Espulsione o estrazione del feto dei Mammiferi dagli organi genitali. Avviene al termine della gravidanza, quando lo sviluppo prenatale può considerarsi concluso: l’utero contraendosi ritmicamente (travaglio di p.) determina l’espulsione del feto e, successivamente, il secondamento degli annessi fetali dall’organismo materno.
Per quanto riguarda il p. umano, la fuoriuscita del feto attraverso le vie genitali della madre che si svolge in modo naturale e senza interventi esterni viene indicata come p. eutocico (spontaneo); se subentrano complicanze o ostacoli, il p. si dice distocico; è chiamato operativo quando è necessario un intervento strumentale o manuale, che si può realizzare per via vaginale (con applicazione di ventosa o semplicemente con scollamento manuale della placenta), oppure attraverso l’incisione chirurgica della parete addominale e dell’utero (taglio cesareo). A seconda del numero dei feti, il p. può essere semplice (un solo feto) o multiplo (due o più feti). Viene definito a termine il p. che si verifica tra l’inizio della 38a e la fine della 41a settimana di gestazione; pretermine, tra l’inizio della 24a e la fine della 37a settimana; post-termine dopo la 42a settimana; abortivo prima della 24a settimana (180° giorno di gravidanza). La donna in travaglio viene indicata come partoriente, dopo l’espletamento del p., puerpera.
Diverse teorie hanno tentato di spiegare gli eventi che portano all’inizio del travaglio e alla sua progressione e che si concludono con l’espulsione del feto e degli annessi fetali. Tuttavia, le cause del p. sono discusse, soprattutto per quanto riguarda la coordinazione e il mantenimento dei diversi meccanismi di autoregolazione. L’andamento del travaglio dipende essenzialmente dall’intensità, dall’organizzazione e dalla regolarità delle contrazioni uterine, e dalla capacità del canale cervicale di dilatarsi senza opporre resistenza alla progressione del feto. Avvicinandosi l’epoca presunta del p., la membrana delle fibrocellule muscolari del miometrio diventa progressivamente più responsiva agli stimoli che sono in grado di determinare la contrazione. In quest’ambito, entrano sicuramente in azione meccanismi ormonali complessi e non del tutto chiariti, che prevedono il coinvolgimento del progesterone, degli estrogeni, dell’ossitocina, delle prostaglandine, della relaxina. L’effetto inibitorio del progesterone sulla contrazione uterina è noto da tempo. Questo ormone è prodotto all’inizio della gravidanza dal corpo luteo e successivamente dalla placenta. La sua azione è essenzialmente quella di fissare il calcio ai suoi siti di legame, rendendolo non disponibile ai fini del meccanismo contrattile e, in secondo luogo, di inibire la propagazione dello stimolo da una cellula all’altra.
L’effetto di antagonismo per gli estrogeni si realizza con il blocco dei recettori specifici per tali ormoni. Nel corso della gravidanza, l’azione degli estrogeni si esplica prevalentemente attraverso l’aumento delle proteine contrattili e l’accumulo di molecole ad alto potenziale energetico (molecole di ATP, adenosintrifosfato). Gli estrogeni, infine, agiscono determinando un incremento del numero di recettori specifici per l’ossitocina nel miometrio. L’ossitocina è un ormone prodotto dall’ipofisi posteriore, dotato di un notevole potere stimolante sull’attività contrattile del miometrio. L’ossitocina sintetica viene impiegata con successo per provocare farmacologicamente il p. o per intensificare le contrazioni uterine spontanee (fig. 1). L’aumento dei legami dell’ossitocina con i suoi recettori sembra essere un fattore favorente al travaglio spontaneo. Le prostaglandine sono prodotte dalla decidua e dalle membrane amniocoriali e sono probabilmente in grado di scatenare il travaglio di parto. Sono, infatti, dei potenti attivatori della contrazione uterina (soprattutto la prostaglandina F2α), che agiscono favorendo l’accumulo di ioni calcio all’interno della cellula. Svolgono anche un’azione a livello della cervice (soprattutto la prostaglandina E2), determinandone il rammollimento, l’accorciamento e la dilatazione (maturazione cervicale). La relassina è un ormone prodotto dal corpo luteo gravidico e dalla decidua, il cui ruolo è presumibilmente quello di intervenire nella maturazione del collo dell’utero nel periodo che precede il travaglio.
Per fare diagnosi di travaglio di p. è necessario rilevare contrazioni uterine regolari, frequenti e intense. Tali contrazioni portano a modificazioni della porzione vaginale del collo uterino. Un altro elemento diagnostico è l’espulsione del tappo mucoso che, durante la gravidanza, sigilla l’orifizio uterino esterno, contribuendo a proteggere il feto dall’ambiente extrauterino. Deve essere inoltre valutata la condizione di integrità o rottura delle membrane amniocoriali, di fondamentale importanza nella gestione clinica del travaglio.
Durante il p. eutocico, la forza delle contrazioni uterine e del torchio addominale permette la fuoriuscita del feto (o corpo mobile) attraverso il canale del p. (pelvi e parti molli). È per tale ragione che nel p. sono considerati tre fattori: la forza, il canale del p., il corpo mobile.
La forza è data dalle contrazioni uterine, che si propagano come un’onda, dal punto di insorgenza a tutto il resto dell’utero. Come in tutti i tessuti dotati di una propria ritmicità, è presente nel miometrio un pacemaker, che scandisce la frequenza dell’attività muscolare. Le contrazioni che ne derivano sono involontarie ma regolate per via riflessa da stimoli locali. Nel corso del travaglio, a ogni contrazione segue un periodo di riposo, necessario alla cellula sia per il rifornimento energetico, sia per lo smaltimento delle sostanze di rifiuto. Poco prima dell’espulsione del feto, la pausa diventa sempre più breve e ciò determina, a livello della fibrocellula, una carenza di ossigeno che, insieme allo stiramento e alla compressione dei nervi uterini, rende dolorosa la percezione della contrazione.
Il canale del p. è formato dalle ossa del bacino e dalle parti molli, costituite dalle vie genitali materne. Il canale osseo (o meglio il piccolo bacino) limita la distensibilità delle parti molli, costringendo il feto a superare un vero e proprio cingolo osseo completo. L’ingresso del bacino (stretto superiore) è costituito, procedendo dalla parte anteriore a quella posteriore, dalla sinfisi pubica, dall’osso del pube, dall’eminenza pettinea delle ossa iliache, dalle ali del sacro, dal promontorio. Scendendo verso il basso, nel canale del p., si trovano lo stretto medio, delimitato dal margine inferiore della sinfisi pubica, dalle spine ischiatiche e dalle ultime vertebre sacrali. Lo stretto inferiore corrisponde all’uscita del canale osseo; esso è contornato da parti dure solo anteriormente e lateralmente (arcata sottopubica, branche ischiopubiche e tuberosità ischiatiche), mentre è formato posteriormente da legamenti molto estensibili e dal coccige, che può essere spinto indietro dal passaggio della testa fetale.
Nel corpo mobile (feto) l’estremo cefalico costituisce il polo più voluminoso e meno comprimibile; è quindi quello che offre la maggior resistenza nel tragitto attraverso il canale del parto. Tra le ossa del tavolato cranico fetale, tuttavia, ci sono dei sottili spazi fibrosi (suture) o spazi membranosi più ampi (fontanelle), che consentono un certo grado di plasticità; al contrario il tronco del feto non presenta, in genere, ostacoli meccanici, potendo essere notevolmente compresso durante la progressione nel canale del parto.
In base ai rapporti che il feto contrae con il canale del p. e con l’utero si distinguono: a) l’atteggiamento, che è dato dai rapporti reciproci delle varie parti del feto; il più frequente è quello di flessione generalizzata, con testa flessa sul tronco, avambracci sulle braccia, gambe sulle cosce e cosce sull’addome, con flessione della colonna vertebrale; b) la situazione, considerata in riferimento al rapporto tra l’asse longitudinale del feto e quello della cavità uterina; nella maggior parte dei casi la situazione è longitudinale, ma può essere obliqua o trasversa; c) la presentazione, che si riferisce alla prima grossa parte fetale che si confronta con lo stretto superiore (testa, podice o spalla); quella di testa (cefalica) è quella che consente l’effettuazione del maggior numero di p. eutocici. d) la posizione, data dal rapporto che l’indice di presentazione contrae con i 4 punti in cui i diametri obliqui incrociano lo stretto superiore.
Appartengono a questo gruppo gli eventi materni che si verificano durante il travaglio al passaggio del feto nel canale del parto. Essi comprendono: a) l’espansione del segmento uterino inferiore (fig. 2). Negli ultimi 2 mesi di gravidanza, l’istmo dell’utero si trasforma nel cosiddetto segmento uterino inferiore; sotto la spinta di contrazioni preparatorie, esso si assottiglia, allungandosi sia trasversalmente sia longitudinalmente; b) l’appianamento e la dilatazione della cervice (fig. 3). La cervice va incontro a raccorciamento e dilatazione progressivi (periodo dilatante), fino a quando l’orifizio uterino esterno raggiunge il diametro di circa 9-10 cm (dilatazione completa); c) la formazione della borsa delle acque e la rottura delle membrane. Contrariamente al segmento uterino inferiore e alla cervice, le membrane sono inestensibili; pertanto, durante la distensione del segmento uterino inferiore e della cervice esse si distaccano, formando la cosiddetta borsa delle acque. La rottura di tale borsa si verifica fisiologicamente nel corso del travaglio, quando il collo è già dilatato (rottura tempestiva), negli altri casi la rottura viene definita: intempestiva, se la cervice non è ancora dilatata; prematura, se si verifica prima dell’inizio del travaglio; precoce, se avviene subito dopo l’inizio delle contrazioni; tardiva, se la bocca uterina ha già raggiunto la dilatazione completa. A volte la rottura delle membrane viene praticata artificialmente (amniorexi); d) distensione della vagina, del perineo e della vulva. In questa fase, il corpo uterino, il segmento inferiore, la cervice e la vagina formano un canale unico e continuo, che si estende al passaggio del feto.
Appartengono a questo gruppo i fenomeni materno-fetali, i quali portano il feto a compiere dei movimenti passivi al passaggio nel canale del parto. Si possono osservare in successione cronologica diversi momenti: a) riduzione e impegno. La riduzione dei diametri fetali a livello della parte presentata è di fondamentale importanza per facilitare il passaggio del corpo mobile attraverso le vie genitali materne; essa può essere data o dalla sostituzione di un diametro più lungo con uno minore (riduzione indiretta) o dall’accorciamento di un diametro per compressione (riduzione diretta). Quando lo stretto superiore è stato superato dalla maggiore circonferenza della parte presentata, quest’ultima viene definita impegnata; b) la progressione è dovuta alla forza delle contrazioni uterine che, a dilatazione completa, spingono il feto lungo il canale genitale materno, fino a raggiungere il piano perineale (stretto medio); c) la rotazione interna: la parte presentata, procedendo verso il basso, ruota per disporre il diametro maggiore lungo l’asse anteroposteriore dello stretto medio; d) il disimpegno della parte presentata consiste nel superamento dell’anello vulvare compiuto dalla parte stessa, che esce all’esterno del canale del p., mentre il resto del corpo fetale è ancora all’interno; e) la rotazione esterna della parte disimpegnata, denominata anche restituzione, consiste in un movimento rotatorio in senso contrario a quello verificatosi all’interno delle vie genitali materne, allo scopo di riallineare lungo lo stesso asse tutto il corpo fetale; f) l’espulsione totale del feto avviene mediante un movimento elicoidale.
Consistono nelle modificazioni della forma che la parte presentata fetale subisce durante il passaggio nel canale del p.; persistono anche dopo la nascita, ma in breve tempo la parte fetale torna alla sua forma originaria.
Dal punto di vista clinico, è possibile riconoscere nel p. 4 momenti: periodo prodromico, periodo dilatante, periodo espulsivo, periodo del secondamento. Il periodo prodromico è caratterizzato dalla comparsa delle contrazioni ritmiche e dolorose, che diventano progressivamente più intense e frequenti. Il periodo dilatante corrisponde al periodo di dilatazione della cervice, caratterizzato da un aumento dell’intensità e della durata delle contrazioni. Il periodo espulsivo, così definito poiché porta all’espulsione (nascita) del feto, rappresenta la fase in cui si verificano in successione i fenomeni meccanici, sotto la spinta delle contrazioni uterine, e con la collaborazione della partoriente, che contrae volontariamente il torchio addominale. La recisione del cordone ombelicale avviene subito dopo l’espulsione del feto e prima del secondamento.
Il secondamento consiste nell’espulsione della placenta e degli annessi fetali. Dopo la fuoriuscita del feto, l’utero si contrae e inizia la sua retrazione, data dal fisiologico raccorciamento delle fibre muscolari. Poiché la placenta e le membrane fetali, al contrario delle pareti uterine, non sono costituite da tessuti elastici, non riuscendo a seguire le modificazioni dell’utero, scivolano sui piani sottostanti, distaccandosene (generalmente entro 15-30 min). Dopo il distacco, la placenta viene espulsa all’esterno insieme alle membrane, lasciando un’ampia ferita sulla superficie interna dell’utero. Il controllo dell’emorragia che ne deriva è assicurato in una prima fase da un’emostasi meccanica, dovuta alla contrazione della muscolatura uterina, che costituisce il cosiddetto globo di sicurezza; l’emostasi definitiva, invece, dipende dai normali processi di coagulazione del sangue.
Durante il periodo dilatante l’assistenza è prevalentemente psicologica; dal punto di vista clinico, è limitata alla sorveglianza delle condizioni della donna e del feto per mezzo della cardiotocografia, una tecnica che permette la contemporanea valutazione della contrattilità uterina materna e della frequenza cardiaca fetale. A dilatazione completa, se le membrane non si sono ancora rotte, si effettua l’amniorexi, previa disinfezione dei genitali esterni. Per facilitare il disimpegno della parte presentata, soprattutto nelle donne che non hanno mai partorito prima, si esegue un’incisione dell’orifizio vulvare (episiotomia o perineotomia), che costituisce una misura profilattica nei confronti di possibili lacerazioni spontanee e che previene l’insorgenza a distanza di prolassi genitali.
Dopo la nascita, al fine di evitare che il neonato inali liquido amniotico, sangue o altre secrezioni, viene eseguita l’aspirazione delle mucosità dal cavo orale e dalle narici; il cordone ombelicale viene prima clampato e poi reciso. A secondamento avvenuto, si controlla l’integrità della placenta e delle membrane, per evitare manifestazioni emorragiche nell’immediato post partum e nel puerperio. Al termine del p. l’eventuale episiotomia è suturata (episiorrafia) con ricostruzione degli strati tessutali (mucosa vaginale, strato muscolare, cute).
Fenomeni connessi alla generazione (gravidanza, puerperio, allattamento) possono indurre l’insorgenza di una psicosi nei soggetti predisposti. La percentuale più alta delle psicosi da generazione si osserva nel puerperio: talvolta sono riportabili a intossicazione o infezione (psicosi sintomatiche), altre volte invece il p. non è che il fattore scatenante, essendo già presente nella donna la predisposizione alla psicosi (psicosi endogene).
Presso differenti popolazioni esistono concezioni assai diverse sia dei principi che regolano il concepimento sia delle pratiche atte a condurre a termine positivamente la gravidanza. Alcuni gruppi, per es., fanno dipendere la durata della gravidanza dal sesso del feto, onde se è una femmina la nascita si avrà fra l’ottavo e il nono mese; se è un maschio, fra il nono e il dodicesimo mese. La maniera in cui il p. si presenta si crede dipenda dalla posizione del feto nell’utero. I Goldi della foce dell’Amur (Siberia) credono che il feto sia ritto, in piedi, durante la gestazione; i Papua, al contrario, che stia col capo in giù. Di qui l’idea delle posizioni principali, che la creatura può assumere nel momento di venire alla luce: la posizione della testa e la posizione dei piedi.
È molto comune (Indiani d’America, Melanesiani e Polinesiani, Toda ecc.) l’uso di isolare le partorienti in piccole capanne, appositamente costruite dai familiari, fuori del villaggio e di sottoporle a speciale regime, per salvaguardarle da influssi malefici. La donna in travaglio non deve portare sul capo bende, legami o nodi di sorta; il marito deve essere assente nell’ora del parto.
Nel momento decisivo la puerpera si mette in ginocchio, ovvero in posizione accoccolata. Non mancano presso vari gruppi mezzi adatti ad agevolare il p.: il seggio per far sedere la puerpera; la leva attaccata a due tronchi d’albero paralleli per farla aggrappare con le mani; lo sgabello con due forcelle per farle mettere i piedi distesi in avanti ecc.; come pure non mancano le esperte (o gli esperti) che fanno da levatrici. Talvolta questo ufficio incombe alla madre, talaltra alla suocera. Esistono levatrici a pagamento, cui spetta, come fra i Bambara (Africa), oltre al salario, la veste della puerpera. Se il p. è difficile se ne attribuisce la ragione agli spiriti malefici, e ora per combatterli, ora per placarli si ricorre ad azioni di tipo rituale o alla recitazione di complesse narrazioni mitiche. Vari popoli fanno confessare alla partoriente i nomi dei suoi amanti: l’omissione di uno solo potrebbe essere fatale al nascituro.
In ostetricia veterinaria, con riferimento alla durata della gravidanza, che varia a seconda della specie (per es.: 2 mesi nella cagna e nella gatta, 4 mesi nella scrofa, 5 nella pecora, 9 e 1/2 nella vacca, 11 e 1/2 nella cavalla), il p. può essere a termine, oppure prematuro; entro i limiti di queste espressioni si presuppone sempre che il feto sia capace di vita propria. Il p. è fisiologico, eutocico, quando si espleta naturalmente; in questo caso il feto non solo trova le vie e gli organi genitali interni in condizioni normali, ma si trova esso stesso in presentazione, posizione e atteggiamenti buoni; è invece anormale, distocico, laborioso, quando il suo espletamento richiede manovre ostetriche o interventi strumentali.
P. distocici si possono avere per cause quali: la presentazione e la posizione anormale del feto, la sua eccessiva grandezza, alcune malformazioni o mostruosità, o altre cause patologiche; altre cause vanno ricercate in lesioni degli annessi fetali, in malattie della madre, in accidenti e lesioni dell’utero, degli altri organi genitali e del bacino. Nelle femmine di animali domestici si avverano con relativa frequenza accidenti consecutivi al parto.