizione che, per ottenere il ferro (o comunque un acciaio, cioè una lega a basso tenore di carbonio), conviene passare attraverso un prodotto più carburato ottenuto allo stato liquido (ghisa) e sottoporre quest’ultimo a conversione con adatti sistemi, così da ridurne tra l’altro il tenore di carbonio sino a portarlo alla percentuale voluta. Inoltre si realizzò così un altro principio fondamentale dell’industria moderna, quello della continuità dell’operazione: nei Flossöfen infatti si aveva produzione continua di ghisa mentre nuovo minerale, misto a riducente, veniva caricato alla bocca del forno.
Si introducevano intanto in Inghilterra notevoli migliorie tecniche: nel 1475 furono impiantati i primi forni continui per la fabbricazione della ghisa, già sperimentati in Germania. Tuttavia lo sviluppo dell’industria siderurgica fu almeno in un primo tempo ostacolato dalle leggi restrittive che il governo inglese fu costretto ad applicare per la salvaguardia del patrimonio forestale, che andava rapidamente esaurendosi in seguito all’impiego del carbone di legna nei forni fusori. Il problema, che condusse in pratica per alcuni secoli a un arresto dello sviluppo della s., fu risolto in Inghilterra, dove si pensò di sfruttare come mezzo riscaldante e riducente il carbon fossile. Dopo vari tentativi infruttuosi, A. Darby (1730), sottoponendo a distillazione secca il carbon fossile, ottenne per la prima volta il coke, prodotto che nel giro di pochi decenni avrebbe in buona parte sostituito, in Inghilterra, il carbone di legna. L’uso del coke, che brucia più difficilmente del carbone di legna, impose la necessità di aumentare la pressione dell’aria iniettata nei forni: questo ulteriore problema fu risolto, sempre in Inghilterra, quando si pensò (1775 ca.) di applicare la macchina a vapore di Watt per azionare le soffianti per l’aria, fino allora funzionanti a mezzo di ruote idrauliche. Grazie a queste varie innovazioni, sulle quali seppe gelosamente custodire il segreto, l’Inghilterra si trovò alla fine del Settecento in condizioni di assoluta egemonia rispetto ai paesi europei.
Ancora in Gran Bretagna la tecnica siderurgica fece un altro grande passo avanti per opera di J.B. Neilson, direttore di una fabbrica di gas a Glasgow, il quale pensò di preriscaldare l’aria utilizzata in alcuni forni metallurgici a combustione, partendo dal presupposto che alcune irregolarità di marcia già da tempo osservate dovessero essere attribuite all’umidità contenuta nell’aria stessa. L’applicazione di tale principio su vasta scala ebbe inizio nel 1820. Le conseguenze di questa innovazione furono enormi: il consumo di carbone per tonnellata di ghisa prodotta venne ridotto entro due anni da 8,5 t a poco più di 2 t, semplicemente riscaldando l’aria a circa 300 °C; nello stesso tempo aumentò grandemente la produzione di ciascun altoforno.
Frattanto, per il progressivo aumento nei valori delle temperature raggiungibili all’interno degli altiforni in conseguenza dei vari ritrovati tecnici di cui si è fatto cenno, il profilo dell’altoforno si andava rapidamente modificando; si comprese infatti l’utilità di costruire il forno a sezione circolare in tutte le sue parti, di adottare come sagoma interna quella assunta naturalmente dagli altiforni dopo un congruo periodo di funzionamento (G. Gibbons, 1839), di affidare almeno in parte la funzione di resistenza meccanica non soltanto alla muratura esterna di sostegno ma anche a robuste cerchiature di ferro ecc.
Dal 1850 a oggi, oltre a essere stato completamente chiarito il meccanismo di formazione della ghisa, i ritrovati essenziali sono stati in particolare diretti alla modifica del profilo e al miglioramento generale nella condotta degli altiforni. Così, per opera di E. Cowper (1860), si riuscì a preriscaldare l’aria fino a circa 800 °C, con conseguente notevole risparmio di combustibile e raggiungimento di più elevate temperature nei forni; si modificò la forma del crogiolo che venne anche munito di una seconda bocca per lo scarico delle scorie (1867); si abolirono (1880) le strutture murarie di sostegno degli altiforni, sostituendole con cerchiature, corazzature e opere di carpenteria in metallo; si meccanizzarono i servizi; si aumentò la capacità e la potenzialità degli altiforni, grazie all’allargamento progressivo del diametro del crogiolo; si procedette a un’accurata preparazione preventiva dei minerali (➔ altoforno; ghisa).
Accanto allo sviluppo della tecnica di fabbricazione della ghisa si è avuto uno svolgimento quasi parallelo nella fabbricazione dell’acciaio (➔).
2. L’industria siderurgica in Italia
Gli esordi dell’industria siderurgica in Italia furono fortemente condizionati dalla modesta presenza nel sottosuolo di minerali di ferro e soprattutto di carbon fossile, per cui si verificò, nel primo ventennio unitario, una crescente importazione di ghisa dall’estero. Con la diffusione delle applicazioni del ferro nelle ferrovie e nell’industria meccanica in genere si assistette al lento rinnovamento delle vecchie ferriere (con l’adozione di forni Martin-Siemens e di convertitori da rottami di ferro). Le regioni che contribuirono maggiormente all’espansione produttiva furono la Liguria, la Lombardia, il Piemonte, la Toscana. La sempre maggiore consapevolezza del ruolo potenzialmente strategico della s. spinse lo Stato a fondare nel 1884 a Terni una grande e moderna acciaieria.
All’inizio del 20° sec., al fine di migliorare l’utilizzazione del minerale di ferro nazionale e di limitare la dipendenza dall’estero, furono impiantati alcuni altiforni a coke per la produzione della ghisa: a Portoferraio (con la ditta Elba) nel 1902, a Piombino e infine a Bagnoli. In questo periodo si costituì l’Ilva, alla quale venne dato in concessione l’esercizio degli stabilimenti di Piombino, di Savona, della ditta Elba e, in seguito, del grande impianto di Bagnoli, in modo da creare un vasto gruppo siderurgico e cantieristico che poté fruire delle facilitazioni concesse dallo Stato. Nella Prima guerra mondiale, notevoli sforzi furono operati al fine di sopperire alla drastica riduzione delle importazioni di ghisa con la creazione disordinata soprattutto di impianti convertitori da rottami. Tra le due guerre i gruppi siderurgici attraversarono un periodo di crisi caratterizzato dalla limitata disponibilità di capitali. Nel 1929, alcuni gruppi siderurgici furono assorbiti dall’IRI: l’Ilva (che aveva precedentemente assorbito l’Elba) e la Dalmine. Tali complessi furono affidati alla Finsider, holding dell’Istituto, che si occupò della riorganizzazione del settore siderurgico sulla base della fabbricazione dell’acciaio dal minerale.
Nei primi anni del secondo dopoguerra fu realizzato il programma di riconversione della s. italiana. Il ‘piano Sinigaglia’ (dal nome del presidente della Finsider, Oscar Sinigaglia) prevedeva l’entrata in funzione dell’impianto ricostruito di Cornigliano, smantellato dalle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale, l’utilizzazione dei derivati del carbone importato, una riorganizzazione degli impianti a ciclo integrale che accentuasse la specializzazione affidando a imprese secondarie talune produzioni minori. Nel 1961, l’Ilva, la Cornigliano e altre imprese della Finsider costituirono l’Italsider; a esse si aggiunse, nel 1967, la società Siac. In quegli anni le scelte di localizzazione dei nuovi insediamenti siderurgici furono dettate dalle politiche di sviluppo del Mezzogiorno, nonostante la distanza dai principali mercati di sbocco contribuisse ad accrescere il peso dei costi di trasporto. Negli anni 1960, infatti, venne decisa la realizzazione dell’impianto costiero di Taranto, a ciclo integrale e schema modulare.
Contemporaneamente alla componente pubblica, anche la siderurgica privata conobbe un rapido sviluppo in lavorazioni complementari, caratterizzate dalla piccola o media dimensione e dall’elevata flessibilità organizzativa e manageriale. Il 1974 fu l’anno record dell’offerta siderurgica italiana. La produzione nazionale d’acciaio risultò pari a circa 23 milioni di t e l’Italia divenne il secondo produttore europeo dopo la Repubblica Federale di Germania. La depressione, particolarmente pronunciata tra il 1975 e il 1977, risultò aggravata dalla crescente competitività dei produttori emergenti e dal rafforzamento dei concorrenti tradizionali. Gli anni 1980 iniziarono con una nuova crisi della domanda, causa del declino della s. italiana fino alla metà degli anni 1990. Nel 1981, infatti, la Commissione CEE emanò un codice che prevedeva anche per l’Italia l’avvio di programmi di riduzione della capacità produttiva. Parallelamente, in questi anni, si assistette alla crescita delle imprese siderurgiche private, le quali riuscirono a superare la crisi indirizzando la produzione verso il settore degli acciai speciali e di alta qualità. Ulteriori tagli si resero necessari negli anni 1990, quando il gravissimo deficit della s. pubblica obbligò a un piano di privatizzazione delle imprese. Nel 1993 l’Ilva fu scissa in Acciai speciali Terni (ceduta nel 1994 a una società italo-tedesca, con azionista di maggioranza il gruppo Krupp) e Ilva laminati piani (venduta nel 1995 al gruppo Riva). Il processo di privatizzazione si concluse nel 1996 con la cessione della Dalmine, rimasta di pertinenza della Ilva, alla Techint del gruppo argentino Rocca. Nel 2005 uno dei maggiori gruppi privati, la Lucchini, ha ceduto il 62% delle azioni alla russa Severstal.